La sovranità alimentare: ennesimo fallimento della sinistra rosé

La sovranità alimentare: ennesimo fallimento della sinistra rosé

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“Siamo in grado di provvedere al nostro fabbisogno alimentare. Secondo alcune organizzazioni internazionali invece dovremmo vivere per sempre grazie ai loro aiuti alimentari, ma questi aiuti ci bloccano e indeboliscono le nostre volontà, e senza che nemmeno ce ne accorgiamo, piano piano, ci abituiamo così ad essere degli assistiti, dei poveracci. Questa abitudine va messa da parte, dobbiamo darci da fare, dobbiamo produrre, produrre di più, e il perchè mi sembra evidente: chi ti impone gli aiuti ti impone i suoi interessi [..] Dobbiamo far capire a tutti che i mercati africani sono i mercati degli africani. Dobbiamo produrre qui, trasformare le nostre materie prime qui e consumarle qui. Dobbiamo produrre ciò di cui abbiamo bisogno e consumare ciò che produciamo, non solo ciò che importiamo. Io e la mia squadra oggi vestiamo tessuti tutti prodotti da noi, col nostro cotone, dai nostri uomini e donne. Intendiamoci, non miro a presentare sfilate di moda, sto semplicemente dicendo che dobbiamo accettare di vivere all’africana, perchè è il solo modo che abbiamo per vivere liberi e con dignità”. Thomas Sankara.



Quanto sta accadendo da ieri riguardo il tema della sovranità alimentare è la prova maestra di tutta la bestiale, irrimediabile ignoranza che da anni appesta il campo del centro sinistra italiano. Un branco di minus habentes che ha scambiato un pilastro ideologico di tutti i movimenti terzomondisti, ecologisti e di emancipazione dei lavoratori dei sud del mondo per l’ennesimo pericolo fascista. Quindi, visto che la cantonata è davvero gigantesca, famo a capisse.

La prima volta che ho sentito parlare di sovranità alimentare è stato a Genova nel 2001 quando, poco meno che ventenne, incontrai una parola allora considerata fortemente di “sinistra” e il pensiero di una delle sue principali sostenitrici: Vandana Shiva. E per me, nipote di braccianti e coltivatori diretti del meridione, fu amore a prima vista. Al punto da scriverci, qualche anno dopo, addirittura la tesi di laurea in diritto agrario.

Ma cos’è la sovranità alimentare?

Volendo semplificare il concetto è il diritto di ogni popolo della terra ad alimenti e produzioni sane, nate da metodi e filiere sostenibili e legate alla tradizione, nonché il loro diritto a organizzare (e normare giuridicamente) il proprio sistema agricolo e alimentare nel rispetto degli ecosistemi, della cultura agroalimentare autoctona e della sostenibilità. È pertanto un concetto fortemente anti liberista perché al modello fatto di mercati, merci, multinazionali, ogm, sfruttamento del suolo e dei lavoratori ne contrappone un altro rispettoso dell’ambiente, dei cicli stagionali e dei coltivatori. Punta cioè a costruire un modello di produzione di filiera corta, equo, sostenibile e che consenta remunerazioni adeguate per produttori e lavoratori. È praticamente l’esatto contrario di ciò che accade oggi. E “grazie” a cui assistiamo inermi a disboscamenti massicci, sfruttamento intensivo, dissesti idrogeologici, carestie, fame e malattie. Fino ad arrivare ai nostri coltivatori costretti a svendere i loro prodotti di eccellenza - quando non a lasciarli direttamente marcire - perché strozzati dal meccanismo perverso della grande distribuzione.

La sovranità alimentare quindi è un tema ecologico, economico e socialista al tempo stesso. Perché ribaltare lo schema neoliberista delle produzioni votate all’export significa prediligere la domanda e il mercato interno. E quindi, per forza di cose, far crescere i consumi e quindi i salari. Per consentire ai lavoratori di acquistare costosi generi alimentari d’eccellenza (San Daniele, Parmigiano, pomodori Pachino ecc) compensando il mancato guadagno del produttore derivante dalla impossibilità di esportarli e venderli a peso d’oro sul mercato estero. Prodotti che gli italiani non si possono più permettere, dovendo accontentarsi di surrogati di importazione a basso costo e di dubbissima qualità. Gli unici in grado di stare in un mercato a salari bassissimi e domanda interna compromessa senza scatenare rivolte. Significa, per fare un esempio comprensibile, consentire a tutti di fare la spesa da Eataly e non alla Lidl. Almeno in teoria. Significa mettere in discussione il globalismo, il libero mercato e la moneta unica perché senza sovranità monetaria non può esserci sovranità alimentare. Significa, in altre parole, un nuovo e radicale modello di sviluppo.

E il fatto che ne parli la Meloni è solo l’ennesimo colossale fallimento di un movimento “de sinistra” che nella sua parte consapevole è incapace di parlare - e farsi capire - dalle masse. E nella sua parte inconsapevole, semicolta e antifascista di maniera che l’ha scambiata per autarchia.

Sovranità alimentare infatti non significa autosufficienza ma consumo equo e sostenibile e commercio solidale con altri paesi. Coincide con la messa in discussione dei processi di sfruttamento e con la decolonizzazione produttiva concausa, tra le altre cose, anche delle migrazioni di massa. Sovranità alimentare quindi è internazionalismo in purezza. E questo ve lo dovete ficcare bene in testa.

Beninteso, non sto dicendo che il nuovo governo declinerà il tutto nei termini sopra esposti (anche perché la mia opinione su di loro la conoscete già). Anzi.

Molto probabilmente si limiterà a campagne slogan sul Made in Italy e a qualche dazio ai paesi ostili (Cina in primis), perché la destra atlantista non può essere anti liberista giacché la NATO è da sempre il braccio armato del libero mercato. Il cannone che precede il mercante. Ma fare entrare prepotentemente il concetto di sovranità alimentare nel dibattito politico è un fatto storico di importanza capitale. Ci offre un tema di lotta dirompente in un paese che sopravvive solo grazie all’agroalimentare. Il problema è che chi questa opportunità avrebbe dovuto coglierla all’istante, appena sentita la parolina al tiggì, sta ancora una volta dando la caccia al fascismo immaginario. Unica occupazione possibile per dissimulare un abisso di ignoranza profondo come la fosse della marianne. E il proprio essere inconsapevolmente e irrimediabilmente degli stramaledetti liberisti. Tacete per una buona volta, e mettetevi a studiare sul serio. Ne avete seriamente bisogno.

Antonio Di Siena

Antonio Di Siena

Direttore editoriale della LAD edizioni. Avvocato, blogger e autore di "Memorandum. Una moderna tragedia greca" 

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