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Qualsiasi tipo di bonus riconosciuto ai lavoratori che non ricorrano alla malattia sarebbe sbagliato. Lo dico in generale perché non è la prima volta che se ne parla.
 
Eduardo ne L'Arte della Commedia lo spiega benissimo: la confusione è uno strumento straordinario di dominio, da sempre adoperato dai potenti per schiacciare i più fragili.
E quindi facciamo ordine.
 
Si plachi chi vede in questo tipo di iniziativa una strada per combattere il lavoro sottopagato, una ricetta di sinistra. Al massimo è sinistrucola (intellettualocchi perbenisti convinti di essere gli eredi di Gramsci). Il problema del lavoro povero si affronta con rivendicazioni salariali che portino gli stipendi a rispondere alle prescrizioni dell'art. 36 della Costituzione: "Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa". Non si baratta un aumento retributivo lasciando sul campo un diritto costituzionale come la tutela in caso di malattia (art. 38): sarebbe come rinunciare alla scuola pubblica o alla sanità pubblica in cambio di una rivendicazione salariale.
 
Si plachi chi vede in questo tipo di iniziativa una via per combattere l'assenteismo. Chi si assenta dal lavoro mentendo sulle proprie condizioni di salute va perseguito con la massima severità, con la massima durezza. Senza tuttavia ignorare la verità e cioè che ci sono molti ipocriti in giro, gente che ha visto in certe aziende municipalizzate un bacino di voti da estorcere, con bonaria acquiescenza a fasi alterne, adottando biechi metodi clientelari.
 
In nessun caso si consenta che il diritto all'assenza per malattia venga abusato, sarebbe inaccettabile. Ed è proprio per questo che, specularmente, nessuna forma di monetizzazione di questo diritto può essere sopportata: ci sono diritti inalienabili, ai quali non deve essere possibile rinunciare, neppure in cambio di denaro. È l'articolo 38 della Costituzione ha chiarirlo definitivamente: "i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di malattia".
 
In uno scenario di monetizzazione dei diritti fondamentali del lavoro, a rinunciare all'esercizio sarebbero certamente i più fragili, i più deboli: oggi purtroppo la gran parte della comunità del lavoro italiana.
 
Subordinare l'esercizio dei diritti fondamentali del lavoro, quali ferie, malattia, infortunio, congedi di genitorialità o di assistenza familiare, al dio minore della produttività è inaccettabile, incivile, oscurantista. Risponde ad un modello di paese che volta le spalle agli ultimi, alle periferie.
 
A prescindere dallo specifico caso di cronaca, è fondamentale denunciare e avversare il tentativo di una cattiva politica (spesso supportata da un cattivo sindacato) di dividere i nostri diritti costituzionali, di metterli gli uni contro gli altri, con lo stesso metodo attraverso il quale sono state divise le persone e sfibrate le nostre comunità.
 
Placatevi e leggete la Costituzione.
 
 

Savino Balzano

Savino Balzano

Savino Balzano, nato a Cerignola nel 1987, ha studiato Scienze Politiche presso l'Università degli Studi di Perugia. Autore di "Contro lo Smart Working" (Laterza, 2021) e di "Pretendi il Lavoro! L'alienazione ai tempi degli algoritmi" (GOG, 2019). Sindacalista, si occupa di diritto del lavoro, collabora con diverse riviste.

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