"La permanenza nell'euro per un paese è più folle di tutti gli altri. Quel paese è l'Italia". Jacques Sapir

La “necessità” di svalutazione interna di un 20% per colmare i gap con la Germania lascia all'Italia una sola via: l'uscita dall'euro

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"La permanenza nell'euro per un paese è più folle di tutti gli altri. Quel paese è l'Italia". Jacques Sapir

 
In un articolo sul suo blog RusseEurope, Jacques Sapir misura “quanto sia folle cercare di fare un’Unione Monetaria senza meccanismi di trasferimenti, senza unione fiscale e senza unione sociale. Nella situazione attuale, solo un’uscita rapida dall’Euro puo’ risparmiare alle popolazioni dei tre Paesi, la Spagna, l’Italia e la Grecia, la continuazione della sofferenza e della disperazione che ne risultano”. 
 
In un sistema a moneta unica (un’Unione Monetaria) come l’Eurozona, scrive l'economista francese, i Paesi membri non si possono svalutare a vicenda, ma una svalutazione (o una valutazione) della moneta puo’ verificarsi solo tra l’insieme dell’Eurozona e il “resto del mondo”. Nel caso dell’Eurozona, scrive Sapir, il problema della relativa competitività dei Paesi è oggi un problema di primaria importanza.

La competitività relativa evolve, dalla data dell’entrata in vigore dell’UEM (1999) in funzione: 
1. Delle differenze nei ritmi di inflazione
2 . Delle differenze di produttività
3 . Delle differenze nella pressione fiscale sulle imprese, tranne nel caso in cui sia stata dichiarata un’Unione Fiscale
4 . Delle differenze nei tassi degli stipendi diretti e indiretti (comprese le prestazioni sociali), tranne nel caso in cui sia stata dichiarata un’Unione Sociale.
5. Dell’aumento in scala di tutta la produzione del Paese considerato rispetto all’economia dominante.
 
Nel proseguo della sua analisi, Sapir analizza l’evoluzione dell'inflazione dei fattori della produttività sui Paesi del sud Europa, in 4 Paesi in particolare (Spagna, Grecia, Italia e Portogallo) per cercare di stimare l’entità di altri adattamenti necessari se questi Paesi vogliono restare nell’Unione monetaria con la Germania.
 
Nel caso dell’Eurozona, otteniamo per i 4 Paesi scelti le seguenti cifre, rispetto ai tassi di inflazione in Germania.

Inflazione

Differenze con il tasso di inflazione in Germania

     Grecia                 Italia                 Portogallo                       Spagna

1999 0 0 0 0
2000 2,00% 1,03% 1,54% 1,61%
2001 3,81% 2,22% 2,98% 3,74%
2002 5,44% 2,70% 5,67% 4,79%
2003 8,01% 4,09% 8,30% 7,30%
2004 10,94% 6,09% 10,93% 9,71%
2005 12,43% 6,73% 11,96% 11,35%
2006 14,63% 7,19% 12,44% 13,32%
2007 16,66% 7,83% 14,21% 15,75%
2008 17,83% 7,71% 14,71% 16,83%
2009 20,19% 8,86% 15,00% 19,13%
2010 21,60% 9,56% 13,53% 18,53%
2011 26,83% 10,29% 13,99% 19,96%
2012 28,72% 11,07% 15,76% 21,23%
2013 28,38% 12,88% 16,99% 22,13%
2014 24,95% 12,64% 15,61% 22,37%

Fonte : banca dati del FMI

L’inflazione è più o meno la stessa per la Grecia, la Spagna e il Portogallo dal 1999 al 2007. Il divario si apre ampiamente con la Germania. Poi l’inflazione tende a rallentare in Portogallo che stabilizza la sua posizione rispetto alla Germania, mentre continua ad aumentare, rispetto ai ritmi tedeschi, per la Spagna e la Grecia fino al 2010. E’ solo a partire da questa data che notiamo una divergenza nella differenza di inflazione con la Garmania. Tende a stabilizzarsi in Spagna, mentre aumenta brutalmente(2011 e 2012) in Grecia, prima di diminuire nel 2013 e 2014. 

 
Si pone un problema: la differenza fra le dinamiche inflazionistiche è grande (25% per la Grecia, 12% per l’Italia) e durevole. Ora, questi Paesi dovrebbero avere la stessa politica monetaria della Germania poiché la politica monetaria è dovuta alla BCE e non più alle istituzioni monetarie nazionali. Il divario tra i ritmi di inflazione tra i 4 Paesi e la Germania avrebbe tuttavia potuto essere compensato se i guadagni di produttività del lavoro fossero stati più rapidi in questi Paesi che in Germania. Guardiamo adesso l’evoluzione del divario fra i guadagni di produttività, a partire dalle statistiche dell’OCDE.   
 
Constatiamo, prosegue nella sua analisi Jacques Sapir, qui degli sviluppi molto divergenti. Il divario in materia di produttività con la Germania sembra molto grande per l’Italia e la Spagna. La posizione della Grecia invece migliora dal 1999 al 2004 (smentendo in modo sferzante tutti gli abitanti dell’oltre Reno che hanno definito i lavoratori greci “raccoglitori di olive”), mentre il Portogallo ha una crescita della produttività simile a quella della Germania.
 
La crisi del debito ha invece degli effetti molto diversi a seconda dei Paesi. A partire dal 2008, la Spagna e il Portogallo raggiungono i guadagni realizzati in Germania. Questa evoluzione è particolarmente forte per la Spagna che guadagna il 12% rispetto alla Germania. 
 
Se l’evoluzione della Spagna e del Portogallo è più o meno conforme alla teoria economica, non è la stessa cosa per la Grecia. Possiamo dunque pensare che la brutalità con la quale è stata applicata la politica della Troika abbia portato alla chiusura di aziende anche redditizie e molto produttive (effetto di crisi di liquidi), ma anche che la quasi distruzione del sistema sociale in Grecia abbia avuto effetti perversi sull’investimento e la disponibilità della forza lavoro. Da questo punto di vista, e sebbene non sia stato effettuato alcuno studio generale, dobbiamo interrogarci sulle consguenze economiche e produttive dei tagli importanti nel campo sociale e nelle infrastrutture di sostegno alla popolazione.
 
Resta comunque il fatto che c’è un Paese la cui evoluzione è preoccupante: l’Italia. Non si vede alcun segno di miglioramento della produttività rispetto alla Germania. La degradazione è regolare e più o meno costante. Il divario di produttività con la Germania è enormemente aumentato dal 1999.

Somma delle differenze di produttività e inflazione dei quattro Paesi dell’Europa del sud con la Germania

     Grecia                 Italia                 Portogallo                       Spagna

1999 0 0 0 0
2000 -0,2% -0,2% -0,8% -2,3%
2001 -0,5% -3,7% -4,2% -5,9%
2002 -1,7% -6,1% -7,2% -7,0%
2003 1,0% -9,2% -10,6% -9,9%
2004 0,4% -10,6% -11,7% -13,1%
2005 -4,1% -11,8% -12,5% -16,1%
2006 -5,3% -15,5% -15,1% -21,1%
2007 -6,8% -17,6% -16,0% -24,6%
2008 -9,3% -18,2% -16,2% -23,8%
2009 -10,0% -17,0% -10,7% -16,7%
2010 -18,3% -19,2% -9,2% -17,5%
2011 -29,8% -22,1% -12,4% -19,9%
2012 -29,1% -24,3% -12,6% -18,2%
2013 -28,3% -25,7% -11,7% -16,7%
2014 -25,1% -26,3% -12,4% -17,5%

Fonte : calcolo del CEMI-EHESS e tabelle 1 e 2 di questo testo

La “necessità” di svalutazione interna (ossia di calo dei salari nominali) e di riduzione degli oneri sulle aziende sembra essere enorme in Grecia e in Italia. In questi due Paesi, che sono anche quelli che hanno il debito pubblico maggiore e il minor margine di manovra fiscale, occorrerebbe un doppio sforzo, sui salari e sugli oneri delle imprese del circa 25% per compensare la deteriorazione della produttività con la Germania dal 1999.
 
Lo sforzo sembra minimo in Spagna (ma comunque sostanziale) e soprattutto in Portogallo. Vediamo che la Grecia e l’Italia possono sperare di stabilizzare la loro situazione in seno all’Eurozona solo a condizione di realizzare una svalutazione salariale (la svalutazione interna) del circa 20%. Questo ci porta verso un’altra ipotesi: quella dell’uscita dall’Euro (e della fine dell’Unione Monetaria). Un deprezzamento della valuta nazionale (la Dracma e la Lira) del circa 25% permetterebbe a questi Paesi di ritrovare la competitività con i Paesi dell’Unione Monetaria. Anche nel caso della Spagna, questa soluzione sembrerebbe migliore rispetto alla continuazione di una politica di austerità, poiché occorrerà fare sacrifici supplementari per sperare di ritrovare la competitività del 1999.

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