Il Grande Gioco Mediorientale: Qatar vs Arabia Saudita
In un clima da resa dei conti, persino le monarchie del golfo sono state raggiunte da una serie di eventi senza precedenti. I contrasti tra Qatar e EAU-Bahrein-Arabia Saudita hanno superato il livello di guardia con una crisi diplomatica dagli esiti imprevedibili.
di Federico Pieraccini
Ufficialmente tutto è iniziato con le dichiarazioni attribuite a l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani apparse sul sito QNA (Qatar News Agency) il 23 Maggio 2017. Poche ore prima della conferenza tra i 50 paesi arabi e il presidente USA, Al Thani avrebbe pronunciato le medesime parole riportate da QNA, in un discorso molto indulgente nei confronti dell’Iran, oltre a definire errata l’idea di una “NATO Araba”. Le parole esatte non sono note poiché l’evento in cui Al Thani avrebbe pronunciato tali dichiarazioni incendiarie trattava questioni militari e quindi riservato e non accessibile al grande pubblico. Particolare da non tralasciare, QNA denuncia di aver subito un attacco cibernetico e che le dichiarazioni siano da ritenersi fasulle, così come le parole attribuite ad Al Thani.
La diffusione pubblica delle parole del l’emiro, apparse su QNA, hanno scatenato una crisi diplomatica senza precedenti nel golfo. Senza perdere tempo, Arabia Saudita, EAU, Bahrein, Egitto e Maldive hanno approfittato della confusione creata dalle presunte parole di Al Thani mettendo in pratica una serie di misure estreme, accusando Doha di sostenere il terrorismo internazionale (attribuito ad Hamas, al qaeda, Iran e daesh). Gli ambasciatori del Qatar nei paesi citati sono stati invitati a tornare in patria nel giro di 48 ore, i cittadini Qatarioti intimati a lasciare Bahrain, Arabia Saudita e EAU entro 14 giorni. Contemporaneamente Riyad procedeva a chiudere lo spazio aereo e i confini terrestri e marittimi, isolando di fatto il Qatar dal resto del mondo.
Realisticamente, quali interessi avrebbe potuto avere il Qatar a promuovere in maniera così esplicita e sfacciata le parole di Al Thani, irritando profondamente Riyad e Abu Dhabi? Se anche l’emiro avesse pronunciate tali parole, certamente non è stata Doha a dare indicazione a QNA di pubblicarle sul proprio sito internet. Se non si è trattato di un attacco hacker, sicuramente si è trattato di un’imprudenza senza precedenti di Doha o peggio, un possibile sabotaggio interno ai danni della famiglia al Thani.
Chiarite le dinamiche che hanno ufficialmente creato questa situazione senza precedenti, è importante ponderare i fatti e dividere tra realtà e finzione.
Non c’è differenza tra Arabia Saudita e Qatar
L’accusa Saudita al Qatar di sostenere il terrorismo è fondata e corretta, Doha supporta da anni gruppi terroristici in Nord Africa e in Medio Oriente, dalla Libia alla Siria passando per Egitto ed Iraq. Il problema è che l’accusatore, l’Arabia Saudita, è colpevole tanto quanto l’imputato. Entrambe le nazioni sono il braccio finanziario degli estremisti che infestano il globo da decenni. La famiglia reale saudita è la massima espressione della deviazione wahabita che storicamente collima con l’ideologia di al qaeda. Il sostegno di Riyad alle organizzazioni terroristiche si completò con la strategia americana di stampo neo-conservatrice volta a destabilizzare l’Afghanistan in ottica anti-URSS, al fine di avanzare obiettivi geopolitici come teorizzato dal defunto Zbigniew Brzezinski.
La rivalità tra Arabia Saudita e Qatar ha radici profonde e riguarda non solo le differenza ideologiche tra Wahabiti e Fratelli Musulmani, ma anche la maggiore tolleranza di Doha rispetto all’intransigenza ideologica di Riyad.
Il Qatar tramite i Fratelli Musulmani ha sostenuto le primavere arabe che hanno deposto Mubarak e nominato Morsi alla guida dell’Egitto, creando forti tensioni con i Sauditi che sostenendo al Sisi hanno rimediato alla situazione nel paese per loro sfavorevole, finanziando il colpo di stato. Nel 2014 si era già verificata una crisi tra i paesi GCC con ambasciatori del Qatar espulsi da svariate nazioni (UAE e Arabia Saudita). I contrasti furono presto risolti grazie alla convergenza di interessi nel destabilizzare la Siria e l’Iraq con il terrorismo estremista finanziato da entrambe le nazioni con il contributo fondamentale della Turchia.
Il Piano Neocon, Sionista e Wahabita
Ciò che è interessante da notare in connessione con la crisi nel Golfo, è cosa sia cambiato negli ultimi mesi nelle strategie di Israele, dei neoconservatori e reali Sauditi.
Il piano elaborato a Washington, condiviso da Tel Aviv e supporto da Riyad consiste nell’imputare a Tehran e Doha tutte le colpe del terrorismo internazionale, ponendo addirittura il Qatar nel ruolo di finanziatore di Hamas, al qaeda e daesh. Le motivazioni dietro a questa scelta sono innumerevoli, esattamente come le finalità.
Il problema del terrorismo islamico inizia ad essere un punto di attenzione focale dei cittadini europei ed americani a causa di attentati quasi quotidiani. Gli organi di sicurezza risultano incapaci di prevenire i terroristi che per anni hanno finanziato e sostenuto in funzione anti-iraniana e anti-siriana in Medio Oriente. Le difficoltà dei servizi segreti nel fermare gli attentati (in contrapposizione agli apparati deviati dei servizi che sostengono i terroristi in stile Gladio) hanno messo in crisi il conglomerato politico europeo.
I cittadini, sempre più impauriti ed arrabbiati con i rispettivi governi per la mancanza di sicurezza, iniziano a realizzare come gli estremisti abbiano necessariamente ben più di un sostegno finanziario dai paesi del golfo, notoriamente in affari con le capitali europee. L’ultima notizia che i governi di Francia, Germania, Inghilterra e Stati Uniti vogliono che emerga è la loro occulta connivenza con il terrorismo islamico per fini geopolitici. Le conseguenze sarebbero disastrose per la già fragile credibilità occidentale.
A conferma di questa strategia, l’aspetto economico è rivelatorio: S&P ha declassato il rating del Qatar poche ore fa ad AA-, preparando il terreno per un ulteriore downgrade che potrebbe avere ripercussioni importanti per la futura solidità economica dell’emirato.
La strategia di Trump e degli altri leader del G7 sembra chiaro: scaricare sul Qatar ogni colpa del terrorismo islamico, seguendo le indicazioni Saudite in materia. L’amministrazione USA, più delle altre cancellerie europee, aggiunge nell’equazione con veemenza anche Tehran quale sostenitore del terrorismo internazionale. Per Washington l’obiettivo è insabbiare il sostegno occulto occidentale al terrorismo, una necessità non più rimandabile, con una situazione che ormai sfugge di mano in Europa. I politicanti del vecchio continente hanno compreso come sia necessario trovare un colpevole prima di essere accusati in prima persona di non aver fermato il terrorismo islamista, ma addirittura di averlo utilizzato per finalità politiche in Siria. E’ una strategia d’uscita in piena regola che attribuisce al Qatar ogni colpa ed in secondo piano all’Iran.
Gli Europei sono più restii ad avallare questa visione, visti i possibili sviluppi commerciali del settore privato Europeo in Iran dopo la rimozione delle sanzioni. E’ persino possibile che alcuni leader Europei fossero contrari all’idea di Trump, probabilmente discussa durante il G7 in Italia, visti gli investimenti miliardari del Qatar nella morente economia Europea.
Israele ufficialmente ha sempre mantenuto una posizione neutrale nei confronti delle primavere arabe, beneficiando del caos nella regione e dell’indebolimento di avversari geopolitici come Siria ed Egitto. Il sostengo del Qatar ad Hamas, nemico storico di Israele, è un fattore che ha influito nel sostegno di Tel Aviv alle manovre di Riyad contro Doha.
I Sauditi invece hanno molteplici motivazioni e finalità nell’aggressione al Qatar. Innanzitutto rimette in riga la politica estera di Doha, troppo pendente verso Teheran, nemico giurato di Riyad. In secondo luogo inglobare il Qatar per assorbire le enormi risorse finanziarie e gasifere, risolverebbe la disastrosa situazione economica. In ultima istanza, l’accusa abbastanza inverosimile di un sostegno occulto agli Houthi, da mesi bombardati dai Sauditi in Yemen.
Il Caos come mezzo per la conservazione dell’egemonia globale
Dietro ad una convergenza di interessi di comodo del trio Israele, Arabia Saudita e Qatar, giace un progetto ben preciso: impedire a Teheran di diventare l’egemone della regione. I Sauditi considerano l’Iran una nazione eretica in termini di Islam e promuovono da sempre politiche di forte contrasto verso Tehran. Israele considera la Repubblica Islamica l’unico vero pericolo nella regione in quanto capace di tenere testa militarmente a Tel Aviv. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, l’obiettivo principale è mediare un riavvicinamento tra Israele e Arabia Saudita in termini diplomatici, essenziale per permettere alle due nazioni di sviluppare ufficialmente un’alleanza militare diretta verso Tehran. Obiettivo finale, la creazione di una NATO Araba per contenere l’Iran, rispecchiando l’atteggiamento della NATO nei confronti della Federazione Russa.
La colpa è del Qatar.
L’unica maniera possibile per Washington di accontentare gli alleati Europei che si lamentano per i continui attentati islamisti e contemporaneamente dare l’impressione domesticamente di combattere gli estremiste è entrare in un accordo di massima con le due nazioni maggiormente vicine al terrorismo islamista: Israele e Arabia Saudita, incolpando una terza nazione, anch’essa finanziatrice del terrorismo, in modo tale si assuma tutte le colpe. Naturalmente tra i tre, il più debole e strategicamente meno rilevante è il Qatar.
La vera sfida: Unipolarità vs Multipolarità.
La chiave di lettura più interessante in questa vicenda riguarda il concetto di multipolarità in contrasto con l’ordine mondiale unipolare a guida USA. Il Qatar, grazie alle enormi disponibilità finanziarie, ha opportunamente mantenuto contatti di alto livello con un’ampia varietà di nazioni, non necessariamente alleate di Riyad. Nel caso dei rapporti con Mosca, il problema è poco significativo visti i rapporti tra l’Arabia Saudita e la Federazione Russa. Il Qatar ad esempio è da poco entrato nel capitale della Rosneft acquistando una considerevole quota di azioni. Il Qatar, forte della propria ricchezza economica, ha allargato i propri orizzonti politici allontanandosi da Riyad, creando così forti frizioni anche con Washington e Tel Aviv.
Il rafforzamento della posizione Iraniana nella regione si è compiuto grazie a due fattori principali come le vittorie nella guerra in Siria e l’accordo con l’amministrazione Obama sul nucleare iraniano. La riabilitazione sulla scena internazionale dell’Iran dopo la firma dell’accordo ha portato lentamente Doha ad abbozzare un dialogo sottotraccia con Teheran per giungere ad un compromesso, specie in relazione allo sfruttamente del giacimento gasifero South Pars/North Pars. Circa tre mesi fa il Qatar ha rimosso la moratoria sullo sfruttamento del giacimento e intrapreso azioni di dialogo con l’Iran per lo sfruttamento. Sembra sia stato raggiunto un accordo tra Qatar e Iran per la futura costruzione di un gasdotto dall’Iran verso il mediterraneo che trasporti anche il gas del Qatar in Europa. In cambio è stata chiesta la cessazione del sostegno al terrorismo in Siria, violando apertamente le indicazioni Saudite ed Americane.
I Sauditi hanno scommesso tutte le loro chips sul proseguimento dell’egemonia Americana. Hanno preferito accontentare gli Stati Uniti evitando la vendita di petrolio alla Cina in cambio di Yuan e attualmente ne pagano le conseguenze con la Repubblica Popolare Cinese che da qualche mese acquista più oro nero da Angola e Russia rispetto a Riyad. Mosca ha persino aperto una sede bancaria a Shanghai per convertire il Yuan in oro, creando uno standard aureo che ricorda molto lo standard dell’oro degli anni 60’.
In Yemen, Riyadh ha compromesso il proprio futuro disperdendo enormi porzioni di ricchezza, avviandosi a subire una cocente sconfitta militare contro il paese arabo più povero del pianeta. Il crollo del prezzo del petrolio ha solo accentuato queste difficoltà. Problematiche che il Qatar ha evitato avendo enormi riserve di gas e non trattando l’estrazione del petrolio, oltre ad una politica estera leggermente diversificata rispetto a Riyad. Per i Sauditi, mettere sotto il proprio controllo il più grande bacino gasifero al mondo ed una quantità abnorme di liquidità significa anche rientrare parzialmente dalle enormi perdite subite recentemente.
In questo gioco al massacro il Qatar è la tipica pedina al posto giusto nel momento giusto e l’atteggiamento dei media mainstream lascia intendere ben più di una prospettiva negativa per il regno. L’intervista della CNN all’ambasciatore del Qatar in USA ha rappresentato una rara pagina di giornalismo in cui, accuse ai russi escluse (tentativo estremo di una parte del ‘deep state’ USA di offrire una scappatoia al Qatar accusando la Federazione Russa dell'hacking al sito QNA), l’ambasciatore è stato messo in forte imbarazzo per gli evidenti legami terroristici di Doha.
Deep State Neocon vs Deep State Neoliberal
La guerra fratricida nello stato profondo USA si ripercuote anche in Medio Oriente, soprattutto nello scontro tra Qatar e Arabia Saudita. Da tempo è noto che Huma Abedin risulti profondamente legata ai Fratelli Musulmani, così come la precedente amministrazione americana. Questa vicinanza ha avuto ripercussioni nel rapporto tra Obama e i paesi Sunniti, specialmente con l’Arabia Saudita.
Fino a qualche mese fa a Washington circolavano voci sinistre in merito alla presunta azione di lobbying dell’ex consigliere di Trump, Michael Flynn, a favore di Erdogan. Considerando che l’ex Generale è stato licenziato, si evince un indicatore importante in merito alla posizione sostenuta dall’amministrazione nei confronti del Qatar, dato che il presidente Turco risulta molto vicino ai Fratelli Musulmani, movimento ideologico sostenuto da Doha. E’ persino possibile che Flynn sia stato licenziato da Trump per la troppa vicinanza ai Fratelli Musulmani (FM).
I media mainstream vicini al clan Clinton/Obama potrebbero aver virato sui presunti collegamenti tra Flynn e la Russia per coprire il collegamento occulto tra Washington (amministrazione Obama/candidata Clinton) e la Fratellanza Musulmana. D’altronde le prove di collusione tra i FM e Washington risalgono addirittura a prima del 2010 con il discorso di Obama al Cairo nel 2009 e le conseguenti primavere arabe, tutte finanziate dal Qatar tramite i FM e benedette da Washington. Le conseguenze di quelle azioni sono note, avendo aumentato il caos nella regione, obbligato una maggiore presenza degli USA in M.O e contribuito ad aumentare le sinergie tra l’asse sciita in risposta alle aggressioni terroristiche.
In questo contesto, la Turchia ha appoggiato i medesimi gruppi terroristici del Qatar e dell’Arabia Saudita e il golpe sventato da Erdogan nel Luglio del 2016 è servito per rafforzare la presa sul potere di Erdogan e della fazione dei FM che lo sostiene al potere. Ancora oggi le conseguenze del golpe si riverberano nella regione con l’alleanza tra Ankara e Doha che si è rafforzata recentemente con la presenza in Qatar di truppe Turche. Da non sottovalutare anche l’atteggiamento dell’Iran nei confronti di Ankara dopo il colpo di stato sventato, con una dichiarazione di solidarietà da parte di Teheran.
Le scelte strategiche della precedente amministrazione in ambito mediorientale sono risultate disastrose sotto ogni punto di vista. Hanno rafforzato i nemici ed indebolito e allontanato gli alleati storici. Non c’è da stupirsi che Trump abbia deciso di tornare all’antica, riponendo una forte fiducia nei due alleati di ferro in M.O: Israele e Arabia Saudita.
Il progetto di Trump e dello stato profondo che lo sostiene è la creazione di una ‘NATO Araba’ che confronti in prima persona l’Iran, liberando Washington da una costante presenza in Medio Oriente. Agli Stati Uniti interessano due fattori fondamentali: la vendita di petrolio Saudita in Dollari e la vendita di Armi alle nazioni alleate degli USA per accontentare il complesso militare-industriale. Tali propositi coincidono con quanto avvenuto di recente negli emirati con la visita di Trump. Stati Uniti e Arabia Saudita hanno siglato accordi per oltre 350 miliardi di dollari. L’Arabia Saudita invoca fortemente la creazione di una NATO Araba. L’organizzazione renderebbe ufficiale il ruolo di Teheran quale maggiore pericolo per tutta la regione. In seconda istanza la NATO araba accontenta anche l’alleato Israeliano che ha un’attenzione particolare verso Teheran.
Per lo stato profondo USA, quantomeno una parte di esso, la strategia più urgente riguarda il trasferimento delle forze americane in termini di presenza e attenzione, dal Medio Oriente e dall'Europa verso l’Asia per affrontare la principale sfida del futuro: impedire alla Cina di dominare la regione Asiatica. Ciò che sta avvenendo nelle Filippine con Daesh, di cui l’autore ha scritto settimana scorsa, è semplicemente la prosecuzioni di una strategia più ampia che riguarda anche lo scontro tra Sauditi e Qatar.
Con Obama e i democratici al potere, molta attenzione è stata posta sul tema dei diritti umani. In particolare la componente dello stato profondo vicino al clan Clinton/Obama ha abbracciato il tentativo dei Fratelli Musulmani di sovvertire il potere nella regione mediorientale tramite le primavere arabe. L’approccio alla conservazione dell’egemonia USA dei neoconservatori e dei neoliberal risulta molto diverso e mostra strategie contrapposte, evidenziando la diversità delle due anime del deep state USA che da tempo si danno battaglia senza esclusione di colpi.
Da una parte il clan dei neoliberal/diritti umani risulta essere molto vicini ad Obama e alla Clinton, oltre ad avere il sostegno dei FM e dal Qatar. I neoconservatori invece sono storicamente più allineati all’Arabia Saudita ed Israele, decisi in questa occasione a sostenere Trump per rendere il ruolo degli USA in Medio Oriente meno centrale, grazie alla NATO Araba, spostando l’attenzione in Asia e delegando il controllo regionale a Riyad e Tel Aviv.
In tal senso si spiega l’accordo sul nucleare tra l’amministrazione Obama e Teheran. I neoliberal si auguravano di vedere rivolte in Iran sulla scia delle primavere arabe che avrebbero finito per rovesciare il regime, ampliando la democrazia nel paese. I neoliberal proni ai diritti umani usano la ‘democrazia’ come clava. Gli esempi di questi sforzi fallimentare sono rintracciabili nel disastro in Libia e Siria. Paradossalmente, la strategia di Obama e Clinton è finita per ritorcersi contro Washington poiché l’Iran, grazie all’accordo sul nucleare, ha aumentato il proprio peso specifico nella regione, obbligando la fazione dei Neocon/Sauditi/Sionisti a tentare di sabotare in qualsivoglia maniera l’accordo, arrivando perfino a proibire contatti tra Teheran e nazioni appartenenti al GCC, esattamente ciò di cui viene accusato il Qatar.
Conclusione
Il futuro del Qatar è davanti ad un bivio. Cedere alle pressioni Saudite significa rientrare nei ranghi e abbandonare la possibilità di un futuro multipolare. Il destino di Doha è probabilmente già segnato con Iran e Russia che difficilmente vorranno entrare in questo gioco al massacro. Una conclusione probabile alla crisi tra Qatar e Arabia Saudita è che la famiglia Al Thani ceda alle richieste Saudite. Da notare la situazione a Washington, ormai talmente deteriorata dalle guerre intestine, persino alleati storici di Washington si aggrediscono a vicenda.
Iran, Russia e Cina, soccorrendo Iraq, Siria, Yemen e Libia, hanno creato le condizioni necessarie per porre fine alla destabilizzazione mediorientale, generando una crisi interna spaventosa nel GCC. La scommessa che Ryad, Tel Aviv e Washington hanno intrapreso con l’aggressione nei confronti di Doha potrebbe rivelarsi un errore strategico imperdonabile, portando persino alla fine GCC e all’indebolimento della coalizione anti-iraniana nella regione.
Se il Qatar dovesse decidere di resistere alla pressione Saudita, possibile solo con un sostegno occulto di Russia, Cina e Iran, è verosimile ritenere che la guerra in Siria abbia i giorni contati. Senza dimenticare che tale epilogo garantirebbe alla Turchia un percorso ancor più agevole per transitare nell’alleanza eurasiatica.
Nel caso in Doha decidesse di opporsi alle richieste di Riyad, le capacità economiche non mancano di certo, spetterà a Russia, Iran e Cina decidere se rischiare, sostenendo il Qatar in funzione anti-saudita per stabilizzare la regione. L’ostilità di Stati Uniti, Arabia Saudita e Israele verso il Qatar induce cautela nel blocco eurasiatico, già alle prese con numerosi ostacoli da superare.
Nonostante la dovuta cautela, Teheran sta già provvedendo a fornire al Qatar beni di prima necessità come cibo e medicinali, oltre ad aver aperto il proprio spazio aereo alle compagnie basate a Doha. L’Iran, oltre ad essere una nazione solitamente pronta a prestare aiuto quando richiesto, vede l'opportunità di proseguire l’opera di distruzione dell’asse opposto a Teheran. Il ministro degli esteri del Qatar ha incontrato Lavrov nei giorni passati per discutere della situazione e valutare eventuali azioni coordinate.
Servirà una valutazione complessiva per stabilire quale sia la strategia più idonea da seguire con Doha. Soprattutto servirà capire come il Qatar vorrà procedere in questa crisi senza precedenti negli emirati. Persino in Siria i gruppi terroristi finanziati dalle monarchie e dalla Turchia si danno battaglia tra loro in nome delle divisioni e tensioni nel golfo. È questione di tempo ma inevitabilmente i contrasti tra le varie organizzazioni si estenderanno ad altre località in Siria, portando al collasso dei gruppi opposti a Damasco. Alla luce di queste evoluzioni, pare sia stato proposto al Qatar da parte Iraniana e Siriana di cessare il sostegno ai terroristi in cambio di una cooperazione per la ricostruzione della Siria insieme a partner Cinese e Iraniani. Ottenere riscontri credibili per un’ipotesi del genere risulta impossibile, ma seguendo i dialoghi tra Doha e Teheran in merito allo sfruttamento del giacimento gasifero, non è da escludere che nel medio termine si possa giungere ad un accordo in Siria che porterebbe enormi benefici anche Doha, oltre che per Damasco e Teheran.
Il secolo americano va rapidamente esaurendosi. Terroristi mordono la mano del padrone e nazioni-vassallo si ribellano. L’ordine mondiale unipolare obbediente agli Stati Uniti va rapidamente esaurendosi e le conseguenze iniziano ad essere ben visibili ovunque.