Buen Abad: "Paesi come il Venezuela sono vittime di persecuzione sistematica attraverso sanzioni illegali"

Buen Abad: "Paesi come il Venezuela sono vittime di persecuzione sistematica attraverso sanzioni illegali"

Intervista esclusiva al filosofo messicano

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di Geraldina Colotti

Fernando Buen Abad, filosofo di formazione, è un intellettuale conosciuto a livello internazionale per il suo profilo di studioso, testimoniato in decine di libri e articoli, e per il suo impegno politico. Messicano di nascita, membro della Rete degli Intellettuali in Difesa della Umanità, oggi vive in Argentina, ed è professore ordinario all’Università Nazionale di Lanús.
In Venezuela, è stato l’ideatore dell’Università Internazionale delle Comunicazioni (LAUICOM), diretta dalla giornalista Tania Diaz, vicepresidenta dell’Assemblea Nazionale Costituente. Un’idea che ha preso corpo durante il Foro di Sao Paolo, organizzato a Caracas a luglio del 2018, ed è stata formalizzata in seguito per decreto presidenziale. Nella sua formula introduttiva, LAUICOM sintetizza così la sua visione: “Università Internazionale delle Comunicazioni, media, reti e pareti per la liberazione della coscienza”.
Con Buen Abad, abbiamo parlato dell’importanza di strutturare una comunicazione alternativa a quella egemonica, ma anche dell’attualità politica internazionale e della Legge contro il bloqueo, proposta dal presidente Nicolas Maduro, e approvata dall’Assemblea Nazionale Costituente.
 

Accademico, saggista, militante. Come preferisci essere definito?

Preferisco definirmi un operaio della filosofia, che lavora alla produzione del pensiero filosofico attuale, cercando di renderlo utile alla pratica trasformatrice necessaria al nostro tempo. In particolare, mi dedico a sviluppare alcune linee di lavoro nel campo della semiotica, intesa come disciplina emancipatrice, come scienza per l’emancipazione del popolo, che per questo deve nutrirsi di correnti di pensiero avanzate, di un pensiero filosofico che interroghi la realtà che viviamo, che indichi le cause e i responsabili dei mali che affliggono l’umanità in questa tappa disastrosa. Intendo una corrente filosofica che metta in discussione il sistema responsabile di questa decadenza brutale del mondo. Sì, direi che operaio della filosofia è la definizione che trovo più calzante.

In quanto profondo conoscitore dell’America Latina, come leggi la situazione del continente, alla luce della pandemia e del nuovo scontro per l’egemonia ingaggiato dagli Stati Uniti?

L’America Latina sta attraversando una fase complessa. Abbiamo visto quanti colpi di stato, tentati o riusciti, si sono verificati: più o meno tra i 12 e i 15, e sempre la macchina ideologica dei media è stata una delle teste di ponte che ha lavorato, prima, durante e dopo i golpe. Ha costruito operazioni psicologiche di distruzione sociale, diffondendo falsità, inganni e menzogne a profusione. Oggi il continente americano alcuni processi elettorali importanti, come quello in Bolivia, ma anche quello negli Stati Uniti, dove vivono molti nostri fratelli, che sopravvivono nelle condizioni particolarmente aspre imposte dal capitalismo e dall’imperialismo. E poi ci saranno le elezioni parlamentari del 6 dicembre in Venezuela, decisive anche per chi vive in altre parti del continente. La pandemia ha messo a nudo le calamità provocate dalla crisi strutturale del modello capitalista. Vediamo che mancano ospedali, letti, medici, specialisti in terapia intensiva, infermieri. Manca tutto per la sanità, ma mancano anche gli insegnanti, il salario, la casa. Il capitalismo è mancanza sistematica pianificata e crudele per i popoli e per la vita delle persone. Mentre nelle alte sfere c’è abbondanza e spreco e una ricchezza oscena, l’immensa maggioranza vive in questa condizione di mancanza. In questo quadro, complicato dalla pandemia, le elezioni devono anche affrontare la mancanza di comunicazione. Paesi come il Venezuela soffrono di un bloqueo criminale, gli viene preclusa ogni possibilità di comunicazione con il resto dei paesi. Sono vittime di una persecuzione sistematica attraverso sanzioni totalmente illegali e irrazionali imposte dagli USA, acuite da Trump. Le grandi corporazioni che manipolano l’economia transnazionale impongono la loro violenza sui salari, sull’inflazione. Misure inclementi contro il popolo venezuelano che dovrebbero rendere chiara la responsabilità di chi le impone, e dunque determinare il voto. Invece sarebbe uno sbaglio crederlo, perché una delle strategie ideologiche, semiotiche e simboliche principali è quella di incolpare i governi progressisti di questa situazione: per le morti da coronavirus, per la crisi economica mondiale che prende forme diverse a seconda dei contesti, ma che viene comunque usata dalla destra contro i governi progressisti del continente e contro la sinistra. Con la sua doppia morale, la destra manipola l’opinione pubblica influendo sui media internazionali, i quali si incaricano di seminare confusione e di manipolare il malessere dei settori popolari a vantaggio di coloro che lo provocano.

Come valuti la recente Legge contro il bloqueo approvata dall’Assemblea Nazionale Costituente in Venezuela?

È un esempio interessante, anche sul piano giuridico, di quanto le leggi non servano quando rimangono sulla carta, come se fossero sovra-storiche, buone per tutte le occasioni e le congiunture. Bisogna guardare in faccia la realtà. La realtà del Venezuela è quello di un paese bloccato, il che significa che le stesse modalità di governo devono adattarsi per essere efficaci. Non si può governare allo stesso modo quando vengono a mancare le condizioni per esercitare le funzioni amministrative, dato che tutto è bloccato, e non si muove niente. Non si può pensare che la legge o le strutture regolamentari restino immobili, inefficaci e inoperanti perché non possono adattarsi alle esigenze concrete del momento. Lo spirito della legge ha a che vedere con la preoccupazione di facilitare la mobilità dell’apparato di governo di fronte a una congiuntura come quella attuale nella quale si devono prendere decisioni rapidamente: decisioni tattiche e strategiche che hanno a che vedere con il rifornimento dei servizi basici, con l’attenzione primaria e diretta alle necessità sociali, con la necessità di garantire i diritti basici alla popolazione. In questo caso, un apparato giuridico sclerotizzato non serve. Questa legge mi pare che abbia la prerogativa di mostrare che quando esiste una plasticità nella logica del governo, è possibile e auspicabile che il corpo giuridico, in tutte le sue articolazioni, si adatti e si presti a essere strumento di azione diretta e concreta per facilitare la mobilità del corpo sociale. Ovviamente questo richiede molto più controllo, più partecipazione politica del popolo. Non si tratta affatto di dare una cambiale in bianco ai governanti perché facciano quello che vogliono, ma di mettergli a disposizione uno strumento duttile, agile per trovare soluzioni in fretta a favore del popolo, aggirando il bloqueo. Questo, ripeto, non significa affatto che si mette in campo una struttura giuridico-politico che passa sopra i diritti e la dignità del popolo, al contrario. E la parte più complicata è questa: intendere la portata strategica di questa legge, e capire al contempo che proprio per questo essa richiede maggior partecipazione: perché, in fondo, si tratta di una strategia per ri-politicizzare la vita nazionale in Venezuela, per capire più a fondo che niente può essere analizzato e attuato fuori dal contesto in cui si determina, e che se il contesto impone queste condizioni, è fondamentale fare affidamento sugli strumenti che permettano di agire in una situazione eccezionale, determinata dal bloqueo e dalla pandemia. Questa legge, inoltre, è stata approvata dall’ANC, un organismo plenipotenziario del potere popolare, che offre la massima garanzia in termini giuridici, politici simbolici. A parer mio, la legge dovrà cominciare a mostrare la propria utilità a brevissimo termine, affinché risulti chiaro che è una bandiera del proceso bolivariano, del governo socialista, e che è una bandiera importante in vista delle elezioni.

La battaglia delle idee, la lotta per contrastare l’egemonia capitalista anche sul piano del simbolico è una parte importante della lotta dei popoli per la loro liberazione. Quali devono essere, per te, le principali armi in questa battaglia?

La battaglia simbolica dev’essere preparata con molti e diversi strumenti. Per dovere di sintesi, posso riassumerli in tre assi concreti, anche se ovviamente sono molti di più. Un primo strumento ha a che vedere con il consolidamento di una scienza semiotica per la lotta, data la situazione mediatica a cui accennavo prima, ovvero l’estrema concentrazione dei media in poche mani, che diffonde un vero e proprio veleno ideologico per infettare i popoli. Considerando l’esistenza di questa situazione imperialista in materia di comunicazione, assolutamente deleteria per il popolo perché li addormenta e li consegna mani e piedi al potere che li sfrutta, dato gli attacchi che si stanno scatenando ai paesi che non si sottomettono, occorre una scienza emancipatrice che permetta di individuare precisamente gli scenari concreti nei quali si dà questa lotta simbolica, che interessa vari ambiti: ovviamente quelli della struttura culturale, sia in campo domestico che come struttura di valori, come sovrastruttura, nell’ambito delle leggi, delle università, delle chiese, insomma nell’insieme delle relazioni sociali che riproducono lo schema generale della struttura simbolica dominante, e nei quali bisogna saper offrire risposte a azioni efficaci. Con uno strumentario scientifico adeguato, si può per esempio portare avanti un’importante attività di guerriglia semiotica nel senso che intendeva Umberto Eco. Si può cercare di arrivare al cuore della macchina di produzione simbolica a livello egemonico, per fare un lavoro di emancipazione semantica. I termini con i quali si è costruito il dominio ideologico e culturale possono essere invertiti, ma occorre fare un lavoro per ri-semantizzare i nostri concetti. Non può essere che la destra si appropri di un concetto come quello di libertà, che appartiene alle lotte popolari, e che ce lo giochi contro, dando battaglia simbolica mentre noi rimaniamo disorientati. Dobbiamo ricomporre l’ordine simbolico, con questo concetto come con molti altri. Facciamo un altro esempio rispetto alle abitudini o alle dipendenze che sono state inoculate nel popolo per indurlo alla sottomissione o all’inazione – alcolismo, droghe, televisione, reti sociali… Dipendenze che si inseriscono nella logica mercantile per riprodurre soggetti tossici che non pensano e finiscono per agire contro gli interessi dei settori popolari. Dobbiamo fare una discussione profonda su ognuno di questi temi per agire nel campo della guerriglia semiotica. In terzo luogo, mi sembra un compito cruciale organizzare scuole quadri in cui formare alla semiotica emancipatrice. Dobbiamo avere compagni preparati non solo a decodificare il discorso egemonico, ma a costruire nuovi vocabolari, nuove efficaci metafore al servizio del pensiero emancipatore e umanista. È molto importante moltiplicare in tutto il mondo soggetti capaci di riprodurre praxis e teoria scientifica adatte alla congiuntura e ai diversi contesti. A mio modo di vedere, sono compiti di prim’ordine, urgenti e importanti per contrastare in modo radicale i laboratori di guerra psicologica che vediamo agire anche in queste campagne elettorali. Attenzione, questo non nasce dalla volontà di qualche accademico avulso dalla realtà, ma deve nascere dalle lotte sociali, dalle mobilitazioni popolari. Fuori dalla lotta di classe, tutti i buoni propositi finiscono per debilitarsi, quando non hanno come finalità la lotta quotidiana per l’emancipazione collettiva. Riassumendo, quindi: una delle urgenze del presente, mi sembra sia quella di attivare una scienza semiotica combattiva ed emancipatrice che comprenda gli scenari di trasformazione e di resistenza semantica che si devono agire e sostenere e che si dedichi alla formazione e alla moltiplicazione di quadri.

La borghesia, quando vince, si dedica a distruggere la memoria storica dei precedenti tentativi rivoluzionari. Questo, purtroppo, continua a funzionare soprattutto nei paesi capitalisti d’Europa. Quanto incide il recupero della memoria nel tuo lavoro?

La memoria è anche un importante campo di battaglia simbolica, un territorio dove si decidono questioni cruciali per la battaglia dei popoli: e mi riferisco sia alla memoria collettiva che a quella individuale. Per le strade di Buenos Aires, nelle piazze principali, vediamo ancora un monumento dedicato a uno dei peggiori criminali che abbia avuto questo paese, un assassino dei popoli originari, che ha comandato un esercito in una battaglia totalmente asimmetrica, sleale e genocida, e nonostante questo  rimane lì sul suo cavallo come un autentico vincitore, come un esempio nella memoria storica di un paese che se ricorda questo è per cancellare nella memoria dei popoli la loro stessa esistenza. Un monumento intoccabile, salvo per le poche luci di resistenza semiotica che hanno provato a intervenire, ma sono state represse. La battaglia per la memoria serve alla comprensione del presente e del futuro, in quanto strumento cruciale per la critica del passato, giacché non si può rimanere ancorati agli schemi del passato per costruire il futuro, ma neanche ridurre la storia a una questione museale. E, soprattutto, non si può permettere ai vincitori di scrivere la storia dei popoli che hanno voluto sottomettere.
 

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