Con il CETA, il TTIP rientra dalla finestra
di Tiziana Beghin e Dario Tamburrano*
Un altro silenzioso passo - il penultimo - verso l’applicazione provvisoria a tempo indeterminato. Il CETA fra UE e Canada somiglia a quei trattati che i pellerossa analfabeti firmavano con i visi pallidi senza capirli, e che poi si ritorcevano dolorosamente contro di loro. Conta 1.600 pagine in legalese (disponibile solo la versione inglese) che subordinano la facoltà dell’UE e degli Stati membri di prendere decisioni nel pubblico interesse al fatto che queste stesse decisioni non comportino la creazione di barriere commerciali con il Canada e non limitino il raggio d’azione degli investitori canadesi nell’UE.
Ieri, martedì 24 gennaio, la commissione INTA (commercio internazionale) del Parlamento Europeo ha appoggiato il CETA, spianandogli la strada verso il voto in assemblea plenaria. Proprio il voto in plenaria costituisce l’ultimo passo dell’iter che conduce all’applicazione del trattato.
Il CETA è il fratello gemello del TTIP, il trattato fra UE ed USA contro il quale si è mobilitata l’opinione pubblica europea e che è finito in freezer con l’ingresso di Trump alla Casa Bianca. Proprio nel giorno in cui il CETA ha fatto il penultimo passo verso l’applicazione, Trump ha silurato un altro fratello gemello del TTIP, il trattato TPP fra gli USA ed i Paesi del Pacifico, ed insieme ad esso l’idea della globalizzazione sulla quale sono basati TPP, TTIP e CETA e che è stata egemone per vent’anni. Bruxelles però non ha mostrato di accorgersi che, nel mondo, il vento è cambiato.
Formalmente il CETA è un trattato di libero scambio. Elimina la quasi totalità dei dazi doganali sui beni scambiati fra Canada ed UE (un autentico massacro per l’agricoltura europea) e soprattutto elimina gran parte delle “barriere non doganali”: sono le norme tecniche, gli standard, i regolamenti di conformità dei prodotti. Molti di essi sono stati creati per proteggere la salute, l’ambiente, i consumatori. Standard diversi possono impedire che la medesima merce sia venduta sia in Canada sia nell’UE.
In questo quadro, il CETA contiene siluri contro le norme europee che attualmente limitano la massiccia importazione di OGM (il Canada è un grande produttore di OGM) e che impediscono l’arrivo nell’UE della carne agli ormoni canadese. Contiene anche il principio dell’ “approccio tecnologicamente neutro” all’industria, in grado di minare la transizione verso le energie rinnovabili e le politiche europee di efficienza energetica.
Il CETA istituisce una cooperazione normativa fra UE e Canada non soggetta al controllo democratico. Fissa amplissimi criteri per l’intervento dei privati nei servizi. Detta le regole cui gli Stati devono attenersi per il rilascio di permessi e licenze relative alle attività economiche. Offre agli investitori canadesi la possibilità di far causa agli Stati e all’UE e di farsi pagare i danni in caso di provvedimenti lesivi dei loro interessi, anche se l’entrata in vigore di quest’ultima parte del trattato risulta bloccata per intervento della Vallonia belga.
Secondo gli studi di impatto che la Commissione Europea ha richiesto e pagato, il CETA provocherà un aumento del PIL da prefisso telefonico internazionale: lo 0,012% all’anno per sette anni, dopodiché esaurirà la sua “spinta propulsiva” (così la chiamano...) sull’economia UE. Contemporaneamente, e sempre secondo gli studi di impatto della Commissione Europea, 167.000 lavoratori europei dovranno cercarsi una nuova occupazione per effetto del trattato. Uno studio d’impatto indipendente tratteggia esiti funesti del CETA: disoccupazione, compressione salariale, diminuzione del PIL.
Tutti i link di questo articolo rimandano al WikiCETA che abbiamo creato. E’ uno strumento di informazioni referenziate al servizio dei cittadini che contiene a sua volta link ai documenti ufficiali.