Lo scenario (disastroso) dell'economia globale dipinto da James Dimon (JPMorgan)

Lo scenario (disastroso) dell'economia globale dipinto da James Dimon (JPMorgan)

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di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico

Fortemente voluto dal Primo Ministro britannico Rishi Sunak, all'inizio della scorsa settimana si è svolto a Londra il Global Investment Summit che ha visto la partecipazione del Gotha della finanza mondiale. Tra i tanti interventi, rimarchevole è stato quello di James Dimon, CEO della banca americana JPMorgan Chase, il quale ha tratteggiato un panorama a tinte fosche dell'economia mondiale, o forse sarebbe meglio dire occidentale: un tempo certamente parlare di economia occidentale e di economia mondiale era sinonimo data l'enorme predominanza dell'Occidente sul resto del mondo, ma quel tempo è chiaramente passato. Ormai altri attori – altri motori – sorreggono l'economia mondiale e dunque l'avaria del motore economico occidentale non comporta necessariamente il collasso dell'economia del resto del mondo vista la presenza di altri attori ormai di peso pari all'Occidente; mi riferisco in particolare ai paesi BRICS+ e in particolare alla Cina, alla Russia e all'India, che hanno delle  economie in forte espansione.

Secondo James Dimon (1), l'economia globale starebbe per affrontare un pericoloso mix di rischi che potrebbero provocare un disastro su scala globale. Nell'individuazione di questi rischi il CEO di JPMorgan si è focalizzato subito sulla situazione del suo paese, gli Stati Uniti d'America, affermando che questi sono dipendenti dal debito e conseguentemente dal denaro facile della Federal Reserve diventati “come l'eroina” per un tossico. Parole certamente forti ed inusuali quelle del grande banchiere americano, che però non lasciano stupiti gli osservatori più attenti dell'attualità economica. Dimon ha sottolineato che le cose per ora in USA vanno abbastanza bene ma che ciò è dovuto al fatto che per “ora stiamo spendendo molti soldi”, riferendosi all'ondata di migliaia di miliardi stanziati dal governo di Washington (e finanziati con operazioni di Quantitative Easing, di RePo e tassi a zero dalla Federal Reserve) per superare la pandemia. Dimon poi ha proseguito con la seguente argomentazione: “E ovviamente quando metti 5mila miliardi di dollari nelle mani dei consumatori… pensa a questi come a farmaci nel sistema… Beh, ovviamente ti sentiresti abbastanza bene. Ovviamente i mercati azionari sono alti e ovviamente le aziende guadagnano più soldi” che poi conclude sottolineando che: “C’è una maggiore possibilità che i tassi salgano a causa del fatto che l’inflazione non sta scomparendo e che ciò può creare problemi di diversa natura.” riferendosi chiaramente alla fine del danaro facile, del credito illimitato ai consumatori e agli investitori americani con il conseguente rallentamento anche molto forte dell'economia.

A voler ben leggere le preoccupazioni del banchiere americano si comprende che il suo ragionamento è ben più ampio rispetto alla trita e ritrita retorica del debito pubblico in eccesso che i fautori del “meno stato più mercato” ci propinano da trenta anni, spesso peraltro in malafede. Dimon nelle sue dichiarazioni non ha parlato di “debito pubblico” ma genericamente di “debito” che può chiaramente essere “pubblico e privato” da un lato e “interno ed estero” dall'altro. Il debito di una nazione (intesa come somma degli aggregati “Pubblica Amministrazione”, “Famiglie” e “Imprese”) è in equilibrio, quando nell'insieme trova qualcuno disposto a finanziarlo. La situazione ideale si ha quando il debito (pubblico e privato) è interamente finanziato da risparmio interno al paese. In altri termini, le cose vanno bene se le famiglie (che sono mediamente il settore che “produce” risparmio) riescono a “prestare” allo stato (debito pubblico) e alle imprese (debito privato) quanto serve loro per gli investimenti. Le cose sono accettabili anche quando le famiglie del paese non riescono a finanziare il debito (pubblico e privato) ma gli investitori esteri sono ben felici di immettere nel sistema-paese le risorse finanziarie necessarie. Il problema inizia quando gli investitori esteri iniziano ad andare via dal paese e le famiglie non riescono a sopperire. A quel punto rimangono due strade o un mix dei seguenti punti:

 

  • costringere le famiglie a “risparmiare” (dove per risparmiare è compreso anche il dare soldi allo stato con più tasse) di più obbligandole ad abbattere i consumi con manovre lacrime e sangue (chiedere al Senatore Mario Monti se sa come si fa);

  • far allargare i cordoni della borsa alla banca centrale che introduce – con vari strumenti – ulteriori quantità nel sistema finanziario. Questa è l'eroina di cui ha parlato Demon al Global Investment Summit di Londra.

 

E' chiaro che il secondo metodo sia politicamente preferibile al primo, perché certamente non doloroso, almeno in una prima fase. Il problema è – come ha illustrato il CEO di JPMorgan – che, alla lunga, proseguire su questa strada comporta l'aumento dell'inflazione, una fuga ancora più repentina degli investitori esteri e conseguentemente manovre di “restringimento monetario” molto dolorose e idonee a causare una forte depressione dell'economia.

Che il problema di fondo sia questo, lo si intuisce continuando a leggere le cronache dell'evento londinese. Il Premier Britannico Sunak infatti si è vantato di essere riuscito a portare in Gran Bretagna investimenti esteri per circa 29,5 miliardi di sterline (2). Una cifra veramente considerevole, peccato che sia una goccia nel mare per la Gran Bretagna che si ritrova con un NIIP (“Net International Investment Position” in inglese o “posizione finanziaria netta” in italiano) da finanziare con capitali esteri pari a  meno settecentoventisei miliardi di dollari ( - 726 mld di $). Cosa questa che Sunak conosce benissimo, visto che è diventato Primo Ministro quando Liz Truss osò proporre al mercato una manovra a base di deficit spending completamente a debito provocando la fuga degli investitori esteri, il crollo della borsa di Londra e della Sterlina. La Perfida Albione fu trattata come una Italietta qualsiasi, con la Premier Liz Truss messa alla pari di un Giovanni Goria qualsiasi.

Insomma, il fulcro di tutti i patemi è, e continua ad essere, il grave squilibrio esistente tra paesi debitori (sostanzialmente USA, Francia e UK) e paesi creditori che si dividono in due macro categorie: da una parte Cina, Russia e paesi arabi, sempre più desiderosi di creare un sistema alternativo a quello del dollaro e del debito USA che tutti devono comprare, e dall'altro lato i paesi nord europei (Germania, Svezia, Danimarca, Olanda e Austria su tutti) che in questi trenta anni hanno accumulato ricchezze immense e che ora sono completamente assoggettati agli USA e destinati a fare la fine dei classici “polli da spennare”.

La crisi geopolitica in corso parte tutta da questo specifico punto. Ed è ben lungi dal finire come i discorsi del Global Investment Summit di questa settimana hanno contribuito, tra le altre cose, a chiarire.

 

FONTI:

 

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