Trump e l'America Latina
di Silvina M. Romano - Celag
Giorni prima dell’odierno insediamento di Trump come presidente, è venuta a galla la notizia di una sua riunione con «esperti di America Latina» e che in quest’occasione si è discusso di Centroamerica e Venezuela.
Esperti di America Latina o imprenditori opportunisti?
Prima di approfondire sul contenuto della riunione, vale la pena fare alcuni commenti sugli ‘esperti’ che hanno parlato con Trump, in quanto più che esperti di America Latina si tratta di imprenditori noti per pragmatismo, che va ad aggiungersi a traiettorie di dubbia legittimità e legalità.
Uno di questi è Julio Lagorría, ambasciatore del Guatemala negli Stati Uniti. Un imprenditore che opera nel campo della consulenza politica attraverso la sua impresa ‘Interimage Latinoamérica’ ed è noto per essere stato coinvolto in un a truffa allo Stato guatemalteco insieme al gruppo imprenditoriale Magdalena della famiglia Leal Pivaral. Negli ultimi anni si è fatto notare per la sua attività di lobby a favore dell’Alleanza per la Prosperità nel Congresso Statunitense. Alleanza tra i paesi del Triangolo Nord del Centroamerica per lo ‘sviluppo’ e la sicurezza, organizzata e supervisionata dagli Stati Uniti. Lagorría è membro dell’Inter American Dialogue, think-tank che si è distinto per la sua azione contro i governi progressisti dell’America Latina, in particolare del Venezuela. Questo organismo ha avversato la candidatura di Trump, ma adesso che è presidente, vediamo che i suoi membri non hanno troppe remore nel negoziare con il magnate.
L’altro ‘esperto’ è Freddy Barcera, un cubano-americano, consulente democratico che ha assistito Obama negli affari ispanici, ma che contemporaneamente ha lavorato a livello imprenditoriale con Trump. Durante le ultime elezioni, Balsera è stato membro di un Comitato di Azione Politica (Correct the Record) per raccogliere fondi destinati a Hillary Clinton ed ha anche operato in qualità di oratore sostituto nella campagna elettorale. Ma il suo ‘doppio gioco’ era così evidente che i membri del Partito Democratico di Miami hanno chiesto a Hillary di punire Balsera per aver appoggiato un congressista Repubblicano, Carlos Corbello, che lavorava con Trump. Oltre ad aver lavorato lui stesso con Trump.
La riunione: 20 minuti per l’America Latina
È importante notare che la riunione con Trump è stata di soli 20 minuti. Nemmeno mezz’ora per l’America Latina. L’unica cosa pubblicata sulla riunione è che, apparentemente, Trump sarebbe preoccupato per i prigionieri politici (che in realtà sono politici incarcerati) in Venezuela e per la migrazione centroamericana; temi che l’amministrazione Obama ha affrontato come «problemi di sicurezza nazionale»: ha battuto ogni record nella deportazione di migranti irregolari e ha rinnovato il decreto dove il Venezuela viene definito una minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti. Da questa prospettiva, le minacce di Trump sono da intendere come un approfondimento di quanto già avviato dal suo predecessore.
Quello di cui non si è discusso (a quanto pare), ma che interessa a Trump
Sembra che non si sia discusso di Messico, paese che si è trovato ‘sull’orlo del caos’ dopo il trionfo di Trump, intrappolato tra svalutazione del peso messicano, inflazione e gasolinazo (rincaro del prezzo dei carburanti). Il presidente Peña Nieto ha operato alcuni cambi nella squadra di governo: ha piazzato l’ex ministro delle Finanze Videgaray (che ha organizzato un incontro con Trump in piena campagna elettorale) come Ministro degli Esteri e posizionato Gerónimo Gutiérrez Fernández, un funzionario del Banco de Desarrollo de América del Norte nell’ambito del Trattato di Libero Scambio con il Nord America (NAFTA) per ‘combattere’ eventuali misure protezionistiche di Trump. Conoscendo la traiettoria dei governi del Partito della Rivoluzione Istituzionale (PRI, attualmente al governo) e del Partito di Azione Nazionale (possibile successore), sappiamo che la "battaglia" si limiterà a una negoziazione volta a diminuire l’impatto sugli imprenditori (la maggioranza dei messicani è fuori dall’agenda di governo da decenni).
Intanto, la rivista Forbes titola che una delle filiali della statunitense General Motors sfida Trump in Messico: «la direzione di General Motors rifiuta di prendere in considerazione un trasferimento della produzione di piccole vetture dal Messico agli Stati Uniti» oltre ad avvertire che «è presto per speculare circa il potenziale impatto di dazi doganali di cui parla Trump».
L'altro paese in questione è Cuba. Solo pochi giorni prima di terminare il suo mandato, Obama ha annullato la ‘legge dei piedi asciutti-piedi bagnati’ eliminando i privilegi concessi ai cubani in arrivo negli Stati Uniti, che adesso saranno trattati come gli altri migranti. Così, si soddisfa una delle richieste del governo cubano. Durante la campagna, Trump avvertito che non ammetterà «nessun abuso dei diritti umani» nell’Isola. Tuttavia vi sono dei dubbi visto che Trump resta prima di tutto un uomo d’affari. Un imprenditore che è particolarmente attivo nel settore turismo, uno di quelli che ha fatto più pressione affinché fossero ristabilite le relazioni con Cuba.
Questo per il momento è quello che si conosce circa le preoccupazioni di Trump sull’America Latina. Per adesso, tutto sembra indicare che l’attenzione sia principalmente diretta verso il ‘nuovo oriente geopolitico’. Russia e Cina, ciascuno a suo modo, occupano la maggior parte dell’agenda in materia di esteri del prossimo governo Trump. Tuttavia, come sempre sin dalla Dottrina Monroe, lAmerica Latina continuerà ad essere al centro dell’agenda (ufficiale e non) del paese del nord, con Messico e Cuba come obiettivi immediati. Resta da vedere se Trump porterà avanti la strategia di Obama dei colpi di Stato ‘soft’ (Honduras, Paraguay e Brasile) o se propenderà (fatto storico) per il rispetto della sovranità della regione.
(Traduzione dallo spagnolo per l’AntiDiplomatico di Fabrizio Verde)