Erdogan, l'uomo che voleva essere califfo ora ad un bivio
Dopo la strage di Sultanahmet, l'Isis ha mandato l'ultimo "memento" alla Turchia. Ankara ora ad un bivio
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Dopo la strage di ieri a Sultanahmet, l'Isis ha mandato l'ultimo "memento" alla Turchia di Recep Erdogan, scrive Fulvio Scaglione su Famiglia Cristiana.
Ecco perché si può parlare di memento. Colpendo in luoghi così altamente simbolici (la capitale Ankara, la Istanbul più popolare nel mondo, la Suruc piena di profughi siriani) l’Isis richiama all’ordine Erdogan. Non piace, al Califfato, il Presidente che nel 2015 (luglio) autorizza gli Usa a usare la base di Incirlik per le operazioni su Siria e Iraq, né quello che pian piano rende meno indecente la gestione dei quasi mille chilometri di confine con la Siria, da cui passavano verso il Califfato migliaia di giovani combattenti e armi e carovane e dal Califfato verso la Turchia autobotti piene di petrolio (cioè di soldi freschi per l’Isis).
Un messaggio dell'Isis anche ai miliardi di euro che Erdogan sta incassando dall'Unione Europea per gestire i profughi.
per trattenere i profughi siriani invece di spedirli lungo la rotta dei Balcani verso la Germania e i Paesi del Nord.
per trattenere i profughi siriani invece di spedirli lungo la rotta dei Balcani verso la Germania e i Paesi del Nord.
Per l’Isis e le altre formazioni islamiste anche i profughi sono un’arma, da usare per destabilizzare altri Paesi della regione (per esempio il Libano dov’è forte la componente sciita e che ora accoglie un milione e duecentomila siriani in gran parte sunniti; o la Giordania, che resiste sotto il peso di 600 mila profughi e rifugiati) o per mettere sotto pressione un’Europa già timida e impotente.
E, infine, una conclusione chiara su quale sia oggi il vero problema di Erdogan, dopo che per anni ha cercato di profittare della guerra civile tra Assad e i ribelli per partecipare alla spartizione della Siria e dopo esser arrivato fino ad un passo dallo scontro con l'abbattimento del jet russo.
Il rapporto con l’Arabia Saudita. Ankara si era scontrata nel 2013 con Riad, all’epoca della defenestrazione del presidente Morsi e dei Fratelli Musulmani da parte dei militari, con la Turchia a favore dei Fratelli e i sauditi a favore di Al Sisi e dei generali. Partita per contendere all’Arabia Saudita il ruolo di “primus inter pares” tra i Paesi sunniti del Medio Oriente, la Turchia di Erdogan si è poi dovuta integrare prima nelle iniziative belliche saudite in Yemen e poi nella coalizione militare dei 34 Paesi sunniti. Le una e l’altra viste da molti osservatori, anche turchi, più come un mezzo di Riad per regolare il contenzioso con l’Iran che per combattere il terrorismo. Quindi un modo per trascinare anche la Turchia in un confronto con gli ayatollah della cui convenienza molti hanno forti dubbi.
Il problema di Erdogan, quindi, non è l’Isis ma una massa di ambizioni gestite senza criterio e senza acume strategico, e che ora si stanno ritorcendo contro il suo Paese. Oltre a complicare non poco la situazione di una regione già stremata da guerre e crisi senza fine.