Cara sinistra, non c’è alleanza per la Costituzione senza rottura con l’Unione Europea

Cara sinistra, non c’è alleanza per la Costituzione senza rottura con l’Unione Europea

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di N. Monti

Domenica 11 Dicembre, presso il Roma Scout Center, in una sala affollatissima, i comitati per il No ove partecipa la sinistra italiana, oltre che associazioni, movimenti e grandi giuristi e costituzionalisti, si sono incontrati per analizzare il voto al referendum del 4 Dicembre.

Ne è scaturita una proposta molto interessante, quella di una alleanza per la Costituzione. Un progetto con un programma preciso e affascinante: applicazione in toto della costituzione e dei suoi principi.

Bene, molto bene. Ma questa è solo la base della proposta, mancano ancora tante cose da chiarire e decidere, tra cui le modalità con le quali applicare realmente la carta fondamentale. Ad esempio, siamo tutti d’accordo su come trasferire l’articolo 1 dalla carta alla realtà? Siamo tutti d’accordo su come eliminare tutti gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono ai cittadini di avere una vita dignitosa? È necessario, e non più rimandabile, affrontare al più presto tutto ciò, con franchezza e fermezza, altrimenti si tratta di declamare e non di applicare.

Il voto del 4 dicembre ci ha detto cose che per molti sono sorprendenti e per altri quasi scontate. Ci ha detto che il popolo italiano ha ritrovato una nuova spinta verso la partecipazione politica, ha voglia di partecipare, di contare e il tutto va in controtendenza rispetto agli ultimi tempi, dove la partecipazione popolare è stata alquanto scarsa e molto poco entusiasta.

È stato un voto di classe. Le provincia più povere, l’81% dei giovani tra i 18 e i 25 anni, la classe media dei commercianti e dei piccoli imprenditori, impoveriti dalla crisi, ha votato No, anzi, ha votato in massa per il No. Lo stesso non si può dire di quelle classi che dalla crisi hanno ottenuto più ricchezze, difatti le uniche classi ad aver sostenuto il Sì sono loro. A quanto pare qualcuno riscopre un fattore che è sempre stato determinante nel voto (ma che tanti tendono a dimenticare, per comodità): la condizione sociale ed economica dell’elettore.

C’è una forte richiesta di sovranità. Di certo Renzi avrà pensato che le minacce di stop agli investimenti dell’ambasciatore USA, in caso di vittoria del No e le grandi lodi tessute dalla UE alla sua riforma, con tanto di Merkel super schierata per il Sì, avrebbero ottenuto i risultati sperati. Al contrario il popolo italiano ha reagito a questi apparentamenti stranieri con ancora più veemenza, rafforzando le ragioni del No e rispedendo al mittente tutto, minacce comprese.

Cara sinistra, cari comitati per il No, non ha senso parlare di alleanze, di elezioni, di governo se non cambiano il senso di partecipazione alla vita istituzionale del Paese. Se prima Togliatti, nel ’44 a Salerno e nel ’56 all’VIII congresso del PCI poi, considerava fondamentale per la costruzione del socialismo italiano la presenza dei comunisti e della sinistra in tutte le istituzioni della Repubblica, oggi questo non sussiste più, o perlomeno non più come prima. Il problema sta tutti nel risolvere una questione madre: il rapporto con l’Unione Europea.

Non è un caso se da quando il nostro Paese ha firmato e accettato i famigerati trattati europei, le consultazioni popolari, i governi e le istituzioni hanno avuto sempre meno importanza e potere di incidere. Le elezioni hanno raggiunto un tale livello di disinteresse tra le forze politiche ed economiche dominanti che non devono stupire le tante proposte di elezioni cosiddette di secondo grado, dove non è prevista alcuna partecipazione popolare e le varie leggi elettorali che si sono susseguite negli anni che hanno avuto un unico punto in comune, cioè la mancanza del voto di preferenza, tutto per un semplice e alquanto ripugnante motivo: governi, politici e ministri non lavorano più per avere la legittimazione del popolo, ma per avere quella dell’Europa e abbiamo visto in non pochi casi l’applicazione di questo malsano rapporto di sudditanza (si veda la caduta del governo Berlusconi in primis).

I forti limiti di sovranità e di autonomia economica e politica hanno reso la nostra concezione di presenza nelle istituzioni non più applicabile. Tanto più se alla base del progetto che si vuole portare avanti c’è l’applicazione della nostra costituzione. I trattati europei contraddicono nel modo più assoluto i principi della nostra carta fondamentale, per cui se non viene messa in discussione l’Unione Europea in toto possiamo già definire morta in partenza questa alleanza.

Domandiamoci, vogliamo andare al governo o al potere? Sembra una domanda a trabocchetto, ma non lo è, anzi, è la domanda delle domande a cui bisogna rispondere prima di iniziare ogni avventura politica. Ad oggi il governo italiano, qualsiasi esso sia, non allo stesso tempo detentore del potere, politico ed economico che sia, perché questo potere oggi è in mano alla Commissione Europea e alla BCE che lo esercitano in modo illimitato, senza alcun controllo o giurisdizione ed i governi nazionali sono relegati al ruolo di amministratori ordinari e organi di ratifica.

Se davvero si vuole, come spero, fare una alleanza per la piena applicazione della costituzione, allora tale alleanza non può prescindere dai punti che ho elencato qui, a partire dalla rottura con l’UE, magari incominciando dall’abrogazione del vergognoso pareggio di bilancio che inquina l’articolo 81 della stessa carta. Senza un ragionamento approfondito e franco su queste tematiche essenziali tutto ciò che diciamo, tutti i programmi sono resi vani ed eterei e quindi completamente inutili.

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