di Alessandro Bianchi
Helena Norberg-Hodge. Fondatrice e direttrice dell'International Society for Ecology and Culture (ISEC). Autrice di Ancient Futures, produttrice e co-autrice del film documentario "The Economics of Happiness".
- In Italia abbiamo vissuto un autunno drammatico per quel che riguarda il clima. Intere regioni hanno vissuto una situazione di emergenza continua in quello che i media definiscono “un'ondata anomala”. Il problema è che questa ondata anomala è oggi la normalità in tutto il mondo. In questo contesto, nessuno, tra governi e media, cerca di andare in fondo per trovare una risposta alla vera questione: il nostro modello di sviluppo è, o non è, sostenibile per il nostro ecosistema? Siamo, secondo Lei, vicini ad un punto di rottura drammatico per il clima? E cosa può accadere nei prossimi mesi senza un radicale cambio di approccio delle nostre economie?
Possiamo pregare che il clima non si deteriori così rapidamente e drammaticamente come temono alcuni scienziati. Il fatto è che non possiamo fare previsioni con certezza quando si affrontano le complessità insite negli ecosistemi viventi. Da questo punto di vista, quindi, “il punto di rottura” è probabilmente il termine sbagliato. Il mondo naturale è complesso e flessibile. Tuttavia, le nostre sovrastrutture umane continueranno a soffrire ed è chiaro che abbiamo urgente bisogno di ridurre rapidamente le emissioni di C02.
- Nonostante il modello di sviluppo dominante basato sulla globalizazione di merci e di capitali ha recentemente creato un esercito di disoccupati di lungo periodo, ha prodotto povertà indiscriminata e sta uccidendo il pianeta, l'alternativa possibile proposta nel suo ''Economics of Happiness", in grado di offrire una via sostenibile, non è ancora molto conosciuta al grande pubblico. Come lo spiega?
L'idea di assoluto buon senso che dovremo smettere di spedirci avanti e indietro in giro per il mondo merci identiche non è ancora molto nota, perché abbiamo permesso alla finanza di sponsorizzare la visione dominante. La nostra comprensione del sistema è quindi plasmata – in politica, nei media e nelle università - da una percezione ristretta. Un pensiero tecnico che non è capace di mettere il grande quadro insieme. L'idea che la crescita economica – attraverso i trattati di “libero” commercio e ad alta tecnologia – è il solo modo di creare lavoro e portare stabilità e prosperità è stata imposta come una religione cieca. Diversi think tank usano miliardi di dollari per promuovere questa idea, usando la ricerca scientifica, la pubblicità e i media. Da parte sua, la popolazione ha solo il volontariato e pochi spiccioli per contrastare l'ideologia dominante.
- Vari movimenti e associazioni che cercano di costruire un nuovo modello di sviluppo si sono incontrati lo scorso anno a Bangalore, in India, ed hanno stilato una Carta di principi della delocalizzazione - Localization: a Draft declaration. L'obiettivo è un nuovo inizio, basato su due principi fondamentali: sovranità territoriale e localizzazione. Al contrario, tutti i governi e i media occidentali affermano che la globalizzazione è un “processo irreversibile” che è solo riformabile. Come risponde a queste critiche?
Dobbiamo sforzarci di più nel mettere insieme al centro della questione la ricerca e la verità di quello che sta realmente accadendo in conseguenza della globalizzazione. Sfortunatamente, molti attivisti che hanno cercato di proteggere l'ambiente e le classi più povere non hanno spesso accesso ad informazioni accurate dall'altra parte del mondo. E, per questo, supportano a volte alcuni dei miti associati con il “libero” scambio, il commercio e la globalizzazione e non si focalizzano a sufficienza nel promuovere informazioni che mostrano chiaramente quello che sta accadendo. Non cresce, così, la consapevolezza nell'opinione pubblica sul fatto che gli stessi trattati e le politiche aumentano l'inquinamento, la disoccupazione ed impoveriscono i governi di risorse. La mia esperienza mi porta a dire che sia nei governi, nelle aziende, così come nei movimenti sociali ed ambientali si abbia una visione frammentata della realtà.
- In Europa, purtroppo ci stiamo muovendo da tutt'altra direzione della dichiarazione dei principi di Bangalore. Lo scorso settembre, l'Ue ha firmato un trattato di area di libero scambio con il Canada (Ceta) e ora sta negoziando con gli Usa il TTIP, il sogno di tutte le multinazionali americane. In un sistema in cui le elites sono in grado di imporre i loro messaggi favorevoli al trattato con gli Usa – specialmente in un paese come l'Italia – quali sono i mezzi più efficaci di persuasione nelle popolazioni per evitare questo ultimo trionfo della globalizzazione?
Abbiamo bisogno di accumulare molti più soldi per organizzare campagne che diano consapevolezza tra le persone. Internet non è sufficiente per competere con la macchina propagandistica pro-globalizzazione nelle università e nei media.
- Pensa che ci siano modelli a cui l'Occidente di oggi potrebbe ispirarsi, paesi o comunità locali che hanno iniziato a cambiare le loro politiche per rendere le loro economie sostenibili nel lingo periodo per l'essere umano e l'intero eco-sistema?
Ci si sono migliaia di iniziativa dal basso che mostrano come la ricostruzione delle economie locali possano risolvere i nostri problemi. Sono invisibile all'Accademia, all'università, ed ai media. Di nuovo, è necessario richiedere finanziamenti per presentarli come parte della disussione.
- Il 27 e il 28 ottobre sarà a Roma per presentare il documentario "Economics of happiness", che rappresenta la possibilità di prendere una via differente, basato su un nuovo paradigma della localizzazione e del benessere umano. Qual è il messaggio che vuole lanciare al governo italiano e alle autorità europee che hanno gettato il continente nella disoccupazione di massa, nella depressione economica e nella deflazione?
Svegliatevi prima che sia troppo tardi.
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