La lettera di Gentiloni e Dombrovkis all'Eurogruppo non evita la trappola nel MES

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di Stefano Fassina

Nonostante il giubilo politico e mediatico, la lettera si limita, non potrebbe essere altrimenti, ad indicare gli effetti regolamentari del Rapporto dell’Eurogruppo del 9 Aprile, condiviso e fatto proprio dal successivo Consiglio europeo del 23 scorso. Nella lettera, viene specificato che, durante un ambito temporale decisamente ambiguo (“under the circumstances of the Covid-19”), non si attiva il comma 7 dell’art 3, del Regolamento 472/2013, cosi come non si attiva l’art 7 del medesimo regolamento, entrambi relativi ad un “programma di aggiustamento macroeconomico”. Non è una novità. E’ la conseguenza logica dell’assenza di condizionalità all’accesso alla speciale linea di credito definita in relazione al Covid-19. Ma il no al Mes non è stato e non è motivato con le condizionalità e il Memorandum da sottoscrivere all’accesso della Pandemic Crisis Support (PCS). Il no al Mes è stato motivato e continua ad esserlo in riferimento a quanto avviene dopo l’accesso al Mes. In particolare, in relazione alle conseguenze della valutazione di solvibilità del debitore prevista e non sospesa nel Mes.

Qui è il nodo: non a caso, la lettera di Gentiloni e Dombrovskis non disattiva, non può farlo in quanto è normativa corrispondente a quella del Mes, l’art 6 del Regolamento 472/2013 nel quale è prescritta la valutazione della sostenibilità del debito pubblico: “Qualora uno Stato membro richieda l’assistenza finanziaria del MESF, del MES o del FESF, la Commissione valuta, d’intesa con la BCE e, ove possibile, con l'FMI, la sostenibilità del debito pubblico di detto Stato membro e le sue necessità di finanzia mento effettive o potenziali.” Conseguentemente, la lettera non disattiva neanche i commi 1, 5 e 6 dell’Art. 3 dello stesso Regolamento. Il primo comma di tale articolo è inequivocabile: “Uno Stato membro soggetto a sorveglianza rafforzata (istituto confermato nella lettera dei due Commissari anche per il PCS) adotta, previa consultazione e in collaborazione con la Commissione e d'intesa con la BCE, le AEV, il CERS ed eventualmente l'FMI, misure atte a eliminare le cause, o le cause potenziali, di difficoltà.”

In sintesi, il programma di aggiustamento macroeconomico e il connesso Memorandum arrivano una volta dentro il Mes per uno Stato membro avviato a superare, nel 2020, il 160% nel Rapporto tra debito pubblico e PIL. Quindi, le ragioni del No al Mes rimangono tutte, anzi si rafforzano dopo la sentenza della Corte Costituzionale tedesca sul Quantitative easing. Invece di tentare, invano, di arginare gli effetti del Mes o insistere su strumenti sostanzialmente irrilevanti come il Sure o il lontano Recovery Fund, il Governo italiano, insieme agli alti governi firmatari della lettera del al Presidente del Consiglio europeo, dovrebbe combattere per difendere e rafforzare la funzione della Bce, l’unico strumento che davvero può salvare l’eurozona e l’Italia, non a caso attaccato a colpi di bazooka dall’avamposto di Karlsruhe. Senza adeguati interventi della Bce, inclusa sterilizzazione dello stock di debito pubblico acquistata dalle Banche Centrali nazionali, la strada da intraprendere è quella del “divorzio amichevole” invocato saggiamente da Stiglitz.

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