In occidente cresce la propaganda anti-cinese

In occidente cresce la propaganda anti-cinese

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di Luca Frei - sinistra.ch

La propaganda anti-cinese in Occidente sta raggiungendo dei livelli altissimi. Ogni giorno, sui principali media mainstream svizzeri ed europei, si conta almeno un articolo critico nei confronti della Cina. Un caso particolarmente esemplare è quello del quotidiano francese Le Monde, di matrice liberale e fin troppo spesso erroneamente definito di sinistra. Le Monde, infatti, pubblica anche tre o quattro articoli al giorno, ovviamente tutti con toni altamente critici e sui temi più disparati: coronavirus, Hong Kong, il fantomatico genocidio degli Uiguri, accuse di totalitarismo, eccetera.

Ma non è necessario guardare al di fuori dei confini elvetici per trovare della quotidiana propaganda anti-cinese. Anche i media svizzeri sono ben inseriti in questa dinamica di difesa degli interessi atlantici e, di conseguenza, di attacco nei confronti della Cina. È di fine dicembre un articolo di Roberto Antonini, giornalista della RSI, apparso in prima pagina su LaRegione ed intitolato “I silenzi e le bugie di Pechino” (leggi qui). Antonini, in questo suo delirante articolo, non solo critica la Cina per la gestione della pandemia, bensì concede fin troppo spazio a teorie complottiste: secondo il giornalista, infatti, il coronavirus potrebbe essere sfuggito da un laboratorio di Wuhan. Il crescente clima di propaganda anti-cinese e sinofobica giustifica dunque addirittura la pubblicazione sulla prima pagina di uno dei principali quotidiani ticinesi di teorie alquanto discutibili.

La questione pandemica, del resto, viene sfruttata in lungo ed in largo ormai da mesi, benché la reazione cinese sia risultata, al contrario di quella elvetica ed occidentale, fra le poche ad avere successo. Le numerose accuse sono però facilmente confutabili: persino Open, la testata di Enrico Mentana, che di certo non è conosciuto per essere un amante della Cina, ha apertamente criticato chi afferma che il Coronavirus sia stato creato in laboratorio (leggi qui). Se poi davvero si volesse credere a una tale origine del virus, allora occorrerebbe comunque ancora interrogarsi sui reali responsabili di tali laboratori che spesso vengono citati, come ha fatto anche il Global Times. Talvolta, inoltre, tali accuse sarebbero in realtà valide per gli stessi Paesi occidentali. Sempre a fine dicembre, la piattaforma Bluewin.ch riprendeva una notizia d’agenzia in cui si accusava la Cina di aver mentito sulla quantità di casi di coronavirus a Wuhan, in quanto non avrebbero contato gli asintomatici (leggi qui). Alla luce di come vengono contati i contagi in Svizzera, dove raramente gli asintomatici vengono testati o identificati, una tale accusa risulta totalmente fuori luogo

La gestione della pandemia è soltanto uno degli assi propagandistici sui quali si basano i media occidentali. Le accuse nei confronti della Cina, identificato ormai come principale nemico della democrazia liberale occidentale, sono tutte volte a delegittimare il Paese asiatico e la sua sovranità. Supporto indiscriminato ai rivoltosi di Hong Kong, accuse di genocidio contro gli Uiguri nello Xinjiang (quando, in realtà, la Cina semplicemente lotta contro il terrorismo separatista e contro la povertà), critiche sul piano ambientale (anche se ormai da secoli le potenze imperialiste occidentali stanno depredando il nostro pianeta) e accuse di totalitarismo.

Tutta questa propaganda, che si basa su schemi che si ripetono ormai da decenni, se non da secoli (guardando, ovviamente, a tempi anteriori all’opposizione fra Paesi capitalisti e socialisti), è aumentata notevolmente nel corso dell’ultimo anno, in modo particolare da quando la Cina ha saputo dimostrarsi superiore nella lotta alla pandemia, sia sul piano della gestione interna, sia sul piano internazionale, dove si è caratterizzata per la sua particolare solidarietà, opposta all’egoismo delle potenze occidentali. La propaganda si iscrive insomma nel disperato tentativo del blocco atlantico di mantenere invariato il proprio status quo, che inizia a vacillare, e l’orientamento geopolitico unipolare ancora in vigore. La Cina, che scalfendo questo dominio occidentale (ed in particolare degli Stati Uniti) vuole promuovere la costruzione di un mondo multipolare, basato sul rispetto reciproco, la cooperazione fra Paesi e la pace, è vista come il nemico da abbattere: la martellante propaganda mediatica, che non fa altro che fomentare il sentimento anti-cinese e la sinofobia, è quindi un elemento di questo attacco frontale del campo atlantico alla Cina.

Di fronte a questo fenomeno, occorre restare vigili e saper identificare quali sono gli interessi geopolitici in gioco. Fra i pochi partiti politici in Svizzera a saper riconoscere questa situazione vi è il Partito Comunista, che negli ultimi mesi ha ribadito più volte la necessità di lottare contro la crescente sinofobia (leggi qui) e sta aumentando in modo costante le proprie relazioni con il Partito Comunista Cinese. La Gioventù Comunista Svizzera, invece, ha deciso durante la sua ultima assemblea di voler aumentare la propria formazione e le proprie conoscenze in merito alla realtà cinese, identificata come particolarmente importante nella lotta contro l’imperialismo atlantico.

Allo stesso modo, la Svizzera dovrebbe aprirsi maggiormente alle relazioni con la Cina, invertendo dunque la rotta che parrebbe voler prendere il ministro degli esteri Cassis, che nel 2020 ha più volte espresso forti critiche nei confronti del Paese asiatico e delle relazioni sino-elvetiche (critiche che abbiamo già avuto modo di commentare negli scorsi mesi: leggi qui). La Svizzera, nel nome della sua neutralità e sovranità, dovrebbe infatti rendersi promotrice della costruzione di un mondo multipolare e non dimostrarsi serva degli interessi atlantici, che oltre ad essere criminali sono particolarmente controproducenti per la Svizzera stessa.

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