“50 anni di guerra al salario” di Cicalese: diario di trincea contro l’Austerità

“50 anni di guerra al salario” di Cicalese: diario di trincea contro l’Austerità

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di Giulia Bertotto


Quello di Pasquale Cicalese “50 anni di guerra al salario” (LAD Edizioni, 2023) è un libro-diario di guerra, scritto da colui che si trova nello scavo di una trincea, mentre il conflitto infuria per mare e per terra. Questa guerra imperversa da almeno trent’anni, da quel Trattato di Maastricht che ha tradotto l’ideologia neoliberale in vincoli economici concreti, ratificando ad esempio il limite del 3% di deficit annuale. Questi parametri imposti impediscono in partenza di realizzare una piena occupazione a livello nazionale. Il soldato ha provato ad avvertire i compagni del piano che muove le fila del massacro in corso, ma spesso non viene creduto.

La linea da seguire è la lotta di classe e la bussola sono gli insegnamenti di Marx.

Un taccuino di trincea nella battaglia all’Austerità

L’intenso taccuino di guerra, inizia nella fase post pandemica, dall’estate del 2021, e mescola accurate analisi dell’economia del paese, con note autobiografiche, vissuti di famiglia, ricordi delle battaglie di piazza, folle di partito, entusiasmi giovanili mandati al macero, la delusione del vedere l’Italia spolpata e svenduta.

Le armi che i poteri hanno usato e ancora imbracciano contro il salario, sono la deindustrializzazione, l’austerità, l’abolizione del decreto dignità, lo sblocco dei licenziamenti, l’abolizione dell’articolo 18, il lavoro mancato, il lavoro nero, il lavoro mal retribuito, fino a vere e proprie forme di sfruttamento al limite con la schiavitù: “una rapina di plusvalore a danno dei lavoratori”.

“Pensavano davvero che gli asiatici sarebbero stati per sempre i loro schiavi? Non ci sono riusciti e ora schiavizzano i loro popoli occidentali” afferma la nota dell’11 gennaio 2022; infatti “ci tengono a stecchetto” con contratti di lavoro a tempo determinato, precarietà e frammentarietà del lavoro che aumentano le disuguaglianze e il conflitto orizzontale: “l’Italia negli ultimi 30 anni è stato l’unico paese europeo i cui salari sono diminuiti del 2,9 %”.

L’arsenale del lavoratore? Andare alle fonti e non dare credito alla tv e all’emergenza permanente, si scoprirà che il debito è sostenibile, come confermato dalla Banca d’Italia; essere quindi consapevoli innanzitutto dei rapporti di forza, del fatto che “gli Usa divorano il risparmio europeo”, ma anche delle risorse taciute o sconosciute, si veda l’export italiano in crescita. Insomma, di munizioni ce ne sono più che a sufficienza; “abbondiamo di liquidità ma stiamo nella miseria”, si intitola la riflessione del 19 gennaio 2022. “La Banca Centrale Italiana, nel suo comunicato, ci tiene a precisare che l’Italia è creditrice netta sull’estero per una cifra consistente. (…) i re Mida affogano nella liquidità, eppure tagliano il ramo su cui sono seduti”. E inoltre seccano la linfa dell’albero che li sostiene, ne succhiano la vitalità, instillando sfiducia e rabbia, nella popolazione.

Sapremo indirizzare quella rabbia sociale verso chi ci opprime e non contro chi è diversamente oppresso come noi? Sapremo distinguere da che direzione arrivano i proiettili? Nelle parole di Cicalese si avverte il senso di impotenza, la fatica di farsi sentire tra le esplosioni del debito.

“L’individuo è una truffa”

Purtroppo i missili sono anche quelli mediatici: “È come se la gente fosse in stato di ipnosi, bombardata dalla televisione e dai giornali, da messaggi terrorizzanti e discordanti”, per questo i consumi si contraggono e quando magari crescono, sono i grandi colossi o i centri commerciali, a incassare. Portando sul lastrico la vendita al dettaglio si uccide la vita di quartiere e di comunità, la sapienza artigianale, il saper fare con le mani, “l’ossatura della memoria e della stessa cultura cittadina” in un grande e rovinoso “lockdown di fatto”.

 

Del resto, citando Rosa Luxemburg, il capitale per entrare in crisi definitivamente estendersi in tutto il mondo; ebbene eccoci alla resa dei conti, che non tornano, perché, spiega Cicalese “il capitale ha bisogno del salario per vivere” ma in Italia sono più bassi che nella bistrattata Cina, così il capitalismo rivela il suo carattere feudale, la sua reale mancanza di modernità, per questo ostenta progressismo.

 

Per Cicalese la pace tornerà solo quando i lavoratori si renderanno conto che “l’individuo è una truffa”, la realizzazione di sé senza la visione collettiva è un mito che favorisce il potere delle classi dirigenti economiche e finanziarie, e non c’è altra soluzione se non l’unione organizzata, la lotta di classe perché “I proletari non hanno altra scelta che abbracciare i loro simili, per sopravvivere, per riscattarsi e cambiare lo stato delle cose attuali”.

 

Falce, Tradizione e Croce

Il nostro guerriero parla con baristi, negozianti, volontari di associazioni di beneficenza, la sua ricerca è il dialogo per strada e al mercato, lì dove si tramanda la “storia orale” italiana, mentre il costo esorbitante degli affitti di Milano e delle grandi città contribuisce al disagio nelle periferie metropolitane; l’impossibilità dei genitori di seguire i figli, di passare del tempo di qualità in famiglia, di educarli anche affettivamente, e questo aumenta depressione, suicidi, bullismo, degrado sociale ed emotivo. Il Capitale uccide in tanti modi, che ai più sembrano insospettabili.

Cicalese è un guerriero pasoliniano; non impugna una falce e martello senza aver compreso il mutamento dei tempi. Parlando del partito unico e del monopolio della finta cultura detenuta dai progressisti globalisti -che va da sinistra a destra ubbidendo allo stesso modo ai dettami Ue e Nato- scrive: “vanno in tv con la chitarra a cantare Bella Ciao. C’è tutto un mondo che non li sopporta più. Non li sopportano da destra, aggrappati ai valori tradizionali, e non li sopportano da sinistra, i marxisti che vedono la violenza del capitale. Non li sopportano i cristiani. Dialogo con questi tre gruppi, un po’ perché sono tradizionalista, un po’ perché rimango marxista, un po’ perché ammiro lo spirito di iniziativa dei credenti. C’è un mondo da ricostruire, solo partendo dall’eclettismo, dall’incrocio di queste culture, si può fare qualcosa”.

Ed è come gridare all’orizzonte: “Tregua”!

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