Ecuador, intervista al leader indigeno Leonidas Iza: "Lavorare in tutto il continente per l'unità della sinistra contro il neoliberismo"

Ecuador, intervista al leader indigeno Leonidas Iza: "Lavorare in tutto il continente per l'unità della sinistra contro il neoliberismo"

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di Davide Matrone
 

Dopo un anno dalle proteste massive dei popoli latinoamericani, si cerca di fare un bilancio generando proposte per la soluzione della crisi nel continente piú disuguale del pianeta. I movimenti indigeni giocano ancora un ruolo importante per la forte capacitá organizzativa e di lotta che condiziona l’agenda politica regionale. Le forti critiche sollevate alla fine del 2019 contro le ricette neoliberiste imposte dal FMI sono ancora in piedi e potrebbero ripresentarsi nuovamente con l’agudizzarsi della crisi economica. Ne abbiamo parlato con Leonidas Iza, lider del movimento indigeno dell’Ecuador che lo scorso ottobre 2019 guidò all’insurrezione migliaia di ecuadoregni contro le politiche economiche anti – popolari del governo Moreno.


Nel mese d’ottobre del 2019 milioni di latinoamericani si sono sollevati contro le ricette del FMI. I primi a ribellarsi sono stati i movimenti indigeni dell’Ecuador. Perché?


La sollevazione del mese di ottobre in Ecuador, non ebbe origine esclusivamente per l’emanazione del Decreto 883 (eliminazione dei sussidi al carburante) ma anche per l’applicazione delle politiche economiche di carattere neoliberista che si impulsarono a partire dal 2018. La flessibilizzazione e la precarizzazione del lavoro; la privatizzazione delle imprese pubbliche; la riduzione della spesa corrente per la salute e l’educazione; l’abbandono del progetto di educazione bilingue, avevano sancito la fine del dialogo con il governo. Il ritorno del paradigma neoliberista nel continente ha provocato una forte crisi economica che ha spinto alla ribellione i popoli di Haiti, Cile e Colombia.


Dopo 12 giorni di lotta, si è giunti al tavolo del dialogo dal quale si ottenne la deroga del Decreto 883. Eppure c’erano altre 11 rivendicazioni. Perché il dialogo si è interrotto?


Il governo è sotto il ricatto del FMI. Se avesse accettato di dialogare con noi, non avrebbe avuto accesso alle risorse economiche concessegli dagli Organismi Multilaterali che hanno condizionato l’agenda politica e ne controllano l’economia. Tuttavia, siamo coscienti dei nostri errori nella fase post-dialogo. Nel frattempo, il governo ha continuato ad applicare la strategia del divide et impera, polarizzando il suo discorso perseguendo i “violenti”. Inoltre, lo stesso Decreto 883 è stato ripresentato, sotto un’altra forma, a partire dal mese di marzo 2020 mediante il sistema di fasce di prezzo. Quest’ultimo, con l’incremento del 5% mensile, porterà all’eliminazione del 100% dei sussidi al carburante in un anno e mezzo.


Cosa fare?


Dobbiamo passare alla fase del “Che fare” e della proposta. In primis riaffrontare il problema dell’estrattivismo. Il 15% del territorio nazionale - di cui il 70% si concentra nella nostra zona - continua ad essere martiorato dalle politiche estrattiviste. Le altre questioni come: il trasporto comunitario, il riconoscimento dell’educazione bilingue, il cambio di matrice produttiva e la giustizia indigena devono essere riaggiornate. Noi, continueremo nella lotta affinché ci sia una comprensione e una soluzione organica.


Siamo in campagna elettorale. Il prossimo febbraio 2021 si eleggerà il nuovo presidente e il nuovo Parlamento. Cosa si delinea al momento?


L’attuale ufficialismo ha una bassa leggimità popolare e per proseguire il modello di sviluppo neoliberale appoggia il candidato della destra (Guillermo Lasso ndr). Per la stessa ragione, sta utilizzando i mezzi di comunicazione (suoi alleati) per costruire una cortina di fumo permanente coi casi di corruzione, gli scandali giudiziari che cercano di nascondere la crisi economica profonda che attraversa il paese. Nella nostra Costituzione dal 2008 vengono riconosciute tre forme di democrazia: la rappresentativa, la diretta e la comunitaria ma è solo formale, a mio avviso. Noi, come organizzazione di massa, abbiamo un compito importante: incrementare la partecipazione popolare e criticare il sistema della partitocrazia che indebolisce la democrazia.


Si aspettava una sua candidatura in queste elezioni ma il vostro candidato è Yaku Pérez. Cosa è successo?


Personalmente, avevo dichiarato pubblicamente di non candidarmi in nessun ambito. Rispetto alla candidatura di Yaku Pérez, sin dall’inizio, ho manifestato la mia contrarietà sulle modalità che hanno determinato il binomio presidenziale del partito Pachakutik. Alcuni compagni dirigenti hanno leggitimato la partecipazione individuale degli affiliati e non hanno rispettato il processo collettivo, cosí come viene stabilito dallo statuto della CONAIE. Si sono troncate alcune candidature per aspirazioni individuali e se si riconosce, nella Carta Magna, la democrazia comunitaria dobbiamo applicarla noi per primi.


Dal 18 al 30 settembre è stato in giro negli Stati Uniti presentando il suo libro “Estallido: la rebellión de octubre en Ecuador”. Com’ è andata?


L’obiettivo principale della mia vista negli Usa è stata quella di generare le condizioni di unità per la lotta contro il razzismo, il fascismo e lo sfruttamento. L’indipendenza degli Stati Uniti, dall’anno 1776, si regge anche sulle lotte di liberazione degli schiavi; per questo abbiamo realizzato una serie d’incontri coi fratelli afrodiscendenti in lotta oggi contro il razzismo. Ci auguriamo di poter presentare il libro anche in Europa per incrementare i processi unitari di lotta e combattere l’espansione di un ordine mondiale basato sull’ideologia fascista.


Durante il suo tour negli Usa, si sono registrate una serie di manovre politiche. La visita di Yaku Pérez nella sua regione, le candidatura del suo braccio destro Peter Calo al Parlamento e quella ancora in bilico di Jaime Vargas. Come interpreta queste mosse?


L’arrivo di Pérez nella mia regione indica il non rispetto ai processi collettivi e questo è molto doloroso per tutti. Il passato 2 ottobre Jaime Vargas fu eletto come candidato degli aderenti collettivi in rappresentazione delle popolazioni e nazionalità indigene, peró i dirigenti di Pachakutik non hanno dato accesso alla decisione collettiva. Tuttavia, abbiamo detto che sosterremmo il programma politico del movimento indigeno dell’Ecuador.


I sondaggi oggi danno Arauz primo e Lasso secondo. Nel caso ci sia il ballottaggio, come si comporterà il movimento indigeno?


In un probabile ballottaggio tra il candidato Arauz (sinistra) e Lasso (destra), il mio collettivo non appoggerà quest’ultimo. Non possiamo far compromettere il nostro progetto politico ed assoggettarlo a qualsiasi forza politica. Anche con le forze della sinistra siamo critici e non accetteremo di farci strumentalizzare o di ritornare alla stagione delle persecuzioni ai nostri lider indigeni.


Il 18 ottobre il MAS ha stravinto le elezioni presidenziali. Quale sarà la maggiore sfida di Arce?


Il popolo boliviano ha dimostrato un gran coraggio. Non si è fatto intimorire dalle politiche razziste e denigranti del governo di destra. I movimenti indigeni della Bolivia hanno saputo elevare il conflitto all’ambito politico e qualificare il programma del neo presidente Arce. La maggioranza ha detto basta al modello di sviluppo neoliberista. Tuttavia, bisogna fare delle critiche ed imparare dagli errori del passato. Il binomio Arce - Choquehuanca ha vinto grazie all’appoggio delle organizzazioni sociali e dei movimenti indigeni, pertanto l’azione politica del governo si dovrà gestire sulla base di queste alleanze. Nel passato abbiamo criticato, il modello sviluppista che aggrediva i territori delle nazionalità indigene come nel caso del TIPNIS. A partire da ciò bisogna generare una proposta che permetta un equilibrio di sviluppo con una visione anche dei popoli originari. Bisogna ridiscutere le conseguenze negative delle politiche economiche centrate nell’estrattivismo. Il progressismo latinoamericano gode ancora di adesione popolare che rappresenta una resistenza alle ricette trentennali del FMI che hanno implementato le crisi che affrontiamo oggi. In definitiva, dobbiamo lavorare in tutto il continente affinché ci sia un’unità della sinistra contro il neoliberismo.

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