DPCM: Questo presepe non ci piace

 DPCM: Questo presepe non ci piace

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di Geminello Preterossi - La Fionda

I dpcm sono ormai armi di distrazione di massa: per distogliere l’attenzione dai problemi veri, cioè dai fallimenti di governo e regioni, si fa propaganda, scaricando sui cittadini le colpe e creando falsi miti.

Ad esempio, quello del Ferragosto devastante. Peccato che l’impennata dei positivi sia cominciata un mese e mezzo dopo, a seguito della riapertura delle scuole. L’inadeguata gestione di tale riapertura e il crack dei trasporti pubblici super-affollati sono, in tutta evidenza, le cause principali del ritorno del coronavirus, insieme all’arrivo della stagione autunnale.

Cosi come davanti ai nostri occhi è la vergogna della totale disorganizzazione della sanità territoriale, che causa l’ospedalizzazione della malattia.

È incredibile che le persone siano abbandonate a se stesse a casa, che non vi siano certezze diagnostiche celeri né protocolli terapeutici chiari, che non si sia provveduto a mobilitare i medici di famiglia (dotandoli degli opportuni presidi di sicurezza). Non sarà che l’alto numero dei decessi, in Italia, è anche l’effetto del fallimento radicale della sanità, in particolare di quella territoriale, che impedisce di curare adeguatamente le persone a casa, facendole affollare in ospedale, magari quando è tardi?  

Tutto ciò viene rimosso, e l’attenzione spostata, fin dalla primavera scorsa, via via su obiettivi fittizi: sui riders (anche se solitari), la movida, i giovani, il Natale con i parenti (persino quelli stretti, se abitano in un’altra regione, pur gialla), la Messa di Mezzanotte (notoriamente, il virus si sveglia a quell’ora).

Il coprifuoco è diventata la normalità (come faranno, certi personaggi, a sopportare che le persone possano tornare a uscire liberamente quando vogliono, anche la sera, quando saremo fuori da questo incubo, mettendo davanti ai loro occhi, come in uno specchio, la miseria della loro “non vita” sociale?). Si dice: lo spaesamento è di tutto l’Occidente.

A parte il fatto che qualche eccezione, seppur esigua, c’è (non a caso, la Svezia del Welfare), l’argomento del “mal comune” non può essere un alibi. Anzi, dovrebbe suscitare qualche domanda di fondo, sul collasso di una civilizzazione.

Evidentemente, il cancro del finanzcapitalismo, dell’omologazione consumistica e mediatica aveva talmente scavato dal di dentro nelle nostre società da renderle fragilissime. La risposta inadeguata e decivilizzante al virus è l’effetto plastico della follia neoliberista, che ha negato la politica autonoma, il ruolo del pubblico e del lavoro, i diritti sociali. Chi, delle classi dirigenti occidentali, ha chiesto scusa per l’azzardo della globalizzazione finanziaria? Nessuno.

C’è un prezzo che deve essere pagato. Come minimo, con la rimozione di una classe dirigente che ha fallito. Si dice che il diritto alla salute debba prevalere su tutto. Bene. Ma perché sia realmente così, non servono isterismi e diversivi, che minano la democrazia costituzionale rilanciando continuamente un emergenzialismo irrazionale, ma strutture e servizi sul territorio, demoliti in questi ultimi trent’anni senza gloria sull’altare dell’austerità eurista.

Fideismo irrazionalistico e mancanza di buon senso sono funzionali a una strategia di disciplinamento biopsichico.  Invece di risolvere i problemi pratici, e di superare le gigantesche criticità emerse finora dal punto di vista organizzativo, assumendosene la responsabilità, si sceglie di mandare messaggi simbolici terroristici, ben al di là della necessità e dell’efficacia delle misure-manifesto individuate.

Misure che come al solito interiorizzano estremizzandola la logica delle raccomandazioni paternalistiche e tartufesche dell’UE, mentre ad esempio persino Macron in Francia, più astutamente, evita certe scelte impopolari (e sostanzialmente inutili), come il coprifuoco anche per Natale e Capodanno (addirittura rafforzato, in Italia), o la proibizione degli spostamenti tra regioni e addirittura comuni (anche per raggiungere parenti stretti). 

Ancora una volta, nell’uso politico e comunicativo che se ne fa, il coronavirus svolge una funzione analoga a quella dell’euro. Il vero senso del dpcm natalizio, che sintetizza tutti quelli precedenti, è: responsabili dovete essere voi, perché di base siete colpevoli in quanto indebitati, bamboccioni e dissennati, mentre di responsabilità politiche, economiche e amministrative delle classi dirigenti neppure si deve parlare. Il tutto, mentre si assiste indifferenti   all’aberrante cortocircuito tra comunicazione malata e virologi mediatici confusionari e vanesi. Forse si pensa di trarne vantaggio. L’effetto è, in ogni caso, culturalmente devastante, e non può che generare disorientamento, perdita di fiducia e angoscia nei cittadini. 

L’UE al solito si segnala: con il consueto tono ammonitorio, mellifluo, dietro una coltre di retorica, pretende di stravolgere vite, principi, tradizioni, simboli. Tutto per il nostro bene, s’intende (come per quello dei bambini greci, con l’austerity draconiana…). Ferocia travestita da buonismo tecnocratico: la banalità del bene.


Allora anche i peggiori pensieri diventano giustificati, plausibili. È incredibile come si faccia di tutto per dare argomenti a chi sospetta che ci sia qualcosa sotto. Di fronte a un fallimento epocale, non solo non si scusano, ma rincarano la dose, intignano…Probabilmente per cecità. E cinismo.  

ll paternalismo nichilistico e bacchettone che proviene dall’alto – un mix micidiale di arroganza, conformismo, pochezza intellettuale e morale – pretende di guidarci pastoralmente, mantenendoci in un perenne stato di minorità. Chi non crede a niente, se non al potere fine a se stesso, al governismo senza visione, non può comprendere il valore complesso della libertà in relazione. Eppure pontifica con il ditino alzato, in tv e sui social.

Del resto, si capisce che la sospensione della vita qualificata, della polis sia il sogno di chi da decenni si è votato al vincolo esterno, e pretende di governare senza legittimazione popolare. Alla base c’è un pericoloso riduzionismo culturale, esso sì antipolitico, e un’ostilità antipopolare che conduce dritti dritti a fare il cane da guardia dell’establishment. Come può restare qualcosa di credibile a sinistra, così?

Conte, per una sorta di pragmatico istinto, ha provato a mediare (almeno così dicono le cronache), probabilmente intuendo che questo dpcm natalizio approfondisce la frattura con un Paese stanco, sfiduciato, avviato alla disperazione economica (soprattutto per alcune categorie esposte all’urto delle chiusure ripetute) e antropologica. Ma il PD, che reclama i suoi feticci (lockdown e Mes), ha prevalso (per ora solo sul primo; vedremo se la minoranza più critica del M5S riuscirà a fare argine sul secondo, anche se il grosso del Movimento sembra ormai pronto a svendersi su tutto).

Ma del resto, con forze la cui ragion d’essere è unicamente la difesa dello status quo, del “sistema”, non ci si può attendere altro. Particolarmente odioso è però che tale caricatura della responsabilità delle élites sia condita con una melassa insopportabile di suprematismo morale, tipico di chi pretende di fare la lezione non potendoselo permettere. Purtroppo, attualmente un’alternativa adeguata non si vede. Speriamo che quando tornerà il tempo della politica, emerga. Ma almeno culturalmente bisogna cominciare a prepararla ora. E ribellarsi al torpore sanitario di cui l’attuale quadro, fragilissimo, si alimenta, contrastando la tentazione di perpetuarlo.

Anche perché non solo non funziona, ma si illude assai chi ritiene di vedervi comunque un katéchon. Siamo in una situazione che serba invece un rischio esiziale: il mix di passivizzazione, asocialità e disperazione può preparare il terreno ad avventure catastrofiche.

Ecco allora che si intravede la logica obbedendo alla quale si adottano misure inutili o del tutto secondarie, a fini simbolici, senza neppure tentare strade alternative. Il senso di quella logica è:  non vi venga in mente di protestare, di organizzarvi, di avanzare dubbi. Se volete salvare la pelle dovete abiurare la vita. C’è una logica sadiana in questo accanimento irrazionale. Il virus esiste, lo sappiamo bene. Ma va affrontato con razionalità, predisponendo quanto serve davvero (ciò che non è stato fatto, largamente). Non strumentalizzandolo. Sarebbe stato un bel segnale tenere aperti cinema, teatro, musei, biblioteche che, com’è noto, non sono i luoghi del contagio. Un segno non solo di speranza, ma di inversione di tendenza, in un Paese che da troppo tempo svaluta la cultura. Responsabilità non può significare rassegnazione (vale anche per le scuole e l’università, dove si è dato per scontato che l’unica soluzione fosse la DAD).

È un ricatto insopportabile, questo, che purtroppo viene veicolato anche da molti “intellettuali”: non si può avanzare dubbi, sottolineare opacità ed errori, fare proposte alternative, pena lo stigma dell’irresponsabilità o peggio del negazionismo. Un modo indecente di negare il pensiero critico, di pretendere una sorta di adesione cieca, sul ricatto della paura.  Invece, possiamo dire molto chiaramente che irresponsabile è chi si tappa occhi e orecchie; negazionista chi ripete il mantra secondo cui  tutto va bene, funziona ed è trasparente.

La rassegnazione è la responsabilità di chi è già morto alla vita civile, e quindi non ha più alcuna capacità di “rispondere” a una sfida. Essere responsabili non significa essere rassegnati a tutto, pronti a ridimensionare, accettandolo, qualsiasi vulnus: senza questionare, senza cercare, con intelligenza, soluzioni diverse e praticabili. È assurdo che di fronte a un virus rispetto al quale ci sono poche certezze, un solo dogma debba valere: chiudere tutto (o quasi), senza discussione, a ripetizione. Sarebbe come pulire una cristalleria affidandone il compito a un elefante.

 Che si sia continuato a proseguire in modo tetragono su questa strada, dopo quello che è successo nella primavera scorsa, sapendo bene che significa ferire duramente libertà fondamentali, vita sociale e culturale, formazione dei giovani, è segno di una perseveranza inquietante. Non c’è alternativa, si dice.

Questa storia l’abbiamo già sentita: è il mantra del neoliberismo. Lo slogan malefico di un sistema ormai insostenibile non solo dal punto di vista economico, perché ha generato un vero e proprio crollo di civiltà.  Ora basta. Le alternative bisogna innanzitutto volerle cercare. E stavolta, con la cosiddetta “seconda ondata” del coronavirus, c’è stato anche il tempo.

Solo se ci rendiamo conto ora della reale posta in gioco ideologica, culturale e politica, potremo evitare che il post-pandemia sia persino peggiore di quanto l’ha preceduto. Cioè eviteremo di ritrovarci nel girone infernale del grande resettaggio neoliberale: non un altro “tutto cambi, perché tutto resti come prima”, ma “tutto cambi, perché tutto sia ancora peggiore”, affinché la feroce estrazione di plusvalore di un potere forse al tramonto, ma incattivito, possa proseguire senza ostacoli. Siamo disposti a incamminarci verso una “non-società”, ancora più atomistica e senza relazioni, schiavi dei giganti tecnologici e finanziari?

A sopravvivere in preda all’angoscia, schiacciati in un individualismo passivo e disumano, che mira ad eternizzare la morte della politica, distruggendo lo Stato, la vita privata, il nostro stesso codice antropologico e spirituale? Contro questi scenari distopici, che non hanno nulla di smart (altro che smart working…), la refrattarietà dell’agorà, della libertà come valore collettivo di comunità di eguali, delle persone incarnate che reagiscono ed escono all’aperto costituiranno – questo è il vero seme della speranza, oggi, ben più del vaccino -, un nuovo katéchon disarmato, ma irriducibile.

In questo tempo dell’attesa, ci viene ingiunto di non essere più cittadini liberi, ma solo consumatori a comando, per prendere ancora un po’ di tempo e provare a dilazionare il crack economico in arrivo. Alla Messa no, ma al centro commerciale si. E arriviamo così alla profanazione del Natale. C’è qualcosa di grottesco e allo stesso tempo di mostruoso in questo feroce e insensato accanimento. Una disumanità talmente acuta e stupida da far sperare in una rivolta. Anche chi vuol dominare, non può forzare troppo la mano, sfiorare il pericoloso crinale che unisce il ridicolo al ripugnante.  Ma le classi dirigenti del perbenismo neoliberale e dell’europeismo che rinnega l’Europa sono irredimibili.

Sembrano quelle dell’URSS di Breznev: speriamo che la liberazione sia vicina. Infatti, i loro doni sotto l’albero (virtuale) sono un incubo: Mes e covidworld. Questo presepe non ci piace. Anche perché è la negazione di tutto ciò in cui crediamo. E anche del vero presepe. Stavolta persino Lucariello sarebbe d’accordo…

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