L'Egitto è in vendita

Dopo la fine di Morsi, le monarchie del Golfo si spartiscono il paese

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L'Egitto è in vendita

di Mara Carro

Dopo le congratulazioni inviate alle Forze Armate, che in Egitto hanno deposto il presidente Mohammed Morsi, e al neo presidente ad interim Aldly Mansour, il 9 luglio l'Arabia Saudita ha annunciato un pacchetto di 5 miliardi dollari di aiuti per il Cairo tra donazioni, prodotti petroliferi e gas naturale e depositi senza interessi nella Banca Centrale d’Egitto. Lo stesso giorno, gli Emirati Arabi Uniti hanno offerto un pacchetto da tre miliardi di dollari e, il giorno successivo, il Kuwait ha promesso un pacchetto di aiuti dal valore di altri 4 miliardi.
 
La generosità di Riyadh e Abu Dhabi risponde senza dubbio all’esigenza di evitare un collasso economico egiziano che avrebbe gravi ripercussioni a livello regionale, ma riflette principalmente il compiacimento di queste monarchie del Golfo per il rovesciamento del governo dei Fratelli musulmani. Dallo scoppio della Primavera araba, al pari degli Stati Uniti, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e il Kuwait non hanno visto di buon occhio l’ascesa della Fratellanza Musulmana in Egitto, timorosi di perdere un alleato importante per la stabilità regionale e per il contenimento dell’espansionismo iraniano nella regione. Le monarchie del Golfo hanno anche temuto un possibile contagio rivoluzionario oltre che un ridimensionamento dell’influenza della corrente wahabita, rispetto alla quale la Fratellanza rappresenta una valida alternativa sempre di natura islamista. 
 
 La Fratellanza è un anatema per la maggior parte dei ricchi Stati del Golfo, con la parziale eccezione del Qatar, perché percepita come un minaccia per la legittimità delle loro monarchie e i loro stili feudali di governo. Il 2 luglio, un tribunale degli Emirati Arabi Uniti ha condannato 68 cittadini collegati al ramo Confraternita locale con l'accusa di sedizione. La condanna dei presunti appartenenti alla Fratellanza non è un caso isolato nella politica degli Emirati Arabi Uniti. Tra novembre e dicembre 2012, l’arresto di 11 egiziani negli Eau con l’accusa di far parte di una cellula legata ai Fratelli musulmani aprì un vero e proprio contenzioso diplomatico con l’Egitto.
L’atteggiamento del Kuwait verso la Fratellanza è più sfumato: i membri del gruppo hanno ottenuto seggi nell'Assemblea Nazionale, ma sono fonte di irritazione per il governo.
 
Diverso è il ruolo del Qatar. Il governo del nuovo emiro Tamim bin Hamad al-Thani non condivide i timori di Riyadh e Abu Dhabi nei riguardi della Confraternita e, dalla deposizione di Hosni Mubarak, il Qatar, assieme alla Turchia, ha sostenuto l’Egitto e la Fratellanza Musulmana con generose sovvenzioni e prestiti per un totale di circa 8 miliardi di dollari. L’attivismo del Qatar nel sostenere i Fratelli musulmani in Nord Africa e Vicino Oriente rientra anche nel confronto con il suo più grande vicino e rivale regionale, l'Arabia Saudita, che si ripropone oggi in Egitto dopo l’annuncio degli aiuti dei sauditi.
 
Per Washington, il nuovo sostegno finanziario è, al contempo, benvenuto e preoccupante. 
L'Egitto è di vitale importanza per gli interessi regionali degli Stati Uniti per una serie di motivi, tra i quali il controllo del Canale di Suez e  l’accordo di pace con Israele.  La Casa Bianca ha accuratamente evitato di utilizzare la parola colpo di Stato nel riferirsi alla deposizione di Morsi da parte dell’Esercito. La legge americana prevede la sospensione degli aiuti se i militari di un paese rovesciano un leader democraticamente eletto e, nel caso egiziano, a essere a rischio sarebbero 1,3 miliardi di aiuti militari e 250 milioni di aiuti per la cooperazione e lo sviluppo. Una cifra quasi irrisoria rispetto al pacchetto di aiuti promesso dalle monarchie del Golfo e che rimarca anche l’assenza di una strategia americana chiara per il Medio Oriente e per la promozione dei suoi interessi nazionali nella regione. 

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