Autonomia differenziata. La fake news del "Sud parassita" smontata punto per punto

Autonomia differenziata. La fake news del "Sud parassita" smontata punto per punto

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Banca d’Italia, ISTAT, Eurispes, SVIMEZ, Agenzia per la Coesione Territoriale. Esistono migliaia di pagine di report e di dati grazie ai quali diventa facile (facilissimo) dimostrare come le argomentazioni su cui si regge la propaganda a sostegno dell’autonomia regionale differenziata non solo siano completamente slegate dalla realtà dei fatti, ma spesso addirittura antitetiche a essa.

Tutta la narrazione del Sud parassita si regge sul nulla più assoluto.

Il Sud sotto-finanziato dai tempi della Cassa per il Mezzogiorno rispetto al Nord, ha visto inevitabilmente aumentare il divario col resto del Paese. Continuando a contribuire in maniera determinante alla ricchezza del Nord.

Con l’autonomia regionale, i primi a subire danni enormi alla propria economia sarebbero proprio le Regioni del Nord. E quindi i loro cittadini.
I danni sarebbero enormi ovviamente anche per il Sud, che vedrebbe cristallizzata in eterno una evidente condizione strutturale di sotto-finanziamento e quindi di arretratezza e sottosviluppo.


LA QUESTIONE MERIDIONALE: PERCEZIONE E REALTÀ

Cominciamo dalla conclusione a scanso di equivoci. E cioè dal parere unanime di diversi studiosi (confortati da solidi dati).

«Se l’Italia superasse le sue miopi illusioni di poter procedere a pezzi semi-separati, tornando a considerarsi Paese e sviluppando quindi anche il Sud, diverrebbe il Paese più competitivo d’Europa e forse del mondo».

Investire nel Sud per colmare il gap infrastrutturale e di sviluppo col Nord, favorirebbe tutti i cittadini italiani, dalla Valle d’Aosta alla Sicilia.

Ricordiamo un piccolo dato storico: a differenza di molti luoghi comuni, la Cassa per il Mezzogiorno (grafico 1) assorbiva in media appena lo 0,7% del PIL italiano ogni anno (mai più dell’1,2%), mentre gli investimenti pubblici al Nord ammontavano a circa il 3,5% del PIL¹ (grafico 2).







Un divario di investimenti e finanziamenti pubblici che, come vedremo poco più avanti, continua anche ai giorni nostri.

Questo indicatore da solo spiega in buona parte il divario di sviluppo mai colmato tra Nord e Sud del Paese. Non solo, spiega anche l’evidente aumento di tale divario.

Perché carenza di investimenti pubblici vuol dire carenza di reti ferroviarie. Carenza di investimenti pubblici vuol dire carenza di autostrade. Carenza di investimenti pubblici vuol dire carenza di scuole. Carenza di investimenti pubblici vuol dire carenza di ospedali. Carenza di investimenti pubblici vuol dire carenza di infrastrutture e servizi fondamentali (grafico 3).




Queste carenze sono le stesse che influiscono pesantemente anche sulla scarsezza degli investimenti privati. D’altronde la mancanza di infrastrutture e servizi essenziali, cioè di tutto quello che servirebbe per fare impresa, non è di certo un incentivo ad aprire un’azienda o una fabbrica.

E infatti tra il 2008 e il 2018, gli investimenti privati al Sud sono crollati del 32,3%. Del 35,5% quelli per le costruzioni e del 27,6% quelli per macchinari, attrezzature e mezzi di trasporto (grafico 4).


Come conferma il report “Il divario Nord-Sud: sviluppo economico e intervento pubblico della banca d’Italia” pubblicato dalla Banca d’Italia nel giugno del 2022².

Un divario, dicevamo, che parte da lontano ma che arriva, ampliato, fino ai giorni nostri (grafico 5).


Secondo l’Agenzia per la Coesione Territoriale, nel 2020 lo Stato ha speso 17.770 euro pro capite al Centro-Nord contro i 14.235 al Meridione. Ciascun cittadino del Sud ha ricevuto in media 3.535 euro in meno rispetto a un suo connazionale residente al Centro-Nord (grafico 6).


Dal 2000 al 2017 le regioni meridionali occupano i posti più bassi della classifica per distribuzione della spesa pubblica mentre le Regioni del Nord Italia si trovano costantemente nella parte alta (grafico 7).




Se si calcola quanto avrebbe dovuto ricevere il Sud in spesa pubblica rispetto alla sua popolazione sul totale, l‘ammanco rispetto a quanto effettivamente ricevuto è da capogiro: quasi 1.000 miliardi di euro (circa 46,7 miliardi di euro l’anno dal 2000 al 2020).
 
Alla faccia di certa narrazione che vorrebbe il Sud “inondato” di una quantità immane di risorse pubbliche sottratte al Centro-Nord.

Anche i dati Svimez presentati alla Camera dei deputati confermano l’aumento del divario tra Sud e Centro-Nord.

Solo nel 2018 il gap occupazionale tra le due aree è stato di quasi 3 milioni di persone. Negli ultimi due trimestri del 2018 e nel primo del 2019 gli occupati al Sud «sono calati di 107mila unità (-1,7%)», viceversa al Centro-Nord «sono cresciuti di 48mila unità (+0,3%)».

Nel complesso, tra il 2007 e il 2019 il tasso di occupazione è cresciuto di 1,4 punti nel Centro Nord e si è ridotto di 1,7 punti nel Mezzogiorno. Lo scarto tra Centro Nord e Mezzogiorno è passato dai circa 7 punti alla fine degli anni’70, a 22 punti del 2019 (grafico 8 ).


I dati Svimez evidenziano come il calo della crescita del Sud sia dovuto a una diminuzione della domanda interna, dovuta all’ulteriore crollo sia della capacità di spesa delle famiglie, sia dei fondi pubblici rispetto al Centro-Nord (solo negli ultimi 10 anni la spesa pubblica è stata ridotta al Sud dell’8,6% mentre è stata accresciuta dell’1,4% al Centro-Nord).

Una situazione accertata al di là di ogni ragionevole dubbio anche dalla Commissione Bicamerale per l’Attuazione del Federalismo Fiscale, nata proprio per appurare l’entità del presunto immane flusso di denaro giungente al Mezzogiorno dal Nord.

Peccato che il lavoro della commissione abbia dimostrato una situazione diametralmente opposta a quella che si riteneva sussistesse.

In quest’ottica è ancora più grave, eversiva addirittura, la proposta di legge sull’autonomia regionale differenziata.

Infatti nonostante quello che c’è scritto nel Ddl Calderoli, l’attuazione del federalismo differenziato avverrebbe sostanzialmente a “spesa storica”, cioè assumendo che quanto lo
Stato spende ora per le funzioni Lep (livelli essenziali delle prestazioni) sia esattamente quanto necessario per finanziarli.

Che è poi quello che è già successo nel caso della sanità (già regionalizzata), dove esistono i Lep (chiamati Lea) e dove lo Stato definisce ogni anno il finanziamento del “fabbisogno sanitario nazionale standard” sulla base delle proprie compatibilità di bilancio, distribuendolo poi alle Regioni in base alla spesa storica senza tener conto dei Lea e della differente capacità regionale di offrirli sul territorio.

Accade così che un numero enorme di Comuni del Sud Italia, nonostante vi risiedano numerosi bambini, non abbia diritto alla presenza di nemmeno un asilo nido.

È il caso di Altamura che con 1.800 bambini riceve 0 euro per gli asili nido. O di Reggo Calabria con i suoi 3 asili (mentre a Reggio Emilia ce ne sono 60).
Andiamo adesso a vedere le singole voci di spesa.


POLITICHE SOCIALI

Nel 2020, il settore delle Politiche Sociali (che comprende previdenza, lavoro e interventi in campo sociale) ha assorbito il 40,2% della spesa pubblica totale. Al Centro-Nord il valore è stato di 7.905 euro per abitante, mentre al Mezzogiorno di 6.267 (grafico 9).


Un valore che per tutto il periodo esaminato, dal 2000 al 2020, è sempre stato diverso in favore del Centro-Nord (grafico 10).
 




SANITÀ

La Sanità è il settore che assorbe la maggiore quantità di risorse pubbliche dopo quello delle Politiche Sociali.

Anche qui la sproporzione tra la spesa pubblica per il Centro-Nord e quella per il Mezzogiorno è notevole. Nel 2020 la differenza ha raggiunto quasi il 10%: 2.058 euro pro capite al Centro-Nord contro 1.872 del Mezzogiorno (grafico 11).



Anche in questo caso il sotto-finanziamento del Mezzogiorno rispetto al centro-Nord parte da lontano (grafico 12).



Bisogna poi considerare che la minore spesa pubblica per la sanità alimenta la cosiddetta mobilità sanitaria, il fenomeno dei malati che dal Sud vanno a farsi curare al Nord. Si tratta di circa 1.000.000 di pazienti in media ogni anno. Senza contare i familiari che in molti casi sono costretti ad abbandonare il proprio lavoro. Un fenomeno che sottrae ulteriori risorse al Sud andando ancora una volta ad arricchire il Nord: circa 3 miliardi di euro negli ultimi 3 anni, che diventano 4,5 di media negli anni prima del Covid.

Un fenomeno in crescita che costringe tantissime famiglie meridionali, sotto la soglia minima di povertà, a indebitarsi.


AMMINISTRAZIONI E SERVIZI GENERALI

Questi due settori comprendono tutte le spese per il funzionamento delle strutture amministrative dello Stato, delle Regioni, delle Province, dei Comuni e di ogni altro Ente pubblico, in ogni loro aspetto (sia in termini di beni e attrezzature che di personale lavoratore). Si tratta del terzo e del quarto comparto per quantità di risorse pubbliche assorbite
Anche qui, davanti ai freddi dati crolla un’altra leggenda metropolitana. Nel 2020 la spesa pro-capite per il Centro-Nord è stata di 341,78 euro mentre per il Mezzogiorno di 2.503,28 euro (grafico 13).



I dati degli ultimi 20 anni confermano anche in questo caso che si tratta di un trend dio lungo periodo (grafico 14).





Al Nord ci sono 1.602.159 dipendenti pubblici contro il 1.233.290 del Sud e delle Isole. Nel Nord ci sono 16,6 dipendenti pubblici ogni 1000 abitanti contro gli 11,4 del Sud. Una forbice aumentata progressivamente nel corso degli ultimi 20 anni.
 

TRASFERIMENTI FISCALI E MERCATO INTERNO

Smontiamo adesso un altro mito della narrazione liberal-secessionista.

Il PIL del Nord Italia dipende molto meno di quanto si creda dalle esportazioni all’estero e molto di più di quanto non si pensi dalla vendita dei prodotti in Italia (20% circa contro l’80%), Sud compreso.

La situazione di import-export tra Nord e Sud Italia, tutta a vantaggio del Settentrione, è resa possibile proprio da quei tanto discussi trasferimenti fiscali dal Nord a Sud.

Detto ancora più semplicemente: se fossero annullati o anche solo ridotti, il primo a farne le spese sarebbe proprio il Nord, che ne subirebbe le conseguenze. Altro che Nord libero di prosperare senza la palla al piede del Sud Italia.

Anche perché come dimostrato nel libro a cura dei ricercatori della Banca d’Italia, “Sviluppo, rischio e conti con l'esterno delle regioni italiane”, i 45 miliardi di euro annui che in media, nel decennio 1995-2005, sono stati trasferiti da Nord a Sud sono tornati indietro con gli interessi grazie ai prodotti che il Nord gli ha nel frattempo venduto: 63 miliardi di euro all’anno.

Miliardi che diventano 70,5 all’anno se si aggiungono anche i soldi che il Nord incassa per i rimborsi della mobilità sanitaria di cui abbiamo parlato sopra.

A essere pignoli ci sarebbe da considerare come un vero e proprio costo – anzi un trasferimento fiscale occulto dal Sud al Nord - anche quello della formazione dei giovani meridionali laureati che emigrano poi al Nord per lavorare (contribuendo ovviamente al PIL del Nord): sono stati circa 2.000.000 i lavoratori del Sud che si sono trasferiti al Nord per lavorare negli ultimi 15 anni. Numeri che così alti non li si vedeva dall’immediato dopoguerra.


I DANNI DELLA RIFORMA DELL’ARTICOLO V

Uno dei mantra dei fautori della secessione mascherata, è quella dell’efficientamento dei processi e della loro semplificazione. Eppure, ancora una volta, a leggere i dati, la realtà è molto diverse da quella che viene raccontata.

Dal 2001, infatti, anno della riforma del Titolo V della Costituzione che ha rivisto le competenze tra Centro e periferia, sono stati 2.256 i ricorsi alla Corte costituzionale, promossi da uno dei due contendenti. Una mole di ricorsi che impegna metà del lavoro e del tempo dei giudici della Corte: circa il 45% delle sentenze dal 2001 a oggi ha riguardato, appunto, il contenzioso Stato-Regioni (grafico 15).




AUTONOMIA DIFFERENZIATA E MACROREGIONI EUROPEE

Un progetto, quello chiamato ipocritamente autonomia regionale differenziata, che maschera la sua vera identità; quella delle macro regioni europee. Cioè la morte dell’unità nazionale in nome degli Stati Uniti d’Europa.

È scritto nero su bianco nei documenti della Regione Veneto del suo governatore leghista Zaia?.

«Oggi abbiamo sancito l’unione di soggetti istituzionali i cui territori insieme costituiscono il cuore dell’Europa ed è la sublimazione di un continente che cambia e che deve vedere protagoniste sempre più quelle comunità omogenee che, condividendo strategie di sviluppo, unitamente affrontano le grandi sfide comuni a cui sono attese, come dimostrano gli incoraggianti risultati sin qui conseguiti dalle due Macroregioni del Baltico e del Danubio. E soprattutto sull’utilizzo delle risorse comunitarie, sulle finalità dei programmi finanziati con fondi europei, che prima ancora degli Stati dovranno essere le Macroregioni i principali interlocutori dell’UE».

Basta confrontarlo col documento della UE sulle macroregioni? (grafico 16).




UNA E INDIVISIBILE (L'UNIONE FA LA FORZA)

È importante evidenziare come, secondo i dati di Bankitalia riportati nel report del 2020 di Eurispes?, l’aumento di 1 solo euro del PIL al Sud produca una crescita di 40 centesimi del PIL al Centro-Nord.

Mentre non accade il contrario. L’aumento del PIL di 1 euro al Centro-Nord determina infatti una crescita per l’intero Paese di soli 10 centesimi.

Insomma, investire sulla crescita del Sud piuttosto che su quella del Centro-Nord comporterebbe un guadagno per l’intero Paese quattro volte maggiore.

Inoltre un aumento di spesa dei consumatori del Sud di 100 euro innalza la produzione al Centro-Nord di 51,8 euro (di 20,2 euro al Nord-Ovest, di 14,3 euro al Nord-Est e di 17,3 al Centro).

I dati non lasciano spazio alla vuota retorica e smontano decenni di narrazione contro l’unità del Paese.

A tale proposito, sarebbe fondamentale l’integrazione tra agricoltura, industria, turismo, logistica e infrastrutture, tenendo presente, fra l’altro, il ruolo strategico del Sud Italia come centro del Mediterraneo.

Come è stato ricordato all’inizio, se l’Italia superasse le sue miopi illusioni di poter procedere a pezzi semi-separati, tornando a considerarsi Paese e sviluppando quindi anche il Sud, diverrebbe il Paese più competitivo d’Europa e forse del mondo.

«Noi siamo da secoli
calpesti, derisi
perché non siam Popolo,
perché siam divisi:
raccolgaci un'unica
bandiera, una speme:
di fonderci insieme
già l'ora suonò».
 

[FONTI:
¹ La valutazione dell’operato della Cassa per il Mezzogiorno e il suo ruolo strategico per lo sviluppo del Paese https://www.researchgate.net/.../216621944_La_valutazione...

Gilberto Trombetta

Gilberto Trombetta

43 anni, giornalista politico economico e candidato Sindaco di Roma con la lista Riconquistare l'Italia del Fronte Sovranista Italiano

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