di Luca Busca
Carlo Rovelli è intervenuto domenica 8 dicembre a Più Libri Più Liberi per celebrare il decimo anniversario del suo libro più famoso e diffuso, Sette piccole lezioni di fisica. Il Professore, interrogato da Marco Motta, giornalista di Radio 3 Scienza, in merito alla crisi di fiducia nei confronti della scienza e delle competenze ha così illustrato la problematica.
“La reazione contro le competenze non è caduta dal cielo, ha dei motivi legittimi, fortemente legittimi. Fammi fare un esempio, a cui tengo moltissimo anche se piccolo ma da cui dipende il resto. Quando c’è stato il Covid, molte persone hanno reagito contro gli esperti che imponevano di fare qualcosa spesso in maniera scomposta e non sempre efficace per la società. In questo contesto la politica si è arroccata dietro delle decisioni giustificate dal fatto che “così dice la scienza”. Ma la scienza non ha mai detto che bisogna fare questo o quest’altro, la scienza al più dice che se tu chiudi le scuole forse muoiono meno persone. Se tu fai stare tutti a casa forse diminuisci un po’ il numero di persone morte. Questo non vuol dire che bisogna stare a casa, che bisogna chiudere le scuole. Vuol dire che questo è quello che sappiamo, poi le decisioni sono quelle politiche che coinvolgono interessi di tante persone da una parte e dall’altra.
Io non avrei voluto essere Giuseppe Conte in quella situazione lì, un momento in cui ha dovuto prendere delle decisioni difficilissime: scegliere tra una soluzione che avrebbe ucciso 50.000 italiani e una che avrebbe reso più poveri 5 milioni di famiglie. Che fare? Non è facile, è difficile. Invece di assumersi le responsabilità delle decisioni, la politica, in Italia così come in Inghilterra e altrove, ha detto: “ah gli scienziati dicono questo” e ha rinunciato alla propria funzione. Chiunque non era d’accordo con quelle decisioni, sulle quali pesano differenze di valore, differenze di interessi, complessità della società, ovviamente ha reagito: “va bene io non mi fido della scienza allora”. Questo è nello specifico quello che è successo col Covid, ma molto più in generale, secondo me, l’origine del problema è nell’atteggiamento del potere di nascondersi dietro le competenze per giustificare quelli che alla fine sono interessi di pochi. L’origine del problema non è Trump che vince le elezioni perché sono tutti pazzi, scemi e cattivi, il problema sono i democratici che perdono la fiducia della popolazione perché si presentano come quelli buoni e generosi per tutti e invece fanno arricchire i ricchi e impoverire i poveri. Quindi la cosa è molto più complessa, secondo me, e io penso ci sia una crisi di fiducia reale nelle competenze che riguarda esclusivamente l’Occidente, non c’è crisi delle competenze in Cina, in Africa o nel resto dell’Asia. Forse in Sudamerica sì, non lo so. Sicuramente c’è una crisi di fiducia nel potere, perché questo non è stato in grado di mantenere alta la fiducia della propria popolazione. La sfiducia, quindi, è nel potere no nelle competenze, almeno secondo me.
In questo momento una grande parte del mondo, la maggioranza del mondo, democratica, economica, culturale e politica ha piena fiducia nella scienza, si sente in crescita, si sente forte. Una piccola parte del mondo, che poi è quella in cui noi viviamo, che si autodefinisce il mondo, è invece in crisi ideologica e politica. L’unico potere che gli resta è quello militare e con questo pretende di dominare completamente sul mondo, ma ci riesce sempre meno ed è sempre più in difficoltà. È in crisi politica tanto è vero che è la propria idea di democrazia a venir messa in discussione. È in crisi ideologica tanto è vero che l’affidamento nei propri esperti viene messo in discussione.”
La crescente sfiducia nella scienza e nelle competenze è il tema centrale del mio libro “La scienza negata” e, come dice lo stesso Rovelli, è un po’ più complesso di un generico anti-scientismo generato da fake news. In merito alle competenze, in quella circostanza ho cercato una via di semplificazione con un esempio ironico:
“Negli ultimi anni il concetto di “competenze”, espresso al plurale ha invaso ogni minimo aspetto della vita sociale e, credo, per alcuni anche di quella privata, con la conseguente esplosione dell’ansia da prestazione caratteristica di chi pensa di non avere le “competenze” necessarie a soddisfare il proprio partner. Avere le “competenze” è diventato un requisito indispensabile a qualsiasi forma di partecipazione, una sorta di green pass da dover esibire in ogni circostanza. Ormai, finalmente si può andare al ristorante senza mascherina, ma se vi azzardate ad esprimere un parere sul piatto o sul vino assaggiato senza averne le “competenze” rischiate di essere banditi di nuovo dal mondo della ristorazione.
In realtà il significato di “competenze” al plurale sarebbe: “Quanto compete, quanto spetta”. Le “competenze” non sarebbero altro che la definizione di “un’area di possibile intervento” o “un compenso prestabilito per una data prestazione”. In sostanza le “competenze” sono una concessione rilasciata da un’entità superiore ad una inferiore, una certificazione appunto. Tale accezione deriva dal significato giuridico di “competenza”, al singolare: “… nel diritto processuale, misura della giurisdizione attribuita a ciascun ufficio giudiziario … Competenza per materia … per territorio …” etc. Quindi la “competenza” è quella certificazione che concede “l’idoneità e l’autorità di trattare, di giudicare, di risolvere determinate questioni”.(treccani.it-vocabolario-competenza)
La manipolazione del termine è avvenuta generalizzando un concetto che può esistere solo nello specifico. L’universalizzazione è servita ad imporre la “dittatura delle competenze”, altrimenti detta “tecnocrazia” per cui coloro che risultano privi di competenze specifiche sono obbligati a delegare ad un “tecnico” “l’autorità” necessaria a risolvere qualsiasi problema. Pertanto nel caso, ad esempio, si fulmini una lampadina in casa è necessario delegare a un elettricista il compito di cambiarla, in quanto solo lui possiede le “competenze” atte a risolvere il problema. L’elettricista a sua volta per dimostrare di avere le “competenze” adeguate dovrà farsi certificare da quattro diversi ingegneri. I quali a loro volta ... “alla Fiera dell’est un topolino mi padre comprò”. Piuttosto che cambiare una lampadina è meglio tornare ai bei tempi andati e comprare qualche candela, sempre che si possiedano le giuste “competenze” per accenderle.
Per spiegare meglio la dinamica della “dittatura delle competenze” risulta efficace il paradosso in merito a una materia scottante, che non perde mai di attualità: lo scaccolamento. Un processo che, pur essendo comune alla maggior parte della popolazione mondiale, richiede una perizia tecnica non indifferente. L’abilità nello svolgere questo difficile compito va sviluppata in età infantile, quando ancora non si sono attivate quelle sovrastrutture del “superIo” che castrano la libera formazione della tecnica estrattiva. Cercare di imparare da adulti è inutile, non si riuscirà mai ad acquisire quella maestria data dalla disinvoltura tipica di chi ignora di “peccare”. Nessun adulto potrà mai acquisire le “competenze” necessarie per appiccicare le risultanze dell’estirpazione sotto il banco di scuola o, ancor più professionalmente, ingerirle.
Bene, lo scaccolamento, come qualsiasi altra specializzazione tecnica, ha quindi due aspetti, quello tecnico, in grado di creare una competenza specifica, e quello politico. Quest’ultimo concerne l’analisi di quanto sia opportuno procedere all’attività in questione in pubblico e in determinate situazioni. Scaccolarsi sul posto di lavoro, magari utilizzando il sotto della scrivania come supporto di sostegno per i risultati dell’estrazione, oppure in automobile nelle pause semaforiche, espellendo le caccole dal finestrino con la proverbiale schicchera, sono sicuramente espressioni di una buona tecnica ma lo sono anche in merito alla pubblica decenza?
Il “galateo” è oggettivamente una questione politica che dipende dal sentire comune e, con tutte le sue evoluzioni, ha sino ad ora regolato molti aspetti della nostra vita senza mai lasciare che le regole fossero definite dai tecnici. Sarebbe stato un vero e proprio disastro dettato dal palese “conflitto di interesse” che induce l’esperto a favorire lo sviluppo di ciò che gli compete. Infatti, se la parte di galateo dedicato alle estrazioni nasali fosse stilato esclusivamente da competenti tecnocrati del settore, chiamati a decidere in merito alla loro specifica competenza, lo scaccolamento sarebbe ora obbligatorio. Non solo sarebbe addirittura elevato ad arte, con il sotto delle scrivanie e dei banchi di scuola meglio “decorati” esposti nella collezione permanente del MOMA. Durante i pranzi di gala il cioccolatino per il caffè sarebbe “auto servito” e chi si rifiutasse sarebbe additato come un “gran maleducato”. Ma non finirebbe qui perché il mondo è pieno anche di tecnocrati competenti in materia di flatulenza ed eruttazione, i quali vorrebbero affermare il loro esclusivo diritto ad esprimersi in materia, frutto di anni di ricerca e di studi approfonditi. Addio quindi alla circoscritta libertà di “rutto e scoreggia” durante importanti partite di calcio, e largo spazio all’obbligatorietà di mostrare le proprie competenze in materia.
Ovviamente agli obiettori che, in spregio alla Scienza delle competenze, l’unica in grado di decidere per il bene comune, si volessero esimere dallo scaccolarsi, ruttare e scoreggiare in ogni situazione pubblica, verranno applicate pesanti sanzioni. Qualora la campagna educativa non avesse successo si procederà con l’introduzione di un green pass digitale in grado di registrare le manifestazioni corporali pubbliche richieste. I soggetti che non superassero i requisiti minimi prestabiliti verranno sospesi dal lavoro, per non influenzare negativamente il comune senso del dovere, e dallo stipendio, perché non lo meritano. Nei casi più gravi di reticenza verrà revocata anche la patria potestà e l’abilitazione all’insegnamento per la palese incapacità ad educare di tutti quei soggetti che non “credono” e non “hanno fede” nella Scienza delle “competenze.”
L’esempio evidenzia due elementi piuttosto importanti nella dinamica di costruzione del dogma scientifico. Il primo è l’inclusione del “fattore politico” tra le “tecniche” soggette al processo di specializzazione e quindi di attribuzione delle competenze. Il secondo è dato dal fatto che questa inclusione determina inevitabilmente la formazione di infinite tecnocrazie di settore. In questo modo la Politica viene considerata alla stessa stregua delle altre scienze applicate, per praticarla bisognerà, quindi, avere la specifica “competenza” nella gestione della “Res Publica” e dei rapporti sociali. Di conseguenza anche il semplice atto del pensare politico, della costruzione e dell’espressione dell’opinione diventa una “competenza”. Per elaborare delle idee proprie è necessario, quindi, che qualche esperto competente certifichi l’adeguatezza delle “competenze” in materia. Tutti coloro che risultano sprovvisti del certificato di abilitazione al pensiero, all’avere un opinione e/o un’idea sono interdetti dall’esercizio del proprio intelletto. Una squadra di specialisti competenti, profumatamente retribuiti, lo farà al loro posto con l’onere di comunicare quotidianamente, attraverso i media, quella che dovrà essere la “visione del mondo” comune.
La pandemia e la partecipazione di fatto a due guerre sono stati sicuramente i momenti di maggior intensità della “tecnocrazia” delle “competenze”. La propaganda si è scatenata a suon di menzogne ed omissioni riuscendo ad imporre il pensiero unico di regime, escludendo dai media mainstream i pareri contrari, come nel caso della pandemia, o, come in quello della guerra, minimizzandoli rispetto alla versione “ufficiale”. Questo difficile obiettivo è stato perseguito per mezzo dell’alienazione della coscienza pubblica da un fattore elementare che, fino a qualche decennio fa, era noto a tutti: ogni elemento della vita privata e di quella sociale ha due aspetti, uno tecnico e uno politico. Per il primo è necessaria una sola “competenza specifica”, per il secondo non ne serve nessuna, è sufficiente essere dotati di una qualche forma di pensiero, preferibilmente critica.
L’architetto, urbanista e anarchico britannico Colin Ward negli anni ’70 del secolo scorso spiegava il concetto con l’esempio della costruzione di una strada. Secondo Ward, costruire o meno una strada, quando, dove e perché farlo costituiscono l’aspetto politico e, in una comunità democratica, tutti dovrebbero avere la possibilità di partecipare al processo decisionale esprimendo la propria opinione. Una volta prese le decisioni politiche verranno chiamati i tecnici “competenti” delegati a proporre soluzioni diverse sul come costruire la strada. Scegliere tra le proposte è un ulteriore processo politico, terminato il quale chi ha le “competenze” tecniche procede alla realizzazione. In sostanza l’unico che non è chiamato ad esprimere opinioni è proprio colui che possiede le “competenze”, a meno che non faccia parte della comunità chiamata a decidere.(Colin Ward – L’anarchia come organizzazione – Elèuthera - 2010)
Se invece si esclude il fattore politico e si esamina solo quello tecnico saranno i soli competenti a decidere se, dove, come, quando e perché costruire una strada, così come dove appendere le “caccole”. In questo modo si formano le varie tecnocrazie con il potere di gestire le proprie competenze. La Politica stessa diventa una “competenza” e quindi l’amministrazione della comunità può essere gestita solo da competenti, cioè politici di professione. Ora appare evidente che il mondo, una nazione, una regione o anche un solo comune gestito da un branco di tecnocrati sconnessi finirebbe nel caos. Il fattore politico rientrerebbe in gioco e il caos dovrebbe, in un paese democratico, essere gestito dalla comunità di riferimento. Questo però sarebbe poco funzionale all’imposizione di un’unica Verità scientifica.”
Ha ragione il Professor Rovelli a dire che “la cosa è molto più complessa”. Infatti, non si tratta di imporre un’unica Verità Scientifica per mezzo di una miriade di tecnocrazie competenti. Si tratta di centralizzare la gestione di queste tecnocrazie. Secondo Rovelli, invece, è la politica a gestire il parere degli esperti competenti, usandoli come paravento per celare il perseguimento dell’interesse di pochi. Si determinerebbe così una trasposizione della sfiducia popolare dal potere politico alle tecnocrazie delle competenze. In realtà il potere politico allo stato attuale non è altro che una delle tante tecnocrazie delle competenze gestite dal buon vecchio Capitale, oggi mimetizzato dietro efficienti dispositivi finanziari. Questa gestione centralizzata avviene per mezzo del principio della delega.
Ogni esperto, competente o meno che sia, delega a un altro esperto ogni aspetto decisionale non incluso nella propria sfera di competenza, inclusa l’amministrazione della “cosa” pubblica. Il Capitale gestisce, così, ogni piccola tecnocrazia per mezzo della certificazione delle competenze e con la concessione o la sottrazione, in caso di inadempimento, dei fondi necessari alla costruzione della Verità desiderata. Verità che deve prevedere necessariamente un ritorno economico a breve termine. Il sistema include, ovviamente, la tecnocrazia politica e la propaganda mediatica delle singole Verità tecnocratiche. In questo modo è stata propinata la necessità di una campagna vaccinale inutile e dannosa, così come quelle di entrare in guerra con la Russia, giustificare il genocidio del popolo palestinese, finanziare gli estremisti islamici dell’Isis, spacciandoli per moderati, al fine di cacciare il “dittatore” Bashar al-Assad poco gradito agli interessi statunitensi.
Anche il professor Rovelli è caduto nella trappola della delega, demandando ad esperti in palese conflitto di interessi l’accertamento della Verità in merito alla funzionalità del vaccino. Infatti, durante l’intervento celebrativo a Più Libri Più Liberi, il grande divulgatore ha affermato: “io mi sono vaccinato nove volte contro il Covid e sono convinto che ha salvato milioni e milioni di persone, anzi sono certo che ha salvato milioni di persone …”. Questo nonostante innumerevoli sentenze, pareri di Commissioni parlamentari, studi scientifici, inchieste giornalistiche abbiano ampiamente dimostrato sia l’inutilità sia la dannosità di questo strumento vaccinale. Non cito, in questo contesto, le fonti di tale informazione per motivi di spazio, in quanto solo quelle relative alle menzogne pandemiche riportate nel mio libro riempiono tre pagine.
Sempre più spesso infatti si dimentica il principio enunciato dallo stesso Rovelli nel suo libro “Cos’è la scienza. La Rivoluzione di Anassimandro”, secondo cui la conoscenza scientifica si fonda sul “rimettere in discussione in continuità i fondamenti della nostra visione del mondo, per migliorarla in continuazione; riconoscere i nostri errori e imparare a guardare via via più lontano”. A determinare il tracollo della fiducia nelle scienze, applicate e di base, così come nella tecnocrazia politica è proprio l’incapacità di “riconoscere i nostri errori”. Nel caso del vaccino “truffa” la sfiducia è resa evidente dai dati: al 5 dicembre sono state somministrate appena 726.907 dosi, contro le 12 milioni previste, con uno spreco incredibile di fondi pubblici.
Dal novanta per cento circa della copertura vaccinale durante la pandemia, siamo passati al 3,3 per cento nell’inverno 2023/2024 e all’1,23 odierno. (governo.it-cscovid19-report-vaccini) Le vaccinazioni antinfluenzali continuano a scendere dal picco pandemico del 2020/21 (65,3%) attestandosi lo scorso anno al (53,3%) con una diminuzione del 20,2% rispetto a quello precedente. (salute.gov.it-influenza) Contro il Covid ormai non si vaccinano più neanche i medici che inizialmente lo consigliavano. La sfiducia pervade anche i competenti e travalica i confini specifici del singolo farmaco. Tutto questo è dovuto semplicemente al fatto che la Verità imposta dalla tecnocrazia è stata smantellata e le menzogne propinate sono venute a galla.
Quello che sorprende è che i “competenti” non si rendono conto che la tenacia con cui rimangono ancorati alla propria Verità, evitando di “riconoscere i propri errori”, è la causa principale della mancanza di fiducia che pervade tutte le scienze applicate, quella pura, le competenze e le istituzioni politiche. Continuare a difendere il vaccino contro il Covid alimenta questa sfiducia, esattamente come continuare a giustificare il genocidio perpetrato da Israele nutre l’antisemitismo dilagante nel mondo. Se vogliamo realmente “rimettere in discussione in continuità i fondamenti della nostra visione del mondo, per migliorarla in continuazione … e imparare a guardare via via più lontano” è fondamentale riconoscere i propri errori!
Maggiori dettagli sulla dinamica di costituzione del dogma scientifico è consigliata la lettura di: https://www.ladedizioni.it/prodotto/la-scienza-negata/
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