Dopo il Mes, il Fondo di risoluzione unico: un nuovo mostro targato Bruxelles
Lidia Undiemi all'AntiDiplomatico: "Si sta cercando di creare un sistema di governo delle crisi bancarie senza affrontare il problema alla radice e sulla pelle dei risparmiatori"
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di Alessandro Bianchi
Nel silenzio dei media e votato di tutta fretta in Aula con un passaggio lampo in Commissione, venerdì scorso la Camera ha dato il via al Fondo unico europeo di risoluzione delle crisi bancarie che obbliga tutti gli istituti a intervenire nel salvataggio delle banche in difficoltà. Il Fondo interverrà solo dopo il meccanismo del bail-in che potrebbe cancellare di colpo i risparmi di centinaia di migliaia di piccoli investitori, con lo Stato che potrebbe dover intervenire lo stesso, se le risorse del Fondo dovessero non bastare. Il solito regalo alle banche? Lo chiediamo ad un'esperta che dal 2011 è stata la più assidua accusatrice dei vari colpi di mano che dal Mes al Fiscal Compact il regime di Bruxelles ha imposto ai paesi della zona euro: Lidia Undiemi.
Un nuovo regalo alle banche quindi?
I paesi dell'UE stanno approvando in fretta e furia l'autorizzazione alla ratifica del trattato sull'istituzione del Fondo di risoluzione e delle regole 'comuni' attraverso cui dovranno essere affrontate le crisi del settore creditizio.
La normativa è molto complessa e articolata, basti pensare che in ambito comunitario i principali documenti di riferimento – direttiva, regolamento e trattato – contano più di 300 pagine. Scorrendole, e fermi restando i necessari approfondimenti, quel che emerge, in prima battuta, è la predisposizione di una serie di strumenti mediante cui si deciderà chi pagherà le crisi, nonché l'attribuizione di ampi poteri agli organismi che dovranno gestirle. Molti dubbi circa la reale portata della nuova governance bancaria saranno certamente risolti con i casi concreti, che noi abbiamo già a portata di mano, o meglio a portata di portafoglio.
Possiamo intanto dire che la premessa della leadership europea per far digerire quest'altro accordo – non far pagare ai contribuenti i salvataggi bancari – fa acqua da tutte le parti. Sia perchè i contribuenti hanno già pagato un conto salato con i salvataggi pubblici delle banche straniere tramite i MES (o Troika), sia perchè i contribuenti pagheranno anche in questo caso, seppur con modalità e pesi differenti. D'altronde, non è nemmeno eslcuso che il MES continuerà ad essere utilizzato per “salvare” le banche.
Chi è che subirà i danni principali da quest'accordo?
I più colpiti sono certamente i risparmiatori, le regole sulla risoluzione prevedono che i primi a pagare siano gli azionisti, seguiti dai creditori secondo l'ordine di priorità dei loro crediti. Si specifica però che nessun creditore sosterrà perdite maggiori di quelle che avrebbe dovuto sostenere se fosse stata utilizzata una procedura di insolvenza ordinaria. Su questo punto credo che si giochi una partita importante, soprattutto per coloro che hanno visto azzerare i propri risparmi. Le risoluzioni avverranno attraverso una serie di trasferimenti di partecipazioni e/o di attività e passività, tale per cui è davvero difficile immaginare che come si possa calcolare l'attribuzione della “giusta” quota di rischio di impresa da attribuire all'investitore. Il caso italiano del salvataggio delle quattro banche italiane potrebbe essere un ottimo campo di sperimentazione. Gli investitori sono stati infatti privati dei diritti inerenti la parte buona delle banche in crisi (good bank), accollandosi il rischio di una impresa che è stata portata, “ripulita”, da un'altra parte. Come è stata calcolata la quota esatta di pertinenza delle perdite per i risparmiatori rispetto ad una gestione della crisi senza il meccanismo di risoluzione? Ciò a maggior ragione se si tiene conto che la procedura pare possa essere attivata anche nei casi di crisi soltanto potenziali e non attuali.
Un nuovo governo sovranazionale delle banche che socializzerà le perdite al contrario quindi...
Un altro aspetto che preme sottolineare riguarda infatti, la responsabilità degli amministratori e dei dirigenti delle banche soggette a risoluzione. Il regolamento comunitario chiarisce che le persone fisiche o giuridiche sono tenute a rispondere, conformemente al diritto nazionale, delle proprie responsabilità per il dissesto dell'ente sottoposto alla procedura. La legge nazionale di attuazione delle norme in materia di risoluzione (decreto n. 180) pare andare molto oltre, stabilendo che con l’insediamento dei commissari speciali, non soltanto verranno sospesi i diritti di voto di coloro che detengono (o meglio detenevano) le azioni, ma attribuisce esclusivamente ai tali commissari (o ad altri soggetti nominati dalla Banca d’Italia) l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità e di quella dei creditori sociali “contro i membri degli organi amministrativi e di controllo e il direttore generale …”. Sembra quindi sia stata tolta la possibilità ai soci e ai creditori di potere agire in giudizio contro chi ha provocato danni alla banca in crisi.
In generale, quel che emerge da una prima lettura delle norme, è che si sta cercando di creare un sistema di governo delle crisi bancarie senza affrontare il problema alla radice – le liberalizzazioni e la maggiore unione finanziaria rappresentano un disastro per gli stati – ma semplicemente predisponendo un sistema finalizzato ad individuare coloro che devono accollarsi le principali perdite di ciò che evidentemente non funziona. Inoltre, la governance bancaria europea si sta costruendo anche sul presupposto che molte banche sono radicate in più paesi (gruppi transfrontalieri), e che quindi è necessario stabilire regole comuni per una risoluzione armonizzata.