La Coca-Cola accusata di finanziare il terrorismo in Colombia
La multinazionale è accusata di complicità nell'assassinio di leader sindacali nel paese sudamericano
di Santiago Mayor per RT
La Colombia ha recentemente raggiunto uno storico accordo di pace che cerca di porre fine a una guerra civile che dura da più di mezzo secolo. Il testo è stato ratificato dal governo di Juan Manuel Santos e le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC). Il passaggio successivo sarà la realizzazione di un plebiscito il 2 di ottobre, dove il popolo sarà chiamato a esprimersi in merito alla questione.
Tuttavia, non viene sempre tenuto presente che la guerra civile colombiana è attraversata da numerosi fattori che vanno oltre il confronto tra l’Esercito regolare e i gruppi ribelli.
Le imprese multinazionali hanno spesso ricoperto un ruolo chiave nel sostenere il conflitto, colpendo intere popolazioni, impegnandosi in maniera diretta, come nel caso della Coca-Cola.
Assassinio di leader sindacali
Nel corso degli anni '90 e all'inizio del 2000, almeno nove leader sindacali di impianti d’imbottigliamento della Coca-Cola in Colombia furono assassinati dalle forze paramilitari. Secondo quanto rivelato da una denuncia internazionale realizzata da i lavoratori stessi, l’impresa fu complice di questi crimini.
«L’ostilità della multinazionale ebbe inizio nel maggio del 1992, quando il manager di Coca-Cola, José Gabriel Castro, accusò pubblicamente i lavoratori ed il sindacato di essere agenti della guerriglia», ha ricordato ‘El Ciudadano’. Nel 1994 venne assassinato il sindacalista José Manco David nell’impianto di Carepa, dando inizio a una serie di morti.
Nel 1996 un commando del gruppo paramilitare Autodefensas Unidas de Colombia (AUC) si recò direttamente nell’impianto per uccidere Isidro Segundo Gil, che guidava una protesta contro l’impresa. Il giorno seguente, le forze dell’AUC tornarono presso l’impianto per distruggere le strutture del sindacato e si accamparono per due mesi all’entrata a scopo intimidatorio. Coca-Cola non denunciò mai la loro presenza alle autorità, anzi, utilizzò la situazione per licenziare dirigenti sindacali e abbassare il salario dei lavoratori.
Causa internazionale
Davanti alle mancate risposte della giustizia colombiana, i lavoratori di Coca-Cola intentarono una causa a Miami - dove è ubicata la sede della multinazionale - nell’anno 2001. Furono incluse nella denuncia Panamerican Beverages (il più grande imbottigliatore di bibite in America Latina) e Bebidas y Alimentos, che gestisce l'impianto di Carepa.
La denuncia ricevette il sostegno della United Steelworkers of America e della Foundation Labor Rights International (ILRF). Inoltre venne portata avanti una campagna di boicottaggio mettendo in evidenza la connivenza di Coca-Cola con i paramilitari.
Nonostante questo, l’impresa si dissociò dai crimini e assicurò di non avere nulla a che fare con quanto veniva fatto nell’impianto in Colombia. Inoltre, chiese all’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) di condurre un'indagine ‘indipendente’ sui fatti. Ed Potter, l’allora delegato degli Stati Uniti all’ILO è stato anche direttore delle relazioni internazionali di Coca-Cola.
Una pratica comune per le multinazionali
Laura Capote, portavoce dell’organizzazione popolare colombiana Marcha Patriótica ha spiegato a RT che «oltre Coca-Cola, è tremendo come il capitale privato e le multinazionali abbiano finanziato e promosso il conflitto armato in Colombia». Secondo Capote lo hanno fatto attraverso gruppi paramilitari «per cacciare le comunità dai territori e in questo modo creare un luogo ‘vuoto’ per estrarre risorse naturali».
«Recentemente è uscita la relazione del Consiglio di Giustizia e Pace della Corte di Bogotà, dove si segnalano più di 50 imprese che hanno collaborato con i gruppi illegali durante il conflitto armato», ha evidenziato l’attivista in ambito sociale. Inoltre ha segnalato che queste società «potrebbero essere giudicate nell’ambito di questa giurisdizione speciale per la pace» che partirà dopo la firma degli accordi a L’Avana.
Infine ha spiegato che la Colombia «è uno dei paesi dove è più rischioso essere un sindacalista». Così come conferma il rapporto pubblicato dalla Scuola Nazionale Sindacale (ENS), dove viene denunciato che tra il 2011 e il 2015 furono assassinati 105 dirigenti sindacali nel paese.
(Traduzione dal castigliano per l’AntiDiplomatico di Fabrizio Verde)