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di Cesare Sacchetti
Cambiare tutto affinché nulla cambi. Questa è l’espressione gattopardesca che potrebbe rappresentare lo scenario del dopo euro. Gli economisti di stampo liberista hanno impiegato poco tempo ad abbandonare la strenua difesa della moneta unica, basti ricordare Tabellini e Zingales, i quali, conoscendo l’economia, hanno ben compreso che l’euro ha i giorni contati e hanno virato prontamente per poter salire sul carro della sovranità monetaria, sempre più affollato di redivivi nostalgici della lira, che il giorno prima consideravano un apostata chiunque prospettasse un’uscita dall’unione monetaria.
Come nel gioco delle sedie musicali, nessuno vuole evitare di rimanere in piedi alla fine della musica. E’ necessario e auspicabile quanto prima un ritorno alla sovranità monetaria, ma questa da sola non è sufficiente per governare la macchina dell’economia, se non accompagnata da un diverso impianto di riferimento macroeconomico e monetario, è del tutto ininfluente. Basti pensare che sui social network in questi giorni compare un’immagine, condivisa anche da molti sostenitori dell’uscita dall’euro, che invoca un ritorno alla lira agganciata al dollaro. L’Argentina degli anni’90 guidata da Menem seguì questo esempio e ci ricordiamo nel 2002 come finì.
Questa è la prima trappola da evitare, la valuta non deve essere agganciata ad alcun cambio fisso, ma deve osservare la caratteristica della flessibilità che le permetta di non essere attaccata dalle speculazioni dei mercati, come successe nello SME negli anni’90. Un’altra ipotesi che è stata paventata anche di recente, è la costruzione di un Euro B, un’unione monetaria con gli stati del Sud Europa e una Germania che ritornerebbe al marco tedesco. Un’opzione che non risolverebbe i problemi strutturali connessi a un’unione monetaria e non menziona quale sarebbe la Banca Centrale a gestire l’emissione dell’Euro B. La BCE partecipata a maggioranza della Bundesbank tedesca?
I massacri sociali, i tagli alla spesa pubblica e le privatizzazioni si possono realizzare – e la storia è piena di esempi - anche con una moneta sovrana e un famigerato precedente di questa politica economica è l’Inghilterra degli anni’80 di Margaret Thatcher, figlia del monetarismo di Milton Friedman degli anni’70 e ideologicamente appartenente al pantheon dei von Mises e von Hayek, i filosofi dello stato minimo e non interventista. L’Inghilterra della Lady di ferro, disponeva di una valuta sovrana, la sterlina, ma decise deliberatamente di non sfruttare i vantaggi che essa concedeva per realizzare politiche sociali, ma, al contrario, praticò il primo esperimento economico neoliberista del XX secolo con annesso smantellamento dello stato sociale.
Il primo attacco al lavoro partì nel 1984 quando la Thatcher si impegnò a limitare duramente il diritto di sciopero dei lavoratori, e il culmine si raggiunse quando il sindacato dei minatori si oppose a questa ipotesi proclamando lo sciopero ad oltranza. Dopo la battaglia di Orgreave, con la polizia impegnata in una dura repressione contro i minatori, che fece registrare 123 feriti totali, il sindacato dovette cedere e accettò la limitazione del diritto di sciopero. Si passò all’ondata di privatizzazioni, con la cessione della compagnia aerea di bandiera, la British Airways , per poi cedere la British Gas, la compagnia nazionale dell’energia, la British Telecommunication, leader nel settore delle telecomunicazioni e la British Steel, la prima casa produttrice dell’acciaio. Nel modello ordoliberale lo Stato si spossessa delle sue partecipazioni in attivo, le offre in gestione a monopoli privati, molto spesso monopoli “naturali” poiché sui trasporti e nelle telecomunicazioni non può sussistere nessuna concorrenza perfetta, come fraudolentemente rappresentato nella narrativa legittimante le scellerate privatizzazioni.
L’Inghilterra si priva degli utili delle sue partecipazioni, la lotta contro l’inflazione considerata il vero nemico dalle teorie neoliberiste porta la disoccupazione dal 5% del 1980 al 11% del 1983. Sullo sfondo il “big bang” della deregolamentazione finanziaria del 1986, che aprirà le porte alle speculazioni sui mercati borsistici dando vita al rampantismo finanziario degli anni’80, consacrato nella pellicola di Oliver Stone “Wall Street” del 1987. La finanza da quel momento assume un ruolo preminente rispetto all’economia ed è in grado di attaccare la sovranità degli stati. Hanno fatto un deserto e lo hanno chiamato pace, ecco l’espressione che forse può riassumere meglio il thatcherismo.
Per tornare alle vicende di casa nostra, il modello economico costituzionale è stato soppiantato dall’ordoliberismo negli ultimi trent’anni, partendo dalla stagione delle privatizzazioni del 1980 realizzate da Prodi alla guida dell’IRI, per poi realizzare il passo successivo nel 1981 con il divorzio Tesoro-Bankitalia che toglierà alle autorità governative il controllo della banca centrale, fino all’ annus horribilis del 1992 con la massiccia cessione delle partecipazioni statali e il prelievo forzoso sui conti correnti degli italiani. Chi sostiene la tesi che “stavamo male anche con la lira”, non menziona mai il fatto che lo Stato negli ultimi 20 anni non ha mai perseguito una politica di aumento della spesa pubblica, praticando l’avanzo primario, né tantomeno è tornato in possesso della sua banca centrale. Da quando l’Italia ha adottato il modello ordoliberale, i salari si sono ridotti sempre più, i costi dei servizi pubblici lievitati, gestiti in monopolio da compagnie straniere, e la disoccupazione supera il 10%.
Un ritorno alla lira, deve essere l’occasione per ricostruire un modello economico perduto e demolito negli anni, con una Banca d’Italia partecipata interamente dal Tesoro che governa la politica monetaria; con il recupero dell’interventismo e del ruolo dello Stato per risolvere le crisi sociali, servendosi anche di un ripristino delle partecipazioni statali; con la costruzione, infine, di una banca pubblica per realizzare il precetto dell’art.47 della Costituzione con l’obbiettivo di disciplinare, coordinare e controllare l’esercizio del credito. Se si vuole un ritorno alla sovranità monetaria per continuare ad adottare un modello economico recessivo e deflattivo, sarà solo un cambio apparente e di facciata così da poter fornire il pretesto che una sovranità monetaria è inutile. Non basta solo una valuta sovrana, condizione prima per il cambiamento, ma è necessario (ri)conquistare anche una sovranità economica, con gli strumenti di regolazione dell’economia mista.