Localizzazione e economia della felicità: Carlo Sibilia intervista Helena Norberg-Hodge

In occasione dell'incontro del 15 marzo a Bangalore è stata redatta una Carta simbolo di un modello si sviluppo alternativo possibile

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Localizzazione e economia della felicità: Carlo Sibilia intervista Helena Norberg-Hodge

 
 
Il 15 marzo scorso si è svolta a Bangalore, in India, la terza Conferenza sull'economia della felicità, a cui hanno partecipato oltre mille delegati da tutto il mondo. A rappresentare l'Italia e nello specifico il Movimento Cinque Stelle, è stato Carlo Sibilia, invitato dalla promotrice Helena Norberg-Hodge. Il deputato descriveva con un post di Facebook l'avvenimento in questo modo: "Dobbiamo capire che tutto questo non si può fermare. Il mondo è in fermento. E insieme lo cambieremo togliendo il profitto economico dal centro della politica e lasciandolo al cittadino. Da Globalizzazione a localizzazione". 



 
La globalizzazione, spiega Helena Norberg-Hodge nel suo discorso di presentazione dell'avvenimento, è un sistema mostruoso che molte persone non hanno ancora compreso. "Anche i nostri ministri delle finanze che promuovono maggiore deregolamentazione commerciale e finanziaria non hanno ancora capito o riconosciuto le conseguenze su società e ecosistemi".
 
In questa video-intervista rilasciata a Carlo Sibilia a Bangalore, Helena Norberg-Hodge, fondatrice e direttrice del ”International Society for Ecology and Culture” (ISEC) e vincitrice del Right Livelihood Award, espone il suo pensiero sulla localizzazione:
 
 
 
 
Al termine dei lavori della Conferenza è stato redatto un documento, inedito in Italia, sintesi meravigliosa di anni di ricerche e esperienze sul territorio delle diverse realtà incontratesi in India: la "Costituzione della Localizzazione" - Localization: a Draft declaration. Non c'è un testo più chiaro e efficace al momento secondo noi per comprendere i danni che l'attuale sistema economico-finanziario in mano a un gruppo molto ristretto di corporazioni e istituti finanziari globali ha prodotto sulla vita di centinaia di milioni di cittadini di tutto il mondo.
 
 
 
 
"La Costituzione della Localizzazione"
 
La Globalizzazione, o la deregolamentazione del mercato e della finanza internazionale, ha permesso a un piccolo gruppo di corporazioni, banche e speculatori finanziari globali di divenire più potenti dei governi sovrani. Essi usano la loro influenza per ottenere agevolazioni fiscali e sussidi, per indirizzare a loro favore i regolamenti e le regole di mercato, per imporre il debito, manipolare il valore delle monete e – quando le cose vanno male – per estorcere immensi salvataggi ai contribuenti. 
 
Per la grande maggioranza delle persone, la globalizzazione ha significato maggiore competizione per lavori scarsi e una caduta dei salari e dei benefici. Essa ha rimpiazzato le responsabilità della cittadinanza con un obbligo al consumo; ha significato un mondo omogeneizzato in cui la diversità culturale viene erosa per valere dell'efficienza globale del mondo degli affari; ha letteralmente portato alla bancarotta gli stati nazionali; ha significato la morte dei sistemi di conoscenza locale simboleggiati da milleni di adattamento a luoghi particolari. Essa ha, infine, minacciato le fondamenta stessa della democrazia.
 
Per il mondo naturale, la globalizzazione è stata una catastrofe. Intorno al pianeta, aree selvagge e fragili ecosistemi vengono sacrificati sull'altare della crescita globale. Un numero sempre maggiore di specie viene guidata verso l'estinzione, e i cambiamenti climatici si stanno intensificando. Dagli atomi al Dna degli organismi viventi essa è stata modificata.


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Nell'economia globale, ogni cosa è in vendita, nulla, sembra, sacro. Nonostante la retorica dell'inevitabilità che la supporta, la globalizzazione è un processo politico di cambiamento pianificato. E' guidato dalle politiche dei governi che supportano l'agenda dei profitti delle grandi aziende e delle grandi banche. Queste politiche includono la deregolamentazione del commercio internazionale e delle finanze attraverso gli accordi di "libero mercato" e comportano che la costruzione della rete di trasporti, di comunicazione e delle infrastrutture dell'educazione siano legati ai bisogni delle grandi corporazioni, comportano il sovra-regolamento delle imprese locali e l'uso di riferimenti ingannevoli come il Pil.
 
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Noi qui di seguito rigettiamo i miti su cui la globalizzazione economica si è costruita:
 
Rigettiamo il mito che la globalizzazione sia evolutiva e inevitabile. La globalizzazione è invece il prodotto di politiche dei governi che sistematicamente favoriscono i grandi sui piccoli e sui locali.
 
Rigettiamo il mito che la globalizzazione sta creando un "villaggio globale" di pace e di intenti comuni. Sta in realtà sottolineando la competizione per i lavori scarsi e un ristretto numero di commodities globali, aumentando il conflitto e minando l'identità culturale ed individuale in tutto il mondo.
 
Rigettiamo il mito che "il business su larga scala" sia più efficiente. L'efficienza del business globale è un'illusione costruita sui sussidi dei governi, le agevolazioni fiscali e sull'abilità delle corporazioni di spostare i loro costi sociali e ecologici sulle persone e sulla natura.
 
Rigettiamo il mito che specializzare l'economia per favorire le esportazioni conduca alla creazione di lavoro e benessere. Le economie export-led distruggono in realtà i mezzi di sostentamento, impoveriscono i molti mentre concentrano il benessere nelle mani di pochi.
 
Rigettiamo il mito che i progressi nell'high tech siano sempre positivi. Ingegneria genetica, potenza nucleare, nano tecnologia servono ad aumentare il potere delle TNC (Transnational Corporations – Corporazioni transnazionali) e intensificare la nostra dipendenza su di loro, mentre aumentano esponenzialmente lo sfruttamento del mondo naturale.
 
Rigettiamo il mito che la scelta sia tra grandi aziende e grandi governi. Ridurre la scala dell'attività economica ci permetterebbe di ridurre anche la scala del governo.

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Dichiariamo che la localizzazione dell'attività economica è in questo momento richiesta in modo urgente: un prerequisito per risolvere le nostri crisi sociali ed ecologiche più serie.
 
Localizzazione significa la re-regolamentazione del commercio e della finanza globale e una deregolamentazione del commercio e delle finanze locali. Molti regolamenti sono stati attuati per gli abusi di imprese grandi e globali, ma hanno l'effetto di strangolare quelle più piccole e sostenibili.
 
Localizzazione vuol dire ridurre i poteri di TNC e banche. Questo aiuterebbe a aumentare la responsabilità giuridica del mondo degli affari e ridurre l'erosione della democrazia.
 
Localizzazione significa ridurre la distanza tra produttori e consumatori, diversificare e decentralizzare l'attività economica. Questo renderebbe le economie più resistenti e stabili e favorirebbe nuove opportunità per la maggioranza.
 
Localizzazione significa rafforzare gli affari su scala umana, specialmente per i bisogni essenziali come cibo, acqua, energia ma anche l'abitare, il settore del credito, la salute e i media. Questo significa centinaia di migliaia di imprese più piccole, piuttosto che pochi monopoli gestiti dalle corporazioni.
 
Localizzazione significa investire più sul lavoro umano, meno in energia e tecnologia. Questo significa più prosperità locale e una riduzione nell'uso di risorse e inquinamento.
 
Localizzazione significa meno trasporti, pacchi e processi di produzione. Questo ridurrebbe in modo significativo l'impronta ecologica umana, in particolare per le emissioni di CO2.
 
Localizzazione significa adattare l'attività economica alle diversità degli eco-sistemi. Questo aiuterebbe a restaurare sia la diversità biologica che culturale.
 
Localizzazione incoraggia una connessione più profonda tra le persone e la natura. Questa connessione è non solo necessaria per il nostro essere fisico e spirituale, ma è essenziale per comprendere la natura olistica intorno a noi.
Per queste ragioni invitiamo i governi a prendere i passi necessari per svincolarsi dalla morsa di mobili corporazioni irresponsabili legalmente e delle istituzioni finanziarie, spostandosi immediatamente dal globale al locale.

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Invitiamo i governi a rinegoziare i trattati commerciali per regolare le banche e le corporazioni globali. I cosiddetti trattati di "libero commercio" hanno dato alle TNC la capacità di spingere le nazioni una contro l'altra, sventrando leggi e regolamenti che proteggono il lavoro, le risorse e l'ambiente.
 
Invitiamo i governi a spostare le tasse e i sussidi che attualmente favoriscono ciò che è grande e globale. Piuttosto che tassare pesantemente il lavoro mentre si sussidiano l'uso di energia e tecnologia, le politiche devono promuovere la creazione del lavoro e i mezzi di sostentamento, minimizzare lo spreco di energia e altre risorse.
 
Invitiamo i governi a spostare gli investimenti pubblici in infrastrutture che attualmente favoriscono il grande e il globale. Miliardi di dollari vengono ancora investiti nel creare e migliorare infrastrutture basate sul mercato – grandi autostrade, terminal per navi e aeroporti – mentre i bisogni delle economie locali vengono negati.
 
Invitiamo i governi a controllare e regolare la creazione di saldi e debito. Lasciando questi elementi chiave delle economie moderne nelle mani di banche e istituzioni finanziarie che non hanno alcun controllo giuridico ha condotto alla speculazione avventata e al collasso economico, oltre che ad un abisso crescente tra ricchi e poveri.


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Questi passaggi porterebbero finalmente i governi dalla parte delle popolazioni di tutto il mondo che stanno lavorando per ricostruire le loro economie, restaurare gli eco-sistemi decimati dal depredare economico, e permettere alle loro identità e culture di sopravvivere all'assalto furioso del consumismo. L'obiettivo è un mondo in cui una moltitudine di imprese fornisca su larga scala lavoro, opportunità e molti dei beni e servizi di cui le persone hanno bisogno; un mondo in cui sia i villaggi che le città possano crescere e in cui la natura possa fiorire.
 
Il sentiero delineato offre la prospettiva di una prosperità reale e durevole, non misurabile dalla crescita del Pil, ma da uno spread umano e ecologico.

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