"La sovranità territoriale è l'unica legittimità possibile di un ordine politico democratico”. Jacques Sapir
"Il rispetto delle regole democratiche può avvenire solo in uno spazio sovrano delimitato da frontiere".
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Nel suo ultimo articolo sul suo blog, l'economista francese Jacques Sapir torna ad affrontare il tema della sovranità popolare, che definisce come “fondatrice della legittimità di un ordine politico democratico”. Istituisce, secondo Sapir, infatti l'equilibrio necessario tra il potere del governare e quello di controllare, potere che, in altri termini, non si riduce alla Potestas ma che include l’Auctoritas e la responsabilità degli atti che vengono presi.
Bisogna tenere conto di quest'equilibrio quando si analizzano i limiti che si sviluppano e le possibilità di devolvere sovranità a enti sovranazionali. La nozione di ordine spontaneo è stato introdotto da Hayek, che opponeva la società decentralizzata ai diversi tentativi di centralizzazione che si sono avuti negli anni '20 e '30 del Ventesimo secolo. Da questo punto di vista, l'ordine spontaneo immaginato da Hayek non è solo l'insieme delle istituzioni incaricate di far funzionare bene i mercati, ma è anche l'ideologia prodotta per una società individualista e che tende a rafforzare questo individualismo. La contraddizione tra quest'ideologia e le istituzioni necessarie per il buon funzionamento dei mercati causa nella realtà una disintegrazione del meccanismo pensato da Hayek e la sua sostituzione da parte di un potere autoritario che non ha, al contrario, nulla di spontaneo.
Al contrario, prosegue nella sua analisi Sapir, l'ordine democratico presuppone il riconoscimento della natura politica di tutta la società e cerca quindi di organizzare il funzionamento di quest'ultima al fine che tutti possano parteciparvi senza voler pregiudicare il suo risultato finale. Per questo, prosegue Sapir, la nozione di ordine democratico si oppone tanto all'ordine-mercato che all'ordine spontaneo di Hayek, ed è una risposta al fatto che il coordinamento delle decisioni decentralizzate implica che degli agenti che partono da una posizione diversa siano messi in una posizione formale di uguaglianza. Ed implica il fatto che il popolo sia identificato attraverso la determinazione di uno spazio di sovranità. Questa è la ragione per cui l'ordine democratico implica necessariamente delle frontiere (chi è responsabile di cosa), ma anche una concezione dell'appartenenza che sia territoriale (il diritto nasce dal territorio). L'assenza di frontiere, l'indeterminatezza della comunità di riferimento eliminano il controllo della responsabilità.
Si può ritenere che negare le frontiere sia un atto di generosità. A portare avanti questa tesi si ritrovano i difensori più accaniti della globalizzazione, ma anche i loro oppositori più feroci, che considerano l'idea delle frontiere odiosa a priori. Per i primi, invece, l'esistenza delle frontiere e quindi legislazioni differenti a livello di diritti delle dogane e altri vincoli costituisce un tentativo insopportabile di limitare la “libertà del commercio”. La forma mercato, una forma di internazionalismo che nega la possibilità che l'uomo esista al di fuori una visione sbagliata di internazionalismo è però altro che sostengono che la natura umana esiste al di fuori di qualsiasi rapporto con una organizzazione sociale.
Accettare dunque che la dimensione sociale sia primordiale ci fa capire che negare le frontiere porta a negare ciò che rende possibile la democrazia, vale a dire uno spazio politico dove si possa verificare il controllo e la responsabilità. Quest'ultima, in effetti, non si può permettere, come scrive Jurgen Habermas, di essere semplicemente deliberativa. Ricordiamo che quest'ultimo aspetto deve essere governato da norme d'uguaglianza e simmetria, senza limiti per l'ordine del giorno o l'identità dei partecipanti.
Queste regole deliberative sono senza dubbio necessarie, ma insufficienti. In primo luogo per avere una deliberazione ci deve essere un luogo la possibilità di mezzi d'azione da parte dei cittadini. Discutere di qualcosa su cui non si possa interferire non ha alcun senso da un punto di vista democratico. Pensare poi che la fase deliberativa possa essere fatta in un quadro interamente omogeneo è possible solo nell'ipotesi di un individuo onnisciente capace di calcolare tutto all'istante. E' l’homo economicus della teoria neoclassica e per questo la posizione di Habermas non è compatibile con l'approccio realista che vuole portare avanti il filosofo tedesco. La democrazia deliberativa proposta da Habermas contiene in sé il rischio di una dissoluzione all'infinito del costituente del potere e dunque il rischio di un'irresponsabilità generalizzata.
Non si può sfuggire, prosegue Sapir, dalla questione della definizione precisa dei partecipanti alla fase deliberativa. La questione dell'appartenenza, chi è dentro e chi è fuori, è inevitabile. Questa questione è in realtà costituiva dalla democrazia. Non è regolata la fase di delibera democratica se possono entrare e uscire dalla comunità politica degli individui che con il loro movimento d'ingresso e d'uscita possono falsare il gioco della democrazia. A questo riguardo, è sempre sorprendente che coloro che si professano per la soppressione delle frontiere siano gli stessi che difendano ferocemente le frontiere delle loro organizzazioni. La democrazia interna delle organizzazioni esige una definizione relativamente precisa di chi è dentro e chi è fuori. Allo stesso modo, la democrazia esige che si sappia che chi prende le decisioni, perché si possa determinare chi dovrà portare la responsabilità di queste decisioni. E' perché l'esistenza delle frontiere tra le comunità politiche sia indispensabile. Altrimenti si genera un'indeterminazione generale, una dissoluzione del principio di responsabilità. E' su questo che si fonda il diritto territoriale come principio funzionale della democrazia. L'appartenenza, conclude Sapir, deve essere territoriale, e non legato ad una caratteristica dell'essere o ad un origine degli individui (colore della pelle, religione, sesso…).