La bonifica del Sahara come strumento per fermare la fuga dall'Africa e dalla fame

"Un appello a sollevare un problema e aprire una riflessione su queste ipotesi"

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La bonifica del Sahara come strumento per fermare la fuga dall'Africa e dalla fame


In un appassionante dibattito sull'ipotesi della bonifica del deserto del Sahara come strumento necessario per fermare la fuga dall'Africa e dalla fame offrendo grandi possibilità di sussistenza trovando lavoro “in loco” e, contemporaneamente, provocare in Europa il risveglio di tutte le languenti attività produttive che dovrebbero fornire gli strumenti d'ogni genere per la mastodontica impresa, il mio corrispondente Aldo Ferretti di Grosseto, membro di Legambiente e attento osservatore dei grandi fenomeni socio-economici mondiali, mi aveva cautamente fatto osservare quanto, tra l'altro, qui di seguito trascrivo.
 
“Lo sviluppo dell’Africa è un tema di cui si discute dal dopoguerra, non solo con le Organizzazioni internazionali (ONU, Banca Mondiale, ecc.) ma anche a livello di imprese multinazionali.
 
Nelle università esiste da anni un filone di studio che si chiama “sociologia dello sviluppo” e che tratta proprio i temi a noi cari. Come già detto il problema dell’Africa non è la mancanza di risorse (che invece sono abbondanti) ma di cultura politica (che non c’è).
 
Tutt’oggi ci sono troppe zone di conflitto armato in corso e altre potenziali (dalla Libia al Maghreb, dall’Egitto al Corno d’Africa, dal Sudan alla Nigeria) e pensare di andare li a fare agricoltura non è pensabile.
 
Le stesse organizzazioni umanitarie e non governative (ONG) spesso sono costrette a evacuare e chiudere progetti in corso.
 
Se l’ENI riesce a fatica a strappare concessioni per l’estrazione di petrolio e gas naturale (militarizzando i pozzi, e questo non evita rapimenti e scontri) è perché ci sono in ballo miliardi di dollari, e  non è un aspetto secondario).
 
Ma la bonifica del Sahara, sia in termini di grano nel deserto per usi alimentari o coltivazioni di colza per il biodiesel non smuove miliardi, e non è concentrabile in pochi impianti, ma sarebbe una forma di sviluppo, non controllabile dal potere, che non ci guadagnerebbe nulla.
 
Sarebbe quello che ci vuole, ma non è realistico. E non è che con un libro, anche se fatto bene, che si smuovono le coscienze di chi deve decidere (neppure Renzi potrebbe fare qualcosa, se a Bruxelles non sono d’accordo. E a Bruxelles non sono d’accordo se a Washington non sono d’accordo. E a Washington non sono d’accordo se a Pechino non sono d’accordo…). Lo sviluppo dell’Africa (o meglio il suo sottosviluppo) è una questione internazionale che smuove miliardi di dollari e di interessi. E delle migrazioni e dei barconi nel Mediterraneo non importa a nessuno (Gli USA hanno i loro problemi con le migrazioni dal Messico, la Russia ha i suoi problemi con l’Ucraina e il Caucaso, l’India ha i suoi problemi con il Pakistan, la Cina con il Tibet, Israele con la Palestina, eccetera eccetera). Oggi dall’Africa fanno notizia solo Ebola e solo i rapimenti dei tecnici e dei cooperanti occidentali.
 
Del resto, non nascondiamoci dietro un dito, i migranti clandestini fanno molto comodo alle economie sommerse, al lavoro nero, alla criminalità organizzata che gestisce il caporalato. Da questo punto di vista siamo tornati indietro di cinquant'anni, con il più assordante silenzio dei sindacati e delle organizzazioni datoriali.”
 
Purtroppo questa visione “non fa una grinza”, ma in attesa che, almeno nelle zone più a contatto con l'Europa, quale può essere la Libia, si riesca pacificamente a ristabilire un ordine che consenta normali o straordinari “sviluppi”, mi parrebbe ora indispensabile cominciare ad affrontare il problema non soltanto come da qualche parte politica si prospetta a parole, ma indirizzando lo spirito avventuroso e solidale che ancora alberga nel cuore di molti giovani e nelle menti dei saggi che, anche se vecchi e vicini all'ultimo addio, desidererebbero soltanto non fosse tradita la loro speranza di poter ancora credere nel progresso per le generazioni future.
 
A tal fine potremmo rivolgerci soprattutto (ma non solo ) alle associazioni, ai gruppi e alle personalità conosciute per il loro spirito umanitario, alle organizzazioni ecologiste e a quelle che operano a livello civile e religioso delle tre grandi fedi monoteistiche ,che proprio in questo difficile momento stanno aprendo importanti spiragli di dialogo tra loro.
 
Come ai tempi di Abramo, ( così si legge nella Bibbia) che, nel suo vagabondare di primitivo nomade, quando trovava una zona che gli pareva adatta ne acquistava una parte e cominciava a scavare un pozzo, oggi occorre sensibilizzare i giovani ad affrontare una grande sfida per portare a compimento la profezia del salmo : “Il deserto fiorirà come la rosa”.
 
Già ci sarebbero, inascoltati dai Governi, grandiosi progetti come quello della captazione delle acque del fiume Congo per alimentare l'ormai evanescente Lago Ciad che, da solo, potrebbe oggi trasformare una vasta zona del sud Sahara in fertile abitazione di migliaia di affamati.

Una “manovra” però certamente più semplice e meno costosa, potrebbe consistere in “assaggi” finanziati da gruppi di privati mossi da valori etici ed umanitari ( con eventuale apporto pubblico di qualche Stato più intelligente ) che acquistino o ottengano la concessione di aree desertiche del Sahara, per la ricerca mediante TRIVELLAZIONE non dell'inquinante petrolio, ma della prima, divina, sorgente della vita umana, l'acqua sotterranea che attende di sgorgare !

Il reclutamento dei giovani per realizzare questa attività potrebbe essere una scuola di vita, certamente qualcosa di attraente, una forma di volontariato civile per rendere fertili aree geografiche sterili e ad acquisire anche un credito formativo utile dopo il rientro nei luoghi di origine .
 
Cittadini italiani e del mondo occidentale potrebbero costruire nuovi legami con l'Africa e i giovani africani, unendosi a loro in un progetto condiviso: cercare l'acqua invece che portando armi, distruzioni e sfruttamento come ancora avviene.
 
Si tratta intanto solo di sollevare un problema e aprire una riflessione su queste ipotesi.
 
Mi piacerebbe però ricevere pareri, idee e suggerimenti e magari pensare che qualcuno tra chi legge possa aver voglia di individuare qualche strada utile a tentare questa sfida, idea alla quale sto riflettendo da molto tempo e che ora ho voluto condividere con voi.

 
Sanremo, 28 ottobre 2014
                                                                                                                                     Enrico Berio

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