"E' la prima volta nella storia dell'umanità che abbiamo un sistema monetario così assurdo"
L'intervista ad Alberto Bagnai, autore di "Il tramonto dell'euro"
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di Alessandro Bianchi
Alberto Bagnai. Professore di politica economica all'Università Gabriele d'Annunzio di Pescara. Curatore del blog Goofynomics ed autore di "Il tramonto dell'euro"
- Nel Consiglio europeo di giovedì 19 dicembre, Angela Merkel, di fronte all'impossibilità di far accettare ad i suoi “alleati” i cosiddetti contratti di riforma vincolanti, ha sostenuto come “senza la coesione necessaria, l'euro prima o poi esploderà”. Sarà la Germania a staccare la spina? E ci troveremo, quindi, di fronte ad una beffa assoluta per i paesi del sud che hanno deciso la via della povertà, della disoccupazione di massa e della rinegoziazione dei diritti sociali pur di restare nella moneta unica?
Alberto Bagnai. Professore di politica economica all'Università Gabriele d'Annunzio di Pescara. Curatore del blog Goofynomics ed autore di "Il tramonto dell'euro"
- Nel Consiglio europeo di giovedì 19 dicembre, Angela Merkel, di fronte all'impossibilità di far accettare ad i suoi “alleati” i cosiddetti contratti di riforma vincolanti, ha sostenuto come “senza la coesione necessaria, l'euro prima o poi esploderà”. Sarà la Germania a staccare la spina? E ci troveremo, quindi, di fronte ad una beffa assoluta per i paesi del sud che hanno deciso la via della povertà, della disoccupazione di massa e della rinegoziazione dei diritti sociali pur di restare nella moneta unica?
Farei una riflessione iniziale di principio. E' assolutamente ovvio come un'unione monetaria tra paesi diversi, creando distorsioni e tensioni derivanti dall’abolizione di quello strumento difensivo che è il cambio flessibile, non possa sopravvivere senza un coordinamento o una cooperazione. Questa esigenza basilare, iscritta in modo molto chiaro nei Trattati europei soprattutto per quel che riguarda le politiche sociali, si può realizzare in tanti modi. Quello che Angela Merkel propone oggi è abbastanza simile ad una resa senza condizioni, come ha commentato in modo molto efficace Jacques Sapir.
L'Unione Europea nasce fra paesi diversi, alcuni dei quali erano in un ritardo quantificabile in termini di Pil pro capite in una ventina di anni rispetto al paese leader, la Germania. In questo contesto, il sogno era quello di creare una comunità di eguali per competere con i big player del mondo, ma per arrivare a questo, i paesi del sud dovevano essere aiutati da quelli del nord ed una cooperazione positiva di questo tipo non si è verificata. Banalmente, se si fosse avuta, non saremo in questa crisi, perché la Germania avrebbe accettato di fare quello che i massimi economisti del mondo, penso ad esempio a Stiglitz, le suggerivano fin dall’inizio: in primis una politica fiscale espansiva e di crescita dei salari. Può anche essere fuori moda parlarne oggi, ma la dinamica Nord-sud di questa crisi può essere compresa solo attraverso un'ottica di classe: una politica espansiva ed una politica dei salari in linea con la produttività in Germania avrebbe infatti significato, per gli imprenditori tedeschi, rinunciare a dei profitti. Ora, gli imprenditori, con il massimo rispetto per il ruolo che svolgono nel sistema capitalistico, sono noti per avere scarsa prospettiva, e cercano di massimizzare i profitti nel breve periodo, creando fatalmente delle crisi. Senza arrivare ad evocare Marx, è un semplice dato di buon senso: una politica di compressione salariale del paese più ricco - che la può fare perché tutto sommato i suoi lavoratori stanno relativamente bene - portata avanti in modo scoordinato dagli altri, costringe quest'ultimi a seguirlo e determina la catastrofe. Il paese ricco, a quel punto, si rende conto di aver distrutto il suo mercato di sbocco principale e, molto probabilmente, ha voglia di tirarsi indietro. Quindi, in estrema sintesi, la risposta alla domanda è sì: il danno e poi la beffa.
- Sempre in quel Consiglio, al primo ministro spagnolo Mariano Rajoy che spiegava come il suo paese non avrebbe accettato i contratti di riforma vincolanti, Mario Draghi sentenziava: “Se non fate le riforme perderete la sovranità nazionale”. Come possono i rappresentanti dei governi continuare ad accettare dichiarazioni di questo tipo da un presidente di un istituto privato? E perché il ristabilimento del principio secondo cui la Banca centrale debba essere uno strumento del potere esecutivo non assume forza nel dibattito politico nonostante il livello della crisi attuale?
Vedo che nei dibattiti su internet si enfatizza molto la natura pubblica piuttosto che privata degli istituti di emissione. Secondo me è una questione controversa ed irrilevante, perché il punto centrale è un altro. La Bce va molto fiera della sua indipendenza, bene. Ma questa è una relazione bilaterale: tu non puoi essere indipendente da me, se io sono dipendente da te. Quando Mario Draghi si esprime in questo modo, oppure nel modo in cui si era espresso prima delle elezioni politiche italiane, quando aveva affermato che “non importa chi vincerà, perché tanto avete il pilota automatico deciso da noi”, dimostra una cosa molto semplice, che Stiglitz ed Axel Leijonhufvud hanno ampiamente messo in luce: l'indipendenza della Bce dal potere politico è una colossale inganno il cui scopo è sottrarre allo scrutinio democratico una serie di decisioni politiche fondamentali che riguardano la redistribuzione del reddito. Come ha ricordato Alberto Montero Soler a Pescara, la Spagna, ad esempio, i compiti a casa li aveva già fatti, perché aveva una situazione dei conti pubblici tra le migliori della zona euro e sicuramente migliore di quelli della Germania, per cui questa enfasi sulla riforma è uno strumento retorico per far sentire in colpa i paesi del sud, per metterli in una posizione di inferiorità morale e farli accettare politiche che sono irrazionali ed immotivate.
Il processo di costruzione della neostoria a cui ci sottopongono i media di regime cerca di far credere che l'inflazione degli anni '70 fosse dovuta alla dipendenza della Banca centrale al Tesoro. Si dimenticano due cose: in primo luogo, le lotte operaie di quegli anni, per riportare i salari in linea con la produttività e, in secondo luogo, uno shock petrolifero che ha fatto quadruplicare il prezzo del petrolio (nel 1973) ed un altro shock petrolifero che lo ha fatto raddoppiare ulteriormente (nel 1979). Ora, che in queste circostanze l'inflazione sia stata solo a due cifre mi sembra abbastanza miracoloso e devo dire che l'autonomia della Banca centrale non avrebbe aggiunto nulla di particolare, anzi, l'aver avuto un istituto di emissione che non faceva lo sgambetto al governo ci ha permesso di attraversare la crisi con danni non particolarmente rilevanti.
Oggi anche gli editorialisti dell'Economist ammettono tranquillamente che l'indipendenza della Banca Centrale ha fallito e che la deflazione negli anni '80 ci sarebbe stata anche senza l'uso della clava della valuta forte. Ci sarebbe stata fondamentalmente perché si erano arrestati quei raddoppi folgoranti dei prezzi delle materie prime – il prezzo del petrolio nel 1986 dimezzò - e si erano create delle condizioni più equilibrate sui mercati.
Lo stessa Alesina notò con grande accortezza nel 1997 che la disinflazione non era stata più rapida nei paesi dello Sme - e quindi con cambio fisso, integrazione monetaria e BC più o meno indipendente - rispetto agli altri paesi Ocse. Era stato un processo che a livello mondiale aveva seguito le stesse logiche. Non ci aveva dato nessun vantaggio in questi termini lo Sme. O meglio: il vantaggio c’era stato per alcuni capitalismi periferici, che con la politica del cambio forte avevano potuto arrestare la crescita dei salari reali. A partire dagli anni '80 si assiste alla stagnazione dei salari reali, in Italia come nel resto del mondo, che è la radice più profonda della crisi debitoria: se un capitalismo molto maturo e molto produttivo decide di ridurre i salari, per permettere agli operai di continuare a comprare i beni, ed evitare la paralisi del sistema, deve riempire questo “cuneo” con debito: pubblico fino agli anni '90 e poi privato.
Lo stessa Alesina notò con grande accortezza nel 1997 che la disinflazione non era stata più rapida nei paesi dello Sme - e quindi con cambio fisso, integrazione monetaria e BC più o meno indipendente - rispetto agli altri paesi Ocse. Era stato un processo che a livello mondiale aveva seguito le stesse logiche. Non ci aveva dato nessun vantaggio in questi termini lo Sme. O meglio: il vantaggio c’era stato per alcuni capitalismi periferici, che con la politica del cambio forte avevano potuto arrestare la crescita dei salari reali. A partire dagli anni '80 si assiste alla stagnazione dei salari reali, in Italia come nel resto del mondo, che è la radice più profonda della crisi debitoria: se un capitalismo molto maturo e molto produttivo decide di ridurre i salari, per permettere agli operai di continuare a comprare i beni, ed evitare la paralisi del sistema, deve riempire questo “cuneo” con debito: pubblico fino agli anni '90 e poi privato.
- La nuova Unione Bancaria, che sarà pienamente operativa solo nel 2025, è stata criticata da diversi esperti per la mancanza di protezione oggettiva rispetto alle perdite reali delle banche, il non chiaro utilizzo del Mes ed il rischio di quello che è stata definita la possibile “germanificazione del capitale”. Qual è il suo giudizio complessivo sull'accordo raggiunto e che impatto potrà avere sulla crisi attuale?
Mi sembra che a grandi linee si stia proseguendo con quello che è un format consolidato del percorso europeo: vengono fatte delle dichiarazioni che inizialmente allarmano gli elettori, si fa passare un po' di tempo, ci si riprova, si fa passare un altro po' di tempo e si mette in pratica quello che si era deciso fin dall'inizio, perché l'attenzione è caduta ed il sistema dei media ha in qualche modo mitridatizzato gli elettori, rendendo politicamente sostenibile quello che inizialmente non lo era. Fu proprio Jean Claude Juncker, l'ex presidente dell'Eurogruppo, a dichiarare esplicitamente che la strategia politica dell'eurozona era questa.
L'episodio di Cipro con il bail-in che ha sorpreso tutti è esemplificativo. Poco dopo, l'attuale presidente dell'EuroGruppo, l'olandese Jeroen Dijsselbloem, dichiarò che quello sarebbe stato il modello che avremo adottato per salvare le banche. Grande levata di scudi dell'opinione pubblica e poco dopo, a marzo, Dijsselbloem smentì sé stesso. Ad aprile il ministro delle finanze tedesco Schauble disse che saremo andati avanti su questa strada. Nessuno ha più detto niente e a fine anno abbiamo un'Unione Bancaria che adotta lo schemino di Cipro, secondo cui le banche devono essere salvate fondamentalmente da chi ci ha messo i propri risparmi. Le critiche che sono state fatte le giudico tutte opportune e valide. Ma il problema di fondo è più generale ed è che siamo inseriti in un processo non completamente trasparente in termini di democrazia, che impedisce agli elettori di cogliere in pieno quello che stia accadendo. La sintesi migliore della riforma bancaria ce l'ha fornita Carlo Alberto Carnevale Maffè della Bocconi, che in un tweet l'ha descritta in questo modo: “Quali banche falliscono lo decidiamo noi e poi i soldi ce li mettete voi”.
L'episodio di Cipro con il bail-in che ha sorpreso tutti è esemplificativo. Poco dopo, l'attuale presidente dell'EuroGruppo, l'olandese Jeroen Dijsselbloem, dichiarò che quello sarebbe stato il modello che avremo adottato per salvare le banche. Grande levata di scudi dell'opinione pubblica e poco dopo, a marzo, Dijsselbloem smentì sé stesso. Ad aprile il ministro delle finanze tedesco Schauble disse che saremo andati avanti su questa strada. Nessuno ha più detto niente e a fine anno abbiamo un'Unione Bancaria che adotta lo schemino di Cipro, secondo cui le banche devono essere salvate fondamentalmente da chi ci ha messo i propri risparmi. Le critiche che sono state fatte le giudico tutte opportune e valide. Ma il problema di fondo è più generale ed è che siamo inseriti in un processo non completamente trasparente in termini di democrazia, che impedisce agli elettori di cogliere in pieno quello che stia accadendo. La sintesi migliore della riforma bancaria ce l'ha fornita Carlo Alberto Carnevale Maffè della Bocconi, che in un tweet l'ha descritta in questo modo: “Quali banche falliscono lo decidiamo noi e poi i soldi ce li mettete voi”.
- Professore veniamo al dibattito sull'euro. Le tralascio di ripetere tutte le ragioni per cui la moneta unica sia economicamente insostenibile, che illustra ampiamente con la sua opera di divulgazione giornaliera. Mi soffermerei sul fatto che un numero crescente di commentatori, critici dell'attuale architettura istituzionale europea, ha iniziato a chiedere con sempre più insistenza che i paesi dell'Europa meridionale, prima di forzare una dissoluzione della zona euro, formino un cartello e costringano i paesi del Nord ad i cambiamenti necessari. Cosa risponde loro ed è una strategia davvero percorribile oggi?
Con il massimo rispetto o sono incompetenti o sono ipocriti. Insomma: o non conoscono la storia monetaria recente o hanno delle rendite di posizione da difendere. In questo momento dare la colpa di quello che sta succedendo all'austerità e quindi alle regole fiscali, ma non all'euro, significa prendere due piccioni con una fava: perché da un lato assumi una posizione critica, simil-keyenesiana, e quindi fai finta di essere di sinistra, “rivoluzionario”, ma, dall'altro, non tocchi il nocciolo del problema che è la rigidità dell'euro, uno strumento creato per facilitare la libera circolazione del capitale e quindi per dare a quest’ultimo l'ennesimo vantaggio sul lavoro. Ed in questo modo difendi un progetto che è intrinsecamente di destra neoliberale. Quindi, agendo così, personaggi di questo tipo si mettono in salvo in entrambi gli scenari possibili, dove potranno conservare la propria nicchia di potere. Questo è il motivo che li spinge a mentire rispetto ad una serie di evidenze.
In primo luogo, parlare di coercizione politica o di minaccia da parte dei paesi del sud rispetto ai paesi del nord è una cosa totalmente assurda: intanto, anche se uniti, i primi sarebbero sempre in una posizione di estrema debolezza; inoltre, esortare ad un atteggiamento di minaccia, in una fase di tensioni politiche così forti, è una cosa totalmente irrazionale, che rischia di fomentare dei veri e propri conflitti intra-europei che potrebbero non essere solo diplomatici o antidiplomatici, ma qualcosa di peggio. Chi evoca questi scenari è un apprendista stregone, incosciente ed incompetente. Non è con la minaccia che si fa politica, ma con la ricerca di una solidarietà e di un percorso comune.
In secondo luogo, chi evoca questo tipo di scenario fa finta di non capire, o forse non capisce per la mancanza di strumenti intellettuali, che siamo costretti a fare austerità perché c'è l'euro. Basta un qualunque testo di macroeconomia elementare per capirlo. Il perché è molto semplice: gli squilibri che dobbiamo risanare, nonostante l'impostura dei media che ci descrivono la crisi come di finanza pubblica, sono fondamentalmente di finanza privata, determinati dai rapporti di debito e credito estero. Questi squilibri si risolvono rimettendo a posto il saldo delle partite correnti, cioè riducendo il debito estero dei paesi del sud. Ora si dà il caso che in ogni funzione di domanda ci siano due argomenti: il reddito ed i prezzi. Se noi blocchiamo il tasso di cambio, di fatto limitiamo grandemente l'aggiustamento attraverso il meccanismo dei prezzi e quindi per riportare in equilibrio la bilancia dei pagamenti di un paese del sud - per far ridurre rapidamente il suo indebitamento estero, cioè - abbiamo solo l'aggiustamento di reddito. Quindi: o diciamo al resto del mondo di crescere il triplo in modo tale che possiamo esportare di più – il che è palesemente assurdo, perché noi non possiamo né chiedere agli altri di tirarci fuori dai guai, né loro possono farlo – o accettiamo il fatto che col cambio fisso l'unica strada è tagliare i nostri redditi e quindi le nostre importazioni. Ma questo dobbiamo farlo perché ci siamo preclusi il meccanismo di aggiustamento attraverso la variazione del tasso di cambio nominale.
E dove risalta la malafede, l'incoscienza, l'ignoranza di certe persone è quando si fa una riflessione molto semplice: questa è la prima volta nella storia dell'umanità che viene adottato un sistema di tasso di cambio centro-periferia che non preveda alcun tipo di riallineamento nominale, non preveda alcun tipo di rifinanziamento degli squilibri e non preveda alcun tipo di intervento nel caso di squilibri fondamentali.
Cominciamo dal riallineamento del cambio. Le persone che hanno studiato il Gold Standard sulle carte dei Baci Perugina evidentemente non sanno quello che studi del Fondo Monetario Internazionale ampiamente documentano, vale a dire che perfino nel Gold Standard fra il centro – Francia, Germania, Stati Uniti e Regno Unito - e la periferia – costituita da paesi come l'Italia, ma anche Cina e Brasile, che esistevano anche allora, sorpresa esisteva la Cina! – il meccanismo di riallineamento nominale del cambio giocava un ruolo molto importante. E non mi riferisco solo al fatto, ovvio, che comunque il contenuto aureo di una moneta poteva essere cambiato. Non parlo di riallineamenti (svalutazioni) traumatici, ma della fisiologia del sistema. I paesi periferici non adottavano, infatti, il tallone aureo ma avevano o il tallone argenteo, e quindi il cambio fluttuava in relazione alla fluttuazione dei prezzi dei due metalli (oro e argento); oppure, come l'Italia fece per tanto tempo, il corso forzoso, cioè biglietti a corso legale, che oscillavano rispetto all'oro (con buona pace dei dilettanti per i quali il corso forzoso – che loro chiamano “moneta fiat” – esiste solo dalla fine del sistema di Bretton Woods). Il cambio perennemente fisso uno a uno (un'unità di conio della periferia per una unità di conio del centro) non è mai esistito nella storia dell'umanità prima dell'euro. E se qualcuno mi dimostra il contrario gliene sarò grato.
Secondo, nell’Eurozona non è stato previsto alcun meccanismo di finanziamento degli squilibri: nel sistema di Bretton Woods, che era un sistema di cambi fissi, era stato creato il Fondo monetario internazionale appunto per rifinanziare gli squilibri di breve periodo delle bilance dei pagamenti. Nell'euro non è stato previsto nulla di tutto questo: l’euro è un progetto costruito su una fiducia illimitata nel fatto che il mercato privato di capitali avrebbe fatto il suo lavoro ed avrebbe riequilibrato la situazione. Chi difende l’euro, quindi, anche se si presenta in maglietta e non in gessato e cravatta, è sostanzialmente un fondamentalista di mercato, uno scarto della scuola di Chicago, superato a sinistra ormai perfino dal vicegovernatore della Bce, il quale, bontà sua, nel maggio scorso (2013) ha ammesso che “i mercati non hanno funzionato come avrebbero dovuto funzionare in teoria”.
Terzo, gli squilibri fondamentali. Le parità erano riaggiustabili nel sistema di Bretton Woods, ma anche nel Gold Standard, come abbiamo detto, attraverso la riduzione del contenuto aureo dichiarato della moneta. La possibilità di un riaggiustamento, che storicamente è sempre stata presente in tutti i sistemi di cambio fisso, nell’euro viene assurdamente e astoricamente negata: un euro tedesco sarà un euro portoghese per sempre: si tratta di una totale assurdità. Altro aspetto, nel sistema di Bretton Woods era prevista la clausola della valuta scarsa, e quindi era previsto che si adottassero dazi discriminatori verso un paese che teneva politiche mercantiliste di surplus continuo. Questo non è più possibile. E' la prima volta nella storia dell'umanità in cui abbiamo un sistema monetario così assurdo, è la prima volta nella storia dell'umanità in cui abbiamo dei colleghi così poco disposti a venire a patti con la storia e la realtà, e quindi, non a caso, è la prima volta che abbiamo a che fare con una crisi così assurda, inutile e persistente.
- Un sistema monetario assurdo che mette in pericolo il resto del processo di integrazione del continente?
Il sistema creato urta, paradossalmente, contro due esigenze legittime e ovvie, che avrebbe dovuto favorire. La prima esigenza era quella di accelerare il recupero da parte delle economie periferiche. Queste, per crescere di più, avrebbero avuto bisogno di capitali e l'euro ne facilitava certo la circolazione. Al contempo, queste economie, crescendo di più, avrebbero naturalmente sperimentato un tasso d'inflazione maggiore, dato che erano più surriscaldate. Se corri sudi, se un’economia cresce ci si può aspettare che abbia un’inflazione fisiologicamente più alta. Con un sistema monetario così assurdo era prevedibile (e previsto) che fatalmente questo processo naturale si sarebbe trasformato in una disastrosa perdita di competitività da parte delle economie più deboli, che sarebbero andate in crisi proprio a causa del loro tentativo di emanciparsi, ed è quello che è successo.
Il secondo motivo per il quale un sistema così assurdo urta contro la logica di un'unione economica è quello che ho spiegato a dicembre nella mia audizione in commissione finanze, ed ho visto che è stato ripreso da Sapir in un modo molto intelligente. Ed è questo: se tu puoi fare aggiustamenti solo tagliando salari e redditi, di fatto distruggi il Mercato interno, vale a dire il motivo stesso di essere di una unione economica, che non è quello di essere uniti per combattere gli altri, ma è quello di essere uniti per avere un forte mercato interno al quale rivolgersi in caso di shock esterni, un mercato interno che funzioni da “ammortizzatore”. Per competere con gli altri si può essere benissimo piccoli e soli come la Corea del sud che sta tra Giappone e Cina e non ha nessuna intenzione di fare un'unione monetaria né con l'uno né con l'altra perché preferisce mantenere la propria flessibilità. Non è necessario essere un'enorme petroliera per sopravvivere al mare in tempesta ed in qualche caso essere grossi può essere un problema: se la Costa Concordia, banalmente, fosse stata una nave più piccola, avrebbe pescato di meno e non sarebbe successo quello che è successo.
- Di tutto il terrorismo mediatico a cui abbiamo assistito in questi mesi su una possibile uscita dall'euro, dall'inflazione al livello di Weimar all'impossibilità di reggere la concorrenza della Cina, fino alle inevitabili ritorsioni della Germania, quale è stata secondo Lei la distorsione più grande fatta dall'informazione?
Su questo aspetto sto progettando un libro, perché il furto di verità che il sistema dell'informazione, non solo in Italia ma in tutta Europa, ha perpetrato è stato un colossale furto di democrazia. Io mi chiedo se un medico si esprimesse su un giornale in termini così dissonanti rispetto a quello che sta scritto su un manuale di medicina del primo anno, che cosa potrebbe succedere? E invece assistiamo a persone che falsificano la realtà, ricostruendo il passato in modo assolutamente arbitrario, come ho dimostrato più volte nel mio blog. Nessuno di questi argomenti che vengono portati ha senso.
Non ci si mette insieme per fare il tiro alla fune con la Cina, ma ci si mette insieme per godere di un mercato interno, come sosteneva correttamente Alesina fin dagli anni ’90. Ci sono tanti paesi piccoli che competono con successo sfruttando con intelligenza i propri vantaggi comparati. L'inflazione al livello di Weimar mi fa solo sorridere, perché il riallineamento che ci si aspetta (peraltro rispetto alla Germania e non rispetto agli Stati Uniti) è dell'ordine del 20% - rispetto al dollaro probabilmente di meno - e noi abbiamo sperimentato cose di questo tipo - noi e paesi simili a noi - più volte nella nostra storia: intanto nel 1992 e sappiamo come andò, ma anche quando siamo entrati nell'euro, quest'ultimo ha perso il 20% del suo valore rispetto al dollaro e non sono aumentati del 20% i prezzi, eppure il petrolio lo compravamo in euro. Ancora, in seguito allo shock del 2008 abbiamo visto come la Polonia, la Corea del sud, l'Inghilterra e adesso gli Stati Uniti, il Giappone hanno iniziato a svalutare e non si vedono fiammate inflazionistiche. Questa argomentazione non ha alcun senso e la letteratura economica lo ha ampiamente dimostrato.
E quindi siamo alle parole in libertà e messaggi terroristici, ma non è un caso che vengano da giornali che spesso sono espressioni di grossi gruppi finanziari - per i quali indubbiamente il change over sarebbe una seccatura - o di poteri industriali che hanno de-localizzato, soprattutto grazie all'apertura ad est dell'Ue, la propria attività e per i quali quindi il riallineamento al ribasso della valuta italiana sarebbe un problema, perché quando poi reimportano i loro prodotti in Italia per venderli su quello che è ovviamente un mercato più ricco di quello della Romania o della Bulgaria chiaramente risulterebbero svantaggiati. Siamo in mano a persone che preferiscono distruggere 60 milioni di italiani per i loro sporchi interessi e questo alla lunga creerà inevitabilmente delle tensioni sociali.
- Nel Manifesto di solidarietà europea di cui è firmatario e sostenitore, si auspica una dissoluzione controllata dell'eurozona, con l'uscita in primis dei paesi più forti del Nord e con quelli del sud che potrebbero restare temporaneamente nell'euro e poi poter scegliere se mantenerlo, creare altre valute con paesi affini o tornare tutti alle monete nazionali. Qual è secondo Lei la scelta valutaria migliore che l'Italia, in seguito alla dissoluzione controllata, dovrebbe prendere?
Leggi la seconda parte dell'Intervista al Prof. Alberto Bagnai: "L'Italia è il paese che avrebbe il maggior interesse ad uscire dall'euro"
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