Israele e le interferenze straniere nelle elezioni presidenziali USA del 2016
di Michele Metta
È stato da qualche giorno reso pubblico un affidavit dell’FBI, la polizia federale degli Stati Uniti. Tale affidavit fa parte delle indagini per stabilire se, durante le elezioni presidenziali del 2016, ci furono pressioni e interventi stranieri per cambiare illegalmente l’esito del voto.
Quel che è estremamente interessante in questo documento, che ovviamente accludo al presente articolo, è che l’FBI allude all’esistenza di interferenze, e ai massimi livelli, da parte di Israele.
Pur se censurato, infatti, il testo, con un minimo di attenzione e preparazione, è ampiamente decifrabile. A cominciare da una frase contenuta in un messaggio privato scambiato tramite una applicazione di Google, e che, per via di un’ordinanza, Google ha dovuto mettere a disposizione delle autorità statunitensi. Autore del messaggio è Jerome Corsi, un personaggio di quella destra internazionale non scevra di estremismo. Il ricevente è anche lui un destrorso di punta, nonché un caro amico di Donald Trump: Roger Stone. In quel momento – è il 12 Agosto 2016 – Trump è appunto in corsa per la Casa Bianca, ma Corsi avverte Stone: “Sta per perdere, a meno che noi non interveniamo. Abbiamo materiale d’intelligence cruciale”. Cruciale per far vincere Trump, ovviamente.
Chi sia quel “noi”, lo si inizia a intuire dal luogo dal quale Corsi parla, e cioè Gerusalemme. Ma grazie a due altri scambi di messaggi avvenuti in precedenza, e per la precisione il 21 e il 25 giugno dello stesso anno, ricaviamo con certezza che, in questa operazione israeliana per modificare fraudolentemente l’esito della competizione per la presidenza degli Stati Uniti, c’è di mezzo – e come potrebbe essere diversamente, data la magnitudine – l’allora leader di Israele in quel momento, e cioè Benjamin Netanyahu. Questi, non è indicato direttamente per nome, ma appunto con la sigla PM: Prime Minister, Primo Ministro. Non solo. Riusciamo anche a capire chi sia il tramite politico incaricato da Netanyahu per la bisogna. Si tratta di Tzachi Hanegbi. Appena un mese prima, era divenuto un membro del governo israeliano. I sui campi d’azione ufficiali, riguardavano la difesa e i rapporti con l’estero; àmbiti che, indubbiamente, ben si attagliano alla missione segreta da svolgere.
Israele teme – anzi, preannuncia – che contro Trump piomberà una cosiddetta Sorpresa d’Ottobre. Così, in gergo, sono infatti definite quelle trappole, quegli sgambetti che, quando in USA ci sono le Presidenziali, un fronte sguaina all’ultimo momento, per far inciampare e, di conseguenza, perdere, il rivale in corsa verso lo Studio Ovale a Washington. Queste trappole, scattano puntualmente ad ottobre per due semplicissimi quanto micidiali motivi. Tutto si chiude a novembre, quando i cittadini a stelle e strisce ultimano le operazioni di voto e si procede allo spoglio. Di conseguenza, uno scandalo tirato fuori a ottobre, lascia il segno; innanzitutto, perché gli elettori si recano alle urne con in testa il ricordo freschissimo di tale scandalo.
Ecco perché, il 9 agosto del 2016, gli israeliani, tramite Corsi, evidentemente ben informati, avvisano, con un messaggio allarmatissimo, tanto è vero che è tutto in maiuscolo: TRUMP IN FREE FALL. OCTOBER SURPRISE COMING! E cioè: attenzione, perché Trump, per via della trappola, andrà in caduta libera (free fall). In effetti, la trappola contro il repubblicano, giunge. Il 7 ottobre del 2016, alle 4 del pomeriggio, uno dei quotidiani più seguiti, il Washington Post, pubblica un articolo: svela affermazioni fortemente misogine pronunciate da Trump, tra cui l’ormai notissima frase sulla libertà di afferrare le donne – testuale – dalla fica. Trump, in effetti, accusa pesantemente il colpo, come previsto da Israele. Di norma – ed è questo il secondo motivo per cui questo tipo di sorprese le si fa scattare a ottobre – la troppa vicinanza rispetto al voto fa anche sì che il candidato colpito non abbia tempo di fare una contromossa. Ma, grazie a Israele, la contromossa, in questo caso, è pronta, e Corsi prega Roger Stone di lasciare che sia messa in pratica, perché, viceversa, “History will not forgive us”, “la Storia non ci perdonerà”.
La Storia, quella recante appunto l’iniziale maiuscola perché universale, in effetti, si farà: Trump sconfiggerà la Clinton, ottenendo le chiavi d’ingresso alla Casa Bianca. Quel che ora sappiamo grazie al documento dell’FBI, è che, su quelle chiavi, si intravvedono impronte del governo israeliano, più che dal popolo degli Stati Uniti.
Impossibile non ricordare come la presidenza Trump sarà caratterizzata da un enorme, scandaloso appoggio a oltranza, sempre e comunque, nei confronti delle politiche israeliane, e addirittura vedrà il trasferimento della sede diplomatica USA da Tel Aviv a Gerusalemme, città sacra anche per altre due religioni oltre quella ebraica, e cioè la cristiana e la musulmana. Un gesto, quindi, di gravità enorme, perché calpesta, di fatto, le altre due fedi, tanto da non essere mai stato messo in pratica, prima di Trump, da nessun altro Presidente degli Stati Uniti.
Sottolineo che alla conclusione che Israele ha agito per modificare l’esito del voto USA nel 2016, è giunto, sempre leggendo il documento dell’FBI che ho fin qui analizzato, anche il giornale israeliano The Times of Israel.
Ma c’è un ultimo aspetto che mi preme sottolineare, ed è contenuto in un altro passaggio del documento dell’FBI. È una frase che, a un certo punto, mette di mezzo l’Italia. Vediamo in dettaglio di cosa si tratta.
Siamo al 28 giugno 2016, e Corsi fa sapere a Roger Stone di essere di ritorno a Washington dopo consultazioni urgenti a Roma con il Primo Ministro israeliano Netanyahu. In effetti, il 27 ottobre – il giorno prima, quindi, attenzione – Netanyahu era stato ricevuto con tutti gli onori, e tenuto a colloquio, dal suo omologo italiano. Di chi stiamo parlando? Di Matteo Renzi. Per come la frase è strutturata, per la concatenazione tra visita e colloquio di Renzi con il leader israeliano e il messaggio di Corsi a Stone, si ha la netta impressione che questo incontro qualcosa abbia a che fare con le manovre occulte del governo israeliano per fare eleggere Trump. E non sfugga che poco prima, il 20 agosto 2016, Corsi riferisce a Stone la necessità di un incontro con [NOME CANCELLATO] al fine di determinare “cosa eventualmente Israele pianifica di fare a ottobre [per Trump]”. Così come non sfugga che il 3 novembre 2016, a solo 5 giorni dalla vittoria di Trump, arriva uno strano messaggio di Corsi a Roger Stone. Questo: “Roger, European country ready to release secret tapes to DESTROY objective. Can we meet ASAP?”. Tradotto: “Roger, Paese europeo pronto al rilascio di nastri segreti per DISTRUGGERE l’obiettivo. Possiamo vederci il prima possibile?”.
È una impressione, lo ribadisco. Tuttavia, Renzi ha più volte deriso Bernie Sanders, il candidato della Sinistra del Partito Democratico: il Bernie Sanders ostile, dichiaratamente, pur essendo lui stesso di origine ebraica, alle prepotenze del governo israeliano; il Bernie Sanders che, certamente, se candidato al posto della Clinton, avrebbe sconfitto Trump, perché su uno immacolato come Sanders, sgambetti israeliani con materiale compromettente non erano possibili. E quindi, un invito a Renzi a chiarire meglio gli scopi e i termini di quell’incontro con Netanyahu, credo sia, già così, legittimo rivolgerlo. Ma legittimo lo è ancora di più se messo in relazione con ciò che è venuto fuori, proprio in queste ore, grazie a un filmato, e cioè l’esistenza di un altro incontro – lungo e certamente con i colori del clandestino, dato che si è svolto in un autogrill – tra Renzi e uno 007 nostrano, Mancini, il quale ultimo ha dimostrato in passato una certa inclinazione a fare i voleri della destra USA più rapace; quella di cui Trump è un paladino di punta. Marco Mancini, infatti, fu coinvolto nel sequestro illegale, su ordine della CIA, di Abu Omar, l’allora imam di Milano. Tale illegalità è resa ancor più evidente dal risarcimento di Euro 1.000.000 disposto, a posteriori, dalla Corte di Appello di Milano, per Abu Omar, e di Euro 500.000 per la moglie di Abu Omar, Nabile Ghali. Dopo questo – come dire? – abboccamento autostradale, Conte cade, e proprio per via di Renzi e, proprio per via di Renzi ancora, arriva un certo Mario Draghi.