“Caesar”, il sedicente fotografo. Bufale di due anni fa dalla Siria tornano d'attualità
Che fanno i giornalisti quando crolla il castello di menzogne costruito?
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di Francesco Santoianni,
SibiaLiria
Che fare quando crolla il castello di menzogne costruito sulla Siria e l’opinione pubblica comincia a mettere gli USA e i suoi alleati sul banco degli imputati per una guerra costata finora 250.000 morti e quattro milioni di profughi? Ovvio, si riciclano bufale di due anni fa nella speranza che qualcuno creda ancora nell’assoluta urgenza di abbattere il tiranno di turno e il suo Stato canaglia. Con un'altra “guerra umanitaria”. Ci prova oggi il “Corriere della Sera” che raccatta la storia di “Caesar”, il sedicente fotografo della polizia siriana incaricato di fotografare in un ospedale militare i prigionieri dopo la loro uccisione, realizzando così una collezione di ben 55.000 fotografie.
Ma perché mai la Polizia militare di Assad avrebbe dovuto trasportare in un ospedale militare i prigionieri, ammazzarli, fotografarli e realizzare così questa macabra collezione? Ce lo chiedevamo anche noi di Sibialiria (in un articolo di qualche tempo fa) per nulla soddisfatti della “spiegazione” riportata nel pomposo Report alla base delle dichiarazioni di “Caesar”:
<> Ma per quale assurdo motivo – ci domandavamo – le autorità avrebbero dovuto esibire un certificato di morte (“per problemi cardiaci e attacchi respiratori”, pag. 13) alle famiglie degli oppositori che sarebbero scomparsi nelle carceri siriane? Per spingerle ad avere indietro il corpo del loro caro e constatare così i segni delle torture? E poi, quale regime conserverebbe una documentazione così dettagliata sui propri crimini? Da sempre, dai lager nazisti a Pinochet, gli oppositori scompaiono e basta. Desaparecidos, appunto. Altro che certificato di morte alle famiglie o immensi archivi fotografici a disposizione di qualche sadico satrapo di regime o di qualche inaffidabile fotografo della Polizia militare.
E poi, perché mai le fotografie mostrano le facce dei giustiziati celate da una fascetta nera sul viso che impedisce di riconoscerle? Il Report (pag. 19) ha la sua risposta. Sbalorditiva: < > Motivi di sicurezza e di privacy? Per persone la cui identificazione avrebbe significato un inequivocabile atto di accusa per i carnefici? Per delle famiglie che certamente avrebbero diritto di conoscere la sorte toccata ai loro cari? Per i condannati stessi, che in questa rivelazione avrebbero potuto esternare la loro ultima testimonianza?
Queste e molte altre incongruenze (evidenziate nel nostro precedente articolo, ripreso da molti siti web e da qualche giornale) condannarono, nel 2013, questo “Scoop” (finanziato dal Qatar), almeno in Italia, ad una notorietà durata pochi giorni. Nonostante ciò, pochi mesi dopo, il nostro Ministero degli Esteri consacrava a questa bufala (presa per buona da uno sbalorditivo comunicato di Amnesty International) una costosa mostra al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite.
E ora la bufala di Caesar (che si credeva finita nel dimenticatoio dopo il sostanziale fallimento mediatico delle sedute del Congresso USA a questa dedicate) riprende quota costituendo una delle principali “prove” impugnate dalla Procura di Parigi nella sua grottesca “Inchiesta preliminare per crimini contro l’umanità” che, ovviamente, vede Assad sul banco degli accusati: uno smaccato supporto ai bombardamenti che Hollande ha pianificato per la Siria. Intanto l’Arabia Saudita (incredibilmente, messa alla presidenza della Commissione ONU per i diritti umani) annuncia il suo sanguinoso piano per “ripristinare la democrazia in Siria”, i “ribelli buoni” coccolati dall’Occidente e dalle Petromonarchie passano, armi e bagagli, nelle file dell’ISIS. E i “giornalisti” continuano a spacciare bufale.