La morte della regina e il gesto dell'India (notato da pochi)

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Poche ore prima che la notizia della morte della regina Elisabetta II facesse il giro del mondo, nella capitale indiana di New Dehli, l’ex “perla della corona”, si è tenuta la cerimonia di inaugurazione della statua di Subhas Chandra Bose, noto come Netaji, politico e generale indiano, una delle figure centrali della lotta per l’indipendenza dalla Gran Bretagna.

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Vestigia del colonialismo

Un’ironica coincidenza quella che vede Narendra Modi, primo ministro indiano, inaugurare la nuova statua dell’eroe della resistenza indiana poche ore prima che si diffondesse la notizia della morte della regina Elisabetta.

La statua, collocata dove un tempo si trovava quella di re Giorgio V, nonno di Elisabetta II, fa parte di un piano di rinnovamento più ampio annunciato da Modi in un discorso rivolto alla nazione lo scorso 15 agosto, giorno in cui in India si è celebrato il 75esimo anniversario dell’indipendenza dalla Gran Bretagna.

In quell’occasione, come riportato dal Guardian, Modi ha affermato che “centinaia di anni di colonialismo hanno limitato i nostri sentimenti e distorto i nostri pensieri. Dobbiamo liberarci anche del più piccolo legame con il colonialismo”.

In questa ottica sono da leggere i tanti richiami anti-coloniali che hanno caratterizzato la cerimonia dello scorso 8 settembre. Come si legge in un articolo della TASS, l’agenzia di stampa russa, “l’8 settembre è stato anche cambiato il nome alla più importante via di New Delhi. Un tempo si chiamava Kingsway, in onore del tragitto percorso da re Giorgio V durante una visita alla sua principale colonia nel 1911″.

“Dopo l’indipendenza, alla via fu dato il nome di Rajpath (da “raj” – potere), ma molti indiani continuarono a interpretare tale nomenclatura come una semplice traduzione del vecchio nome inglese. Per questo motivo, il lungo viale ha ora preso il nome di Katrava-path (“il viale del dovere morale”). perché il vecchio nome continuava ad essere percepito come uno dei tanti simboli del potere coloniale da eliminare”.

Nonostante tutto, però, resta che le élite indiane, molte delle quali hanno studiato nelle scuole britanniche, hanno un legame particolare con l’Occidente e la Gran Bretagna in particolare, e che l’India resta legata al Commonwealth, che fa capo alla Casa reale britannica.

Un legame conservato nel corso del lungo regno di Elisabetta, che ha goduto di una buona reputazione presso la popolazione indiana, come testimoniato dall’affetto che gli è stato tributato nel corso delle sue visite all’ex colonia e  il rammarico causato dalla sua morte, oltre che dai telegrammi di sentito cordoglio inviati per l’occasione dalle autorità di New Delhi.

Peraltro, il politologo indiano Nandan Unnikrishnan ricorda che all’interno dell’élite politica del suo Paese non  ci sono più figure che hanno contribuito  all’indipendenza e commenta: “In passato c’era una coscienza più chiara di quella lotta, mentre adesso non c’è più odio per gli inglesi, né all’interno dell’élite politica né nella società”.

Così, secondo l’esperto, la critica del governo di Modi al passato coloniale è da leggersi in un’ottica di politica interna più che di politica estera: “Questa prospettiva anticoloniale è un attacco all’opposizione, al partito del Congresso Nazionale Indiano e in particolare al gruppo politico rappresentato dalla famiglia Nehru-Gandhi. Il governo vuole dimostrare che i precedenti governanti non erano abbastanza patriottici e che erano marcatamente filo-occidentali, mentre il partito popolare Indiano (il partito di Modi – ndr) rappresenta l’India vera e profonda”.

Il nazionalismo indiano e i futuri rapporti con la Gran Bretagna

Ma è pur vero che il nazionalismo del partito di Modi, come dimostra anche la posizione indipendente di New Delhi rispetto alla crisi ucraina, fonda la sua libertà di manovra geopolitica proprio sul revanscismo anti-coloniale e sulla necessità di un ritorno del gigante asiatico alle sue radici culturali.

Resta da vedere come si modelleranno i rapporti tra India e Gran Bretagna dopo la morte di Elisabetta, che comunque ha rappresentato una figura positiva nell’ambito del delicato legame tra i due Paesi.

Tanti si chiedono se il Commonwealth sopravviverà alla sua morte o se ciò arrecherà una ferita più o meno mortale a questo residuo imperiale (che poi tanto residuo non è, dal momento che la Gran Bretagna ne trae lauti vantaggi).

Tale domanda ha un significato ancora più importante rispetto all’India, sia per l’importanza del gigante asiatico nel ristretto ambito del Commonwealth stesso sia per il suo peso crescente nell’agone globale.

Per puro caso, che però ha un certo valore simbolico, a settembre – a pochi giorni dalla morte della regina – ha fatto il giro del mondo la notizia che l’India ha superato la Gran Bretagna per Pil, affermandosi come quinta potenza economica del pianeta.

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