Brasile, Dilma Rousseff: «Temer è un burattino, una facciata»

In un’intervista con Calle 2, la ex presidente ha detto che andare a elezioni indirette sarebbe approfondire il golpe. Analizza anche il momento attuale in America Latina, la crisi politica e le misure dell’attuale governo

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Brasile, Dilma Rousseff: «Temer è un burattino, una facciata»

 

di Vinícius Mendes | Calle2 | Traduzione dal brasiliano di Pressenza

 

Da Palazzo Alvorada* a un quartiere chiamato Tristezza. Cinque mesi dopo essere stata allontanata dalla Presidenza della Repubblica grazie a un lungo e turbolento processo di impeachment, Dilma Rousseff oggi vive in un quartiere della classe media nella zona sud di Porto Alegre – sulle sponde del fiume Guaíba – che ha questo emblematico nome in omaggio all’allora padrone di quelle terre, le cui sembianze non erano delle più allegre. Per strada, durante il giorno, quasi non ci sono pedoni e l’edificio di quattro piani, di fronte a un deposito di materiale inutilizzato di un supermercato, non fa supporre che lì vive la prima donna che ha assunto il ruolo più elevato dell’Esecutivo brasiliano.


Nonostante l’ironico nome del quartiere, Dilma non sembrava triste quando ha ricevuto a casa sua l’equipe di Calle2, il giorno 12. Al contrario: da quando è andata via da Brasilia continua a leggere giornali, andare in bicicletta, fare esercizi, studiare, fare tabelle e citare economisti contemporanei. La Dilma che ci ha ricevuto era la stessa che, negli ultimi giorni della presidenza, è apparsa sulla rete nazionale per dire che la lotta continua.


Forse ciò che custodisce nel profondo della sua anima è un pizzico di rancore. Lei, che diverse volte ha detto di essere stata tradita e di avere sofferto un’ingiustizia nel processo di impeachment, ha commentato, a microfono spento, che un giorno o l’altro lascerà uscire le lacrime che ancora non ha versato. “Il giorno della partenza da Planalto, Lula piangeva come un bambino, ma io non ho pianto. Un giorno di questi verserò tutte le lacrime di cui ho bisogno”, ha commentato a bassa voce e con uno strano sorriso che ha lasciato nella sala un lungo silenzio.


Non è chiaro se le lacrime non versate si riferiscono all’andamento del paese – che lei critica duramente – o a quello che le accade. O a entrambe le cose. Dilma non voleva parlare del Brasile. Ha ampliato le risposte all’America Latina ed è sembrata un po’ insofferente quando abbiamo affrontato questioni brasiliane.


Questa è stata la prima intervista che la ex presidente ha concesso a un media brasiliano da quando sono emerse le denunce che affermano che l’attuale presidente Michel Temer, il suo vice, avrebbe ricevuto 10 milioni di reales dalla Odebrecht per la campagna del 2014. Quando le è stato chiesto se credeva che la formula avrebbe potuto essere revocata con la possibilità di convocare elezioni dirette (come prevede la Costituzione), Dilma ha detto che se succedesse sarebbe per questioni politiche.

Oltre a criticare le recenti misure del governo Temer – come la Proposta di Emendamento Costituzionale (PEC) del tetto di spesa e la riforma del sistema pensionistico -, Dilma insiste sul fatto che l’unica soluzione possibile sarebbe un patto nazionale per giungere a elezioni dirette e per convocare un’assemblea costituente esclusivamente ai fini della riforma politica.


“Varie volte nel corso della storia del Brasile siamo usciti dalla crisi facendo patti dall’alto. Guardate la Repubblica, la transizione dalla dittatura alla democrazia… quei patti dall’alto non funzionerebbero ora. O si fa un patto dal basso, o non c’è soluzione”.


L’intervista con Calle2, nonostante fosse stata concordata giorni prima di Natale, ha rischiato di saltare. In un primo momento la ex presidente avrebbe ricevuto tre membri della nostra equipe, tra giornalisti e fotografi. La mattina del 12, tuttavia, Dilma non voleva essere fotografata o filmata. L’intervista è stata confermata un’ora e mezza prima dell’orario precedentemente concordato e con condizioni previamente decise: senza foto o video e con un solo intervistatore.


Dilma ci ha incontrato nella biblioteca del suo appartamento. Sugli scaffali, opere come la biografia di Tancredo Neves, del giornalista José Augusto Ribeiro, e una collezione in spagnolo di tutti i libri dello scrittore colombiano Gabriel García Márquez. “Lei legge in spagnolo?”. “Leggo in spagnolo, inglese e francese, mio caro”, ha risposto.


In un’ora di chiacchierata Dilma è passata da un’analisi sulla congiuntura internazionale a quella sull’America Latina, da sorrisi all’apparenza sinceri ad altri chiaramente ironici e a momentanee irritazioni. Alla fine dell’intervista ha esibito la più grande di queste, affermando che le sarebbe piaciuto parlare solo dell’America Latina. “Non vorrei che questa intervista fosse sul Brasile”, ha protestato (nonostante il nostro avvertimento previo, nel senso che avremmo voluto affrontare temi nazionali). “E’ importante parlare dell’America Latina, avvicinare i brasiliani al tema”, ha sostenuto riferendosi a Calle2.


Alla fine, con il registratore spento, la ex presidente ha sorriso e si è lasciata andare a un’ultima risposta. “Come la sta trattando la gente per strada?”, “mi sento molto ben accolta. Non sento odio da parte di nessuno”.


Fuori, il quartiere Tristezza difendeva il suo strano nome di fronte a un sole esagerato per un fine serata.


Di seguito, i tratti principali dell’intervista.

Gli Stati Uniti e l’impeachment in Brasile


Non credo che gli Stati Uniti fossero coinvolti nell’organizzazione del golpe (impeachment) come negli anni ’60, quando arrivavano a patrocinare e montare strutture. Perché dico questo? Perché credo che l’élite brasiliana sia sufficientemente golpista per farlo da sola.


Ma credo che gli Stati Uniti possano aver fornito informazioni per destabilizzare il processo in Brasile principalmente con la Petrobras, che loro controllavano per cercare – in un modo o in un altro – di ottenere informazioni. Uno spionaggio industriale.


Credo che oltre a indagare sulla Petrobras, gli Stati Uniti possano aver raccolto altre cose riguardo alle grandi imprese ingegneristiche brasiliane come Andrade Gutierrez, Odebrecht, Camargo Corrêa, OAS, perché interessava – dal punto di vista della concorrenza internazionale – diminuire il peso del Brasile nell’ambito dell’offerta di servizi, principalmente di infrastruttura. Non ho alcun dato per confermare questo se non il fatto che – ed è gravissimo – hanno controllato  me, il mio governo e la Petrobras. Di questo ci sono prove. Se questo è possibile, cosa non lo è?


Interferenza degli Stati Uniti in America Latina


In un modo o nell’altro gli Stati Uniti interferiscono ancora nelle democrazie latinoamericane. Nel 2013 non hanno spiato solo me, lo hanno fatto con la Petrobras, con Angela Merkel. Credo che quel livello di interferenza esista.


L’informazione come arma politica


Esiste una nuova forma di lotta politica. Chi si immaginava che Donald Trump, presidente eletto degli Stati Uniti, sarebbe stato registrato dall’intelligence russa? Siamo di fronte a fatti estremamente gravi. L’informazione e l’intelligence sono armi geopolitiche inequivocabili nel mondo di oggi. Sono parte. Può non esserci guerra, intervento, ecc. ecc., ma esiste l’uso di quelle informazioni. Qui abbiamo un’esperienza: lo svuotamento non è uno strumento di lotta politico-ideologico? Divulgare informazioni è un’arma.


Tutti conoscono, perché è stata ampiamente diffusa dalla stampa, la questione della NSA (National Security Agency), che integra con la CIA tutto un servizio di informazione. La parte di sviluppo tecnologico più sofisticata viene da questo complesso di intelligence, creato negli Stati Uniti dopo l’11 settembre. Esisteva di sicuro prima dell’11 settembre, ma ha acquistato forza, giustificazione e legittimità dopo quella data. Lì fu concepita la linea di avanzamento dell’evoluzione tecnologica. Per esempio i cosiddetti big data, che sono computer con una capacità di processare dati abbastanza significativa. Oggi esistono cavi sottomarini che uniscono il Brasile agli Stati Uniti e gli Stati Uniti all’Europa e all’Asia. Una delle valutazioni che ho visto era che questi cavi, insieme alle imprese telefoniche americane, processavano informazioni. La giustificazione è quella di combattere il terrorismo, ma si tratta di una questione di cui non si sa se conduca alla lotta al terrorismo o all’acquisizione di dati primari.


Accusa di Assange sul fatto che Temer ha scambiato informazioni con gli Stati Uniti


Non posso dirlo. Sarebbe una leggerezza da parte mia. Non ne ho mai sentito parlare, ma comprenderete che questo non significa né che sia successo né che non sia successo. Assange (Julian Assange, fondatore di Wikileaks) sa alcune cose perché era lui la persona che le diffondeva. Nello specifico io non ho modo di confermarlo.


L’avanzata della destra in America Latina


L’avanzata della destra in America Latina è visibile, ma non solo in America Latina. In Europa è evidente e credo che negli stessi Stati Uniti lo sia. Noi latinoamericani negli ultimi dieci anni abbiamo vissuto una tendenza diversa dal resto del mondo, abbiamo avuto una crescita economica e una distribuzione del reddito significativi per la prima volta. C’è stata una forte riduzione della disuguaglianza in Brasile, in Argentina, in Bolivia, in Ecuador e penso anche in Cile, ma non ho dati cileni. Perché? Perché si è tratto vantaggio da un ciclo di crescita e i governi hanno avuto la volontà politica, hanno preso la decisione politica di sviluppare un processo di riscatto dai secolari processi di miseria ed esclusione dell’America Latina.


Thomas Piketty (economista francese, autore de “Il Capitale nel secolo XXI”) dice: c’è stata un’immensa concentrazione di ricchezza e reddito negli Stati Uniti e in Europa, contrariamente a quanto accadeva qui in America Latina nello stesso periodo. E lì c’è una cosa strana: loro stavano crescendo e la ricchezza è stata destinata a un piccolo settore (della popolazione). Molti autori attribuiscono ciò al fatto che l’attività finanziaria viene anteposta all’attività produttiva, e invece di espandere le imprese creando impiego e opportunità di lavoro, che è il principale mezzo di distribuzione della ricchezza, che è successo? E’ stata privilegiata la speculazione, il capitale finanziario, ecc. Ora, quando la crisi è cominciata (nel 2008), il peso è aumentato.


Noi in America Latina avevamo un altro ritmo, la crisi non è cominciata qui. Quando arriva la crisi, fanno di tutto per indebolirci. Perché? Perché hanno fatto il golpe in Brasile? Non credo che la causa sia la corruzione. Persino Jucá (Romero Jucá, leader del governo al Senato) che diceva “devono rimuoverla per fermare l’emorragia”… per me esprimeva una richiesta secondaria. La prima era di impiantare quello che abbiamo interrotto nel 2003, cioè il neoliberismo.

 

Mercosur

Il Mercosur, inteso come un progetto di integrazione regionale nel quale vedevamo che la forza di ognuna delle economie era tanto più grande quanto più fossimo in grado di integrarci non solo commercialmente ma anche attraverso le nostre catene produttive, corre il rischio di finire. Perché? Per il peso delle economie argentina, brasiliana e uruguaiana. E’ la visione che si restringe e ironicamente mette in scacco la scelta di Trump. Perché Trump attribuisce a due cause l’impoverimento e la perdita di reddito degli americani: l’immigrazione – i latini, gli ispanici – e gli accordi principali – Alca, TPP e l’accordo Atlantico. Il capitalismo, di fronte alla crisi, non ha mai optato per il libero commercio. Questa visione antiquata secondo cui possiamo avere relazioni commerciali solo con gli Stati Uniti e vivere ignorando l’America Latina, l’Africa, i paesi che li terrorizzano, che sono i Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), è una sciocchezza.


Non si tratta di un errore politico, è una stupidaggine. E’ una stupidaggine non rendersi conto che, almeno qui, abbiamo un mercato di 400 milioni di persone? Perché smettere con il Mercosur? Perché smettere con il Mercosur e non rendersi conto della sua importanza in quanto blocco regionale? Numero 1, l’importanza economica; n. 2, non riconoscere l’importanza politica, e questo è avere una posizione subordinata agli Stati uniti e non comprendere che bisogna convivere con le differenze. Noi abbiamo potuto convivere con Piñera (Sebastián Piñera, presidente del Cile tra il 2010 e il 2014) da un lato e Maduro (Nicolás Maduro, presidente del Venezuela) dall”altro. Questo era l’Unasur.


Sospensione del Venezuela dal Mercosur


Mi sembra assurdo che sospendano il Venezuela con un golpe in Brasile, quando là non c’era alcun golpe. Può non piacervi la politica di Maduro; potete anche mandare emissari a parlare con lui: “Guarda, se tieni questo comportamento con l’opposizione, non ti appoggeremo”. Questa è una cosa, ma escludere? Impedire?


Possibile candidatura di Dilma/Lula nel 2018


In Argentina mi hanno chiesto se mi sarei candidata alla presidenza della Repubblica. Ho detto di no, perché ora il candidato alla presidenza è il signor Luiz Inácio Lula da Silva. Tra questo e non essere candidata a nulla, c’è una differenza. Io non lascerò la politica, perché la politica non è solo essere candidato. Ho fatto politica per tutta la vita e sono anche stata in carcere per la politica. E mi risulta che in quell’epoca non ero candidata a nulla.


Difesa della democrazia


Credo che oggi il mio ruolo sia la difesa della democrazia. Perché il neoliberalismo è antidemocratico. Quando si installa e si amplia la disuguaglianza, che accade con coloro che soffrono questa disuguaglianza? Vorranno manifestarsi. Chi controlla la ricchezza non vorrà che loro si manifestino. E’ per questo che persino nelle democrazie occidentali ci sono falle. Mi sono impegnata a difendere la democrazia perché ho subito un golpe parlamentare. Non ho commesso reati di responsabilità.


E’ un golpe perché viviamo un momento della storia dell’America Latina in cui l’impeachment è un modo per impedire che i governi popolari continuino. Perché volevano destituirmi? Non era perché non li avrei protetti dalle azioni anti-corruzione. Sapete perché è successo? Perché nel conflitto distributivo, che si consolida nella crisi, non avrei intercesso né a favore del capitale né a favore dei maggiori beneficiari della ricchezza.


Avrei protetto i più fragili, perché la crisi accentua il processo di esclusione: le persone perdono il lavoro, c’è una riduzione dei salari… quindi bisogna avere misure compensatorie. E’ nella crisi che abbiamo più bisogno di quelle misure compensatorie, e loro non volevano che facessi questi. La democrazia è l’unico spazio che abbiamo per lottare contro di loro. E’ una delle armi principali contro quello che sta accadendo qui in Brasile, nel resto dell’America Latina e nel mondo. Questo ha una forma, sapete? C’è una specie di stato di emergenza che convive con la democrazia.

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