"Non official cover". Rispettato giornalista tedesco spiega come la CIA controlla i media
Anche Bernstein, il giornalista noto per il Watergate, ha scritto questo sulle relazioni CIA-stampa
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“Sono stato corrotto da miliardari. Sono stato corrotto dagli americani per non riportare.... esattamente la verità”. Ad ammetterlo pubblicamente è stato, in un'intervista a RT, Udo Ulfkotte, ex giornalista di spicco del Frankfurter Allgemeine Zeitung. "Siamo stati addestrati su come parlare bene dell'Europa, degli Stati Uniti ma mai della Russia".
Alcuni lettori, scrive Mike Krieger sul suo blog, potrebbero bollare come propaganda russa queste dichirazioni, data l'emittente dove quelle parole sono state pronunciate. Ma sarebbe un grave errore. “Che lo vogliate ammettere o no, il fatto che la CIA controlli i media negli Stati Uniti e all'estero non è una teoria cospirazionista, ma è una cospirazione di fatto”, scrive l'autore.
Del resto, Carl Bernstein, il giornalista famoso per i reportage sul Watergate, ha scritto un articolo di 25 mila parole su Rolling Stone, dopo una ricerca di sei mesi sulla relazione della CIA e la stampa durante la guerra fredda. Le sue conclusioni sono queste: “Nel 1953, Joseph Alsop, allora uno dei principali Columnist americani, si recò nelle Filippine a seguire le elezioni. Non andò perché la sua agenzia di stampa gliel'aveva chiesto. Non andò perché così gli era stato detto dai giornali che pubblicavano i suoi articoli. Andò su ordine della CIA.
Alsop è uno dei 400 giornalisti americani che negli ultimi venticinque anni hanno ricevuto incarichi dalla Cia, secondo documenti dell'agenzia. Alcune delle relazioni con i giornalisti erano segrete; altre esplicite. C'era cooperazione: i giornalisti fornivano una serie di servizi clandestini: dalla semplice raccolta di dati sensibili a vere e proprie attività di spionaggio in paesi stranieri. I giornalisti condividevano i loro appunti con la CIA. Alcuni hanno vinto il Premio Pulitzer....”
Alsop è uno dei 400 giornalisti americani che negli ultimi venticinque anni hanno ricevuto incarichi dalla Cia, secondo documenti dell'agenzia. Alcune delle relazioni con i giornalisti erano segrete; altre esplicite. C'era cooperazione: i giornalisti fornivano una serie di servizi clandestini: dalla semplice raccolta di dati sensibili a vere e proprie attività di spionaggio in paesi stranieri. I giornalisti condividevano i loro appunti con la CIA. Alcuni hanno vinto il Premio Pulitzer....”
Come ogni agenzia di intelligence che si rispetta, la Cia ha appreso i suoi errori passati e ha aggiustato le tattiche attraverso “la copertura non ufficiale”, come ha descritto molto bene Udo Ulfkotte nell'intervista a RT. “Non-official cover” è quella situazione che si crea quando un giornalista sta lavorando di fatto per la CIA, ma non ha nessuno incarico ufficiale. Questo permette ad entrambe le parti di sottrarsi dalla relazione e di avere ampio spazio per negare tutto.
La Cia, conclude Krieger, troverà giovani giornalisti da addestrare, a quel punto per loro tutte le porte si apriranno, arriveranno premi e riconoscimenti; ma poi la loro intera carriera apparterrà a loro.
Ci sarà mai qualche giornalista italiano che avrà lo stesso coraggio di Udo Ulkfotte?
Ci sarà mai qualche giornalista italiano che avrà lo stesso coraggio di Udo Ulkfotte?