Selfie con il morto. Il souvenir di un colono israeliano che non ha indignato i media mainstream

Per il martellamento mediatico, la scorsa estate, il mondo si era fermato e scioccato per una foto con un leone ucciso in una battuta di caccia. E oggi?

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Selfie con il morto. Il souvenir di un colono israeliano che non ha indignato i media mainstream


di Paola di Lullo
 
È vergognosa, scandalosa, immorale. Ha fatto il giro del web, è diventata "virale", ma non è comparsa sui media mainstream. Ritrae un colono, tristemente noto agli abitanti di Al Khalil, che fa un selfie con il cadavere di un giovane Palestinese, ucciso poco prima dall'esercito israeliano. E sorride. Eppure il mondo s'era indignato la scorsa estate, di fronte ad un selfie scattato da un dentista americano con il leone Cecil, simbolo dello Zimbawe, da lui ucciso durante una battuta di caccia.
 
La vita di un animale vale forse più di quella di un essere umano?
 
Settantotto i morti Palestinesi dal 1° ottobre ad oggi. Non fanno notizia. Sono Palestinesi. Nella maggior parte dei casi, i "presunti" attentatori sono stati freddati senza pietà. Molte le foto ed i video che mostrano Palestinesi disarmati, assassinati dall'esercito israeliano o dalla polizia di frontiera a sangue freddo. Solo in un secondo momento, accanto al cadavere viene posto un coltello. 

La cui presenza non costituisce, però, motivazione né giustificazione per crivellare di colpi una persona. In caso di attentato, o presunto tale, e se il presunto attentatore possiede un'arma, quest'ultima consente alle forze di polizia di "neutralizzarlo", termine tanto caro all'esercito israeliano. Laddove per neutralizzare non s'intende uccidere, ma disarmare, se necessario sparando ad organi non vitali. La presenza dell'arma è però l'unico appiglio che gli israeliani hanno ancora per parlare di "terroristi" palestinesi. In assenza di arma, trattasi di esecuzioni extragiudiziali, anch'esse tanto care al democratico stato d'Israele, nei confronti di innocui cittadini. Trattasi di sterminio, olocausto, pulizia etnica.

Disarmato, nelle prime foto apparse e dalle testimonianze raccolte, era anche Farouq Abdel Alqader Omar Sidr, 19 anni, ucciso a Khalil lo scorso 29 ottobre. Lui, il martire riverso a terra, nella foto ricordo del colono. Come se fosse un souvenir, un trofeo, proprio come il leone. Invece era un giovane uomo la cui vita è stata spezzata per sempre. E con essa i suoi sogni, le sue aspirazioni, il suo futuro, di cui non sapremo mai nulla perché ai nostri media non interessano i sogni dei Palestinesi. Non si intervista la sua famiglia per sapere chi fosse Omar, come trascorresse la sua vita in una Khalil sotto assedio, in una Palestina sotto occupazione. Era Palestinese. E tanto basta.
 
Ci sono altri casi di morti Palestinesi che si potrebbero definire "esecuzioni", sulla quali anche Ban Ki Moon ha manifestato perplessità. Ma il governo israeliano, finora, si è espresso solo riguardo due "incidenti".

Il primo riguarda il ferimento di Israa Abed, 28 anni, residente a Nazareth, colpita il 9 ottobre scorso dalla polizia israeliana alla stazione degli autobus di Afula, città a nord di Israele. Secondo la polizia, aveva in mano un coltello e aveva intenzione di compiere un’aggressione. Una serie di video girati dai presenti la mostravano in piedi circondata da poliziotti, con le mani alzate, prima di venir colpita più volte. Il ministero della Giustizia israeliano, al termine di un'inchiesta,  ha ammesso che la donna non intendeva compiere alcun attacco, ma voleva farsi sparare. Secondo il governo, infatti, la donna soffrirebbe di depressione a causa del divorzio e avrebbe finto di essere pericolosa per farsi uccidere. Che si tratti di un’aspirante suicida o no, conclude la relazione, la reazione della polizia ha superato il limite: la donna non rappresentava alcun pericolo

D'altra parte è ben evidente quanto gli israeliani abbiano a cuore la salute dei Palestinesi! Sono disposti addirittura ad ucciderli, per farli star meglio! Ed è evidente, allo steso modo, che in Palestina una giovane donna abbia tutti i motivi per essere depressa dopo un divorzio, ché l'occupazione, invece, è fonte di gioia!
 
Il secondo "incidente" riguarda l'omicidio di Hadeel al-Hashlamoun, 18 anni, al checkpoint 56 di Khalil.  Il 22 settembre la ragazza, che indossava il niqab, non avrebbe ubbidito all'alt intimatole dai soldati  in ebraico ed avrebbe continuato a camminare. Quindi sarebbero stati sparati un paio di colpi di avvertimento verso il suolo, dopo di che, secondo i soldati , la ragazza avrebbe tirato fuori un coltello. A questo punto, l'avrebbero colpita e ferita alle gambe. I soldati hanno dichiarato di aver sparato ancora, quando Hadeel era già a terra, perché lei avrebbe ancora una volta brandito il coltello.
 
Una successiva inchiesta, guidata dal comandante della Brigata Givati , il colonnello Yariv Ben Ezra, ha rilevato che "l'incidente sarebbe potuto finire in modo diverso."

I soldati della brigata, di stanza al checkpoint 56 hanno ritenuto che le loro vite fossero in pericolo, secondo quanto scritto nel rapporto. Detto questo, l'adolescente palestinese avrebbe potuto essere arrestata e non uccisa. 

Le foto dell'omicidio di Hadeel, scattate da fotografi sulla scena, avevano consentito di ricostruire la precisa dinamica dei fatti e di appurare che la ragazza non aveva alcun coltello. Non solo. Avevano permesso di individuare il volto del soldato responsabile dell'omicidio. In questo caso, anche Amnesty International aveva parlato di "esecuzione extragiudiziale", condannando di fatto l'esercito israeliano.
 
Eppure  in un sondaggio mensile condotto dall' Israel Democracy Institute, il Peace Index , il 53% degli ebrei israeliani si è detto favorevole all'esecuzione dei Palestinesi in loco, che siano armati o meno. 
 
E mentre il nuovo segretario generale dell'OLP Saeb Erekat ha ipotizzato di rivedere il riconoscimento dello stato d'Israele, ed il 64 % dei Palestinesi propenderebbe per l'abolizione degli accordi di Oslo e dei suoi protocolli economici, un settimanale ebraico americano, il Jewish Press, ha pubblicato un articolo, con foto, dal titolo "Incontro con Terminator". Chi è Terminator? Un diciannovenne soldato israeliano conosciuto come “Caporal T”, in divisa da otto mesi, solo da due in servizio operativo. Viene descritto dagli altri ufficiali come un "giovane guerriero", dalla rapida risposta e dal freddo temperamento, doti che gli hanno permesso di assassinare tre Palestinesi in soli nove giorni..."Se questo è un uomo"...
 
Ed allora è giunta l'ora di indignarsi, non solo per gli animali che vanno protetti, ma anche per i popoli oppressi, le persone la cui vita vale meno di quella di un leone. È giunta l'ora di condannare lo stato Israeliano per la sua politica di occupazione, violenza, apartheid, pulizia etnica. È giunta l'ora di ricordare e fare proprio l' "Indignez  vous!" di Stéphane Hessel, il suo testamento spirituale, in cui scriveva tra l'altro "Il motivo di base della Resistenza era l'indignazione". Ed il suo: "Oggi, la mia principale indignazione riguarda la Palestina, la striscia di Gaza, la Cisgiordania".
 
 
Fonti:
Human Rights Defenders 
Ma'an
Manifesto
Nena
Hareetz
Times of Israel
Amnesty
Jerusalem Post
Middle East Monitor
Jewish Press
 
 
         

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