Ancora una testimonianza dal passato sulle pratiche del sionismo in Palestina
*
GLI ESILIATI DAI VILLAGGI ARABI DI IKRIT E BIRAM
In un angolo dell'Alta Galilea si sono conservate le rovine di un antico edificio. Per ammirarle, i turisti sono tenuti a pagare una piccola somma. Ma, nelle immediate vicinanze di questo antico monumento, i visitatori possono vedere - gratuitamente - rovine del tutto moderne.
Si tratta dei resti del villaggio arabo di Ikrit, completamente distrutto: muri cadenti, tetti pericolanti. Venticinque anni fa, i sionisti creatori dello stato di Israele cacciarono i contadini arabi dalla terra che li aveva nutriti per secoli. Il tutto fu motivato da “necessità militari”. In realtà, si trattò di un atto di razzismo e di intolleranza religiosa, perché gli abitanti di Ikrit sono in primo luogo arabi e poi cristiani. L'unico edificio del villaggio rimasto intatto è la chiesa. Su di essa sventola la bandiera del Vaticano. È l'ultimo rifugio degli abitanti. All'interno della chiesa, lungo le pareti, ci sono stuoie, brandine per i bambini, lampade a cherosene. Qui hanno trovato rifugio vecchi, donne e bambini.
Un quarto di secolo fa, le autorità israeliane imposero agli abitanti dei villaggi di Ikrit e Biram di lasciare le loro case «solo per pochi giorni». Settecento persone di Ikrit e mille di Biram, portando con sé solo lo stretto necessario, si recarono in altri villaggi. Passarono più di due settimane, ma agli esiliati non fu permesso di tornare. Tutti le loro richieste alle autorità rimasero senza esito. Si appellarono alla Corte Suprema e poi.... la notte di Natale, il 25 dicembre 1951, gli aerei israeliani rasero al suolo Ikrit e Biram.
Mabdi Daud, residente onorario del villaggio di Ikrit, che stava intercedendo a nome dei suoi compaesani, fu condotto dai militari su una collina vicino al villaggio e costretto ad assistere allo “spettacolo”.
«Un giorno più terribile di quello non lo avevamo conosciuto in tutta la vita» racconta Ibrahim Imtans, anziano del villaggio di Kisar. «Eravamo in cima alla collina e guardavamo con rabbia impotente le nostre case crollare una ad una».
«Abbiamo visto con i nostri occhi come gli aerei bombardavano e distruggevano le nostre case», testimonia il sacerdote padre Joseph Sussan.
“Abbiamo visto con i nostri occhi come gli aerei hanno bombardato e distrutto le nostre case e bruciato i nostri campi”, testimonia il sacerdote padre Joseph Sussan. «I nostri cuori erano gelati dall'orrore. I piccoli contadini si trasformarono in lavoratori a giornata, conobbero il bisogno e la vita del rifugiato. Molti furono costretti a diventare braccianti nei propri vigneti, ora dati in affitto ad altri».
Dall'opuscolo “Gli esiliati dei villaggi di Ikrit e Biram
smascherano gli atti di genocidio sionista”,
pubblicato dal Partito Comunista di Israele. Tel Aviv, agosto 1972.
«DUE SETTIMANE» CHE DURANO FINO A OGGI
Il distretto dei villaggi di Ikrit e Biram, vicino alla frontiera con il Libano, venne occupato dalle forze israeliane senza battaglia il 31.10.1948. «Una settimana dopo l'occupazione, dall'ufficio del governatore militare della regione della Galilea arrivò l'ordine di liberare i villaggi di Ikrit e Biram per motivi di sicurezza. Secondo i residenti, fu detto loro che questa”'liberazione” sarebbe durata solo pochi giorni, al massimo due settimane».
Quotidiano “Maariv”, 30.6.1972
Agli abitanti di quei villaggi fu ordinato di prendere con sé solo le cose di cui avrebbero potuto avere bisogno nelle due settimane successive, dichiarando che lo sgombero sarebbe stato temporaneo e sarebbe continuato fino a quando «non ci fossero più operazioni nella zona». Il 5.11.1948, settecento abitanti di Ikrit furono trasferiti nel villaggio di Rama, sulla strada Ako-Tzfat, e mille abitanti di Biram nel villaggio di Gush-Halav.
«Gli abitanti di Biram e Ikrit non sono stati cacciati dai loro villaggi durante la guerra. Sono stati cacciati quando la guerra era già conclusa. Le loro case furono bombardate e distrutte in periodo di pace», ricordava il 30 giugno 1972 il quotidiano “Haaretz”
BOMBARDAMENTO NELLA NOTTE DI NATALE
«... erano passate più di due settimane, ma ai residenti di Ikrit non veniva permesso di tornare a casa. Tutti i loro appelli alle autorità rimanevano senza risposta. Le trattative si protrassero per circa un anno e mezzo, finché essi non si convinsero che le autorità avevano definitivamente deciso di non permettere loro di tornare al villaggio. A quel punto intentarono una causa presso la Corte Suprema.
Il 31 luglio 1951, il tribunale stabilì che «non vi è alcun impedimento legale al ritorno al proprio villaggio di coloro che lo desiderano». Quando la decisione del tribunale fu resa nota, gli abitanti di Ikrit chiesero al governatore della Galilea di tornare alle loro case, ma quest'ultimo li indirizzò al ministro della difesa, e quest'ultimo li inviò nuovamente al governatore militare. Questa situazione si protrasse per più di un mese. Il 10 settembre 1951, agli abitanti di Ikrit fu ordinato di lasciare il villaggio sulla base delle regole stabilite per la “zona di sicurezza”. Allora essi si rivolsero nuovamente alla Corte Suprema. L'udienza venne fissata per il 6 febbraio 1952, ma un mese e mezzo prima, la notte del 25 dicembre 1951, vigilia di Natale, l'esercito israeliano distrusse tutte le case degli abitanti del villaggio, che erano cristiani cattolici. Mabdi Daoud, cittadino onorario di Ikrit, ora deceduto, fu però portato dai soldati che bombardavano il villaggio su una collina vicina e lì costretto ad assistere allo “spettacolo” della distruzione del suo villaggio natale, «fino alla fine», come scritto sulla base di fonti giudiziarie di prima mano (il «caso Ikrit») nel libro “Arabi in Israele” dell'avvocato Sabri Jeris.
CANCELLARE DALLA FACCIA DELLA TERRA
Il 30 giugno 1972, il quotidiano “Maariv” scriveva: «Gli abitanti dei villaggi di Biram e Ikrit credevano ancora che sarebbe arrivato il giorno del loro ritorno a casa. Ma nel settembre 1953 furono privati della loro ultima speranza. Per porre fine alla vicenda, in entrambi i villaggi vennero portati centinaia di chili di esplosivo e presto tutte le case, tranne la chiesa (ce n'è una in entrambi i villaggi) furono ridotte in ammassi di macerie». «Le loro terre (dei villaggi di Ikrit e Biram) vennero espropriate sulla base della legge israeliana, che già di per sé violava i concetti fondamentali di autorità legittima. Sulle terre degli arabi vennero fondati insediamenti ebraici e potemmo vedere come gli esuli di questi villaggi si trasformarono in braccianti sulle loro stesse terre», denunciava il professor Amnon Rubinstein sul quotidiano “Haaretz” il 30 giugno 1972.
Le terre di Ikrit e Biram furono espropriate e trasferite alle autorità israeliane. Da allora, diversi insediamenti, tra cui il kibbutz Biram e il villaggio Dovev, sono stati fondati su parti del villaggio di Biram, mentre altre aree di terra sono state lasciate vuote. Le terre di Ikrit sono state date all'insediamento di Shamra e ad altri».
Quotidiano “Maariv”, 30 giugno 1972.
«Il ritorno ai loro villaggi d'origine, anche solo per vederli, era vietato dalla «disposizione sugli appezzamenti proibiti». La disposizione è stata recentemente annullata e gli esuli hanno visto questo fatto come un via libera per tornare a casa», scriveva il quotidiano “Maariv”. Tuttavia, su “Yediot Ahronot” del 28 giugno 1972, si legge quanto segue: « Così facendo, il ministro della difesa ha lasciato intendere che non c'era bisogno di rinnovare la disposizione, che essa sarebbe stata sostituita da un'altra, che avrebbe fornito una nuova base legale per proibire agli abitanti di tornare sulle terre natali. Essi [gli esuli] non hanno prestato attenzione ai propositi del governo di sostituire la vecchia disposizione con una nuova, il cui scopo principale è, come prima, quello di proibire il ritorno da Gush Halav a Biram».
«Questa settimana, i “più coraggiosi” tra gli abitanti di Ikrit hanno deciso di tornare al loro villaggio per vedere come le autorità avrebbero reagito al loro passo. La reazione delle autorità non si è fatta attendere. Ai contadini è stato detto che è loro vietato rimanere sulla terra senza il consenso dei nuovi proprietari, ovvero le autorità fondiarie israeliane». «Anche gli esuli di Biram hanno deciso di tornare al loro villaggio. Raccogliendo tra i compaesani alcune migliaia di sterline israeliane, hanno acquistato un certo numero di baracche prefabbricate, che intendevano installare a Biram. Il giorno successivo, venticinque uomini sono arrivati sul posto per stabilire il luogo in cui installare le baracche. Una volta appreso, le autorità hanno avvertito i contadini che qualsiasi iniziativa avrebbe comportato il loro allontanamento dal luogo con la forza. A conferma di ciò, alle tre del mattino di martedì, una gran numero di poliziotti sono entrati nell'area di Biram e hanno eretto barriere agli accessi al villaggio. «Gli esuli di Biram sono venuti a saperlo e hanno deciso di rimandare il loro ritorno al villaggio abbandonato», ha riferito il quotidiano “Maariv”.
«Persino dopo ventiquattro anni di esilio, gli abitanti di Biram e Ikrit hanno conservato la speranza di tornare sulle terre della propria patria. Nessuna forza ha potuto o potrà spegnere questa scintilla di speranza».
Joseph Algazi sul quotidiano
“Zo Gadereh” del 5.7.1972.
DICIANNOVE ANNI FA
«Due accadimenti posero fine alle speranze che gli abitanti del villaggio di Biram nutrivano nei loro cuori e li convinsero che non era loro destino, rivedere il villaggio natale.
Il primo, fu l'approvazione della legge sull'acquisizione immobiliare durante l'ultima sessione estiva della Knesset, che confermava il trasferimento di tutta la terra di Biram (circa 12.000 dunam) allo stato. Con ciò, veniva definitivamente confermato che i residenti del villaggio di Biram non avevano più terra a cui tornare. Il secondo evento, ancora più scioccante, fu la distruzione del villaggio, ordinata a settembre dalle autorità».
“Haaretz”, 27.2.1953
«Noi, residenti del villaggio di Ikrit, su disposizione delle autorità, siamo stati temporaneamente trasferiti nel villaggio di Rama. Più volte abbiamo chiesto di tornare alle nostre case, ma non abbiamo ricevuto risposta. Ci siamo rivolti a un tribunale israeliano. Il tribunale ha stabilito che dovevamo essere restituiti al nostro villaggio d'origine e che ci dovessero essere restituiti i nostri beni, ma le autorità militari si sono rifiutate di onorare la decisione del tribunale «per motivi di sicurezza». Abbiamo trascorso cinque anni in povertà e indigenza a Rama. All'inizio siamo stati sostenuti dalle agenzie di aiuto internazionali, ma da più di un anno quegli aiuti sono cessati e siamo stati abbandonati al nostro destino di povertà, malattie, esaurimento.... Le nostre case a Ikrit sono state distrutte, le nostre terre e i nostri averi, i frutti delle nostre piante sono stati dati ad altri, come se noi fossimo morti o scomparsi, o come se non avessimo assolutamente alcun elementare diritto in questo stato, nonostante che, secondo la legge, siamo cittadini legittimi di Israele.
Ed ecco che si è raggiunto il punto di ebollizione finale: non siamo più in grado di sopportare un tale dolore e tali difficoltà, che non possono essere paragonate a nient'altro. Diteci, qual è la nostra colpa, quale crimine abbiamo commesso? Qual è il motivo per cui, da cinque interi anni, siamo in questa situazione, mentre altri sfruttano la nostra terra e le nostre proprietà...?».
? . Ahisar
APPELLO DEGLI ESILIATI DI BIRAM
(Una invocazione aperta dagli abitanti del villaggio di Biram)
«Sono passati ventiquattro anni da quando siamo stati sfrattati, «per un certo periodo», dal nostro villaggio di Biram. Per tutto questo tempo abbiamo pianto molto, implorato molto, gridato e chiesto di tornare al nostro villaggio. La nostra speranza di tornare non si è affievolita e le nostre richieste di tornare nei nostri luoghi di origine e di ricostruire il nostro villaggio non si sono fermate. Siamo convinti che il metro con cui verrà giudicato il governo israeliano nel campo dell'umanità e della democrazia, sarà il suo atteggiamento nei confronti dei suoi cittadini non ebrei. Perché possa realizzarsi la nostra fervida speranza di tornare al nostro villaggio, alla nostra terra, abbiamo deciso di ricorrere a tutti i mezzi della lotta democratica, per realizzare questo obiettivo. Speriamo che ci porgerete una mano in questa impresa, speriamo che il nostro villaggio di Biram venga ricostruito.
Ribadiamo che non accetteremo nessun'altra decisione che contraddica il nostro desiderio di tornare al nostro villaggio, dove siamo nati e cresciuti, ai luoghi nativi a cui siamo fisicamente e spiritualmente legati. Come cittadini dello stato e come esseri umani, ci rivolgiamo a voi con un fervente appello umano a correggere l'ingiustizia e acconsentire, alla fine, al nostro ritorno al villaggio natale».
Gush Halav, 30 giugno 1972
DA IKRIT
(Lettera aperta degli esuli del villaggio di Ikrit al presidente dello stato, al capo del governo, ai ministri, ai membri della Knesset, a tutti i cittadini di Israele)
«La decisione del governo del 23 luglio 1972 che vieta a noi, esuli del villaggio di Ikrit, di tornare ai nostri focolari, rappresenta per noi una grande delusione e un duro colpo. Ci aspettavamo che la giustizia avrebbe trionfato, eravamo sicuri che dopo ventiquattro anni di attesa ci sarebbe stato restituito il nostro sacrosanto diritto.
Non una sola famiglia di Ikrit ha lasciato il paese, né prima né dopo la creazione dello stato di Israele.
Centoventisei famiglie, per un totale di 616 persone, non hanno voluto accordarsi con il governo, mentre il numero di coloro che hanno stipulato un accordo con l'Autorità immobiliare israeliana è di sole trentuno famiglie!
Per completezza, ricordiamo che la superficie di terreni dei residenti di Ikrit che hanno accettato l'accordo con l'Autorità immobiliare israeliana è di circa 400 dunam, mentre quella di coloro che hanno rifiutato l'accordo è di 4.500 dunam.
Chiediamo scrupolosamente, con coscienza pulita e con piena responsabilità di riconsiderare il nostro doloroso problema, di fare tutto ciò che è in vostro potere per cambiare la suddetta decisione del governo. Il colpo infertoci è pesante, ma esprimiamo comunquela nostra profonda gratitudine a tutti i cittadini e agli organi di stampa che hanno sostenuto le nostre giuste richieste. Nonostante tutto quello che è stato fatto, crediamo e speriamo ancora che la voce della coscienza verrà ascoltata, che la giustizia e la verità prevarranno. Che l'ingiustizia commessa nei confronti degli abitanti del villaggio di Ikrit verrà corretta!».
Villaggio di Rama, 24 luglio 1972
«Il pretesto demagogico “per motivi di sicurezza”, usato dalle autorità per impedire agli abitanti esiliati di tornare ai loro villaggi e alle loro terre è ormai chiaro per tutti. Comunque sia, tutti gli abitanti esiliati sono rimasti nelle vicinanze dei loro villaggi. La motivazione delle “esigenze di sicurezza” era solo una maschera per coprire saccheggi e rapine. Facciamo appello agli abitanti dei villaggi di Ikrit e Biram, a tutti gli arabi espulsi dai loro villaggi d'origine, espropriati delle loro terre e residenti in Israele come profughi, perché continuino la lotta fino a quando non sarà soddisfatta la loro giusta richiesta di tornare alle loro case e alla loro terra.
Facciamo appello a tutti i circoli democratici in Israele, che deplorano la politica di saccheggio e di violenza del governo contro i fellah e contro tutti gli arabi, perché sostengano la lotta dei contadini di Ikrit e Biram, così come del resto degli abitanti espulsi dai villaggi arabi, per il ritorno ai loro villaggi, alla loro terra».
Dalla risoluzione del Comitato Centrale del PCI.
“Zo Gadereh”, 12 luglio 1972
PROFUGHI NELLA PROPRIA PATRIA
Il quotidiano “Haaretz”, nel numero del 28 luglio 1972, riportava di ancora una serie di altri villaggi distrutti e gli abitanti espulsi. Ad oggi, gli abitanti di ventuno villaggi, al pari dei contadini di Biram e Ikrit, sono diventati profughi nella propria patria.
Ecco l'elenco dei villaggi,come riportato dal quotidiano “Haaretz”: Birwa, Tziporia, Anan, Kumeim, Tira, Kvikat, Um Lfarj, Menashia, Sukhmata, Emka, Mi'ar, Maalul, Ryways, Sjera, Gabasia, Demon, Kaditia, Abysia, Arav Savnakh, Shaav.
Pubblicazione del Partito Comunista d'Israele,
Tel Aviv, 1972
da “SIONISMO – VERITÀ E FINZIONI”; pagg. 193-200
Raccolta di articoli; Mosca, Ed. Progress – 1978
(traduzione fp)
di Alessandro Orsini* Risposta, molto rispettosa, a Liliana Segre. Il dibattito sul genocidio a Gaza, reale o presunto che sia, non può prescindere dalle scienze sociali. Nel suo...
di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico In più di una circostanza ho scritto che oltre agli USA a vivere una situazione estremamente complessa in materia di conti con l'estero (debito/credito...
Come ricorda il Prof. Paolo Desogus oggi il famoso articolo di Pier Paolo Pasolini "Cos'è questo golpe? Io so" compie 50 anni. "Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica...
Come ha riportato ieri il New York Times, che ha citato funzionari statunitensi a conoscenza della questione, il presidente degli Stati uniti d’America, Joe Biden avrebbe approvato l'impiego...
Copyright L'Antidiplomatico 2015 all rights reserved
L'AntiDiplomatico è una testata registrata in data 08/09/2015 presso il Tribunale civile di Roma al n° 162/2015 del registro di stampa