Le "3 fasi" di Giavazzi per far pagare la crisi solo alle classi subalterne

Le "3 fasi" di Giavazzi per far pagare la crisi solo alle classi subalterne

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Giavazzi ancora lui. Più la borghesia nostrana si arma per far pagare alle classi subalterne l'intero prezzo della crisi pandemica, più si infittiscono gli articoli di questo esponente dell'ala più estrema e reazionaria dell'ideologia neoliberista sulle pagine del Corriere. Il suo fondo di ieri ("la svolta in tre fasi") esordisce tracciando uno scenario di lacrime e sangue per il dopo crisi (s'intende crisi pandemica, perché quella economica dura da decenni e non smetterà quando finirà il contagio): non si recupererà il Pil antecedente alla pandemia prima del 2023; il tasso di disoccupazione salirà al 10/12%; molte piccole imprese che oggi si reggono solo grazie agli aiuti statali (il che per il nostro è anatema, perché fa crescere il deficit pubblico) saranno costrette a gettare la spugna.

Come se ne esce?

Certo non con gli investimenti pubblici...Ormai questo personaggio non ha più alcun pudore: non solo sorvola sul fatto che la crescita della seconda potenza economica mondiale è in larga misura trainata proprio da quelli, ma ha la faccia tosta di scrivere: "non sarà certo qualche ponte in più a far sì che il tasso di crescita fletta". Il cinismo di questo figuro è quasi pari a quello del dirigente confindustriale che pochi giorni fa ha detto fuori dai denti che l'economia val pure un po' di morti in più, non solo perché usa ad esempio il ponte, sputando in faccia alle vittime di Genova, ma anche e soprattutto perché è noto che per mettere mano alle nostre infrastrutture fatiscenti - viarie, ferroviarie, per tacere dell'edilizia scolastica (se agli studenti crollano in testa i soffitti pazienza, a lui interessano solo le ore di lezione - vedi più avanti), della sanità martoriata dalle privatizzazioni di cui è stato da sempre araldo, e delle esigenze di riassetto di un territorio sfasciato dalle speculazioni dei suoi amichetti - comporterebbe investimenti colossali con effetti incalcolabili su indotto e livelli di occupazione.

Per crescere il nostro auspica invece che si aumenti la produttività attraverso i seguenti tre passi:

1) combattere la contrazione della popolazione lavorativa con "politiche immigratorie lungimiranti" (nuove ondate di disperati disposti a lavorare per frazioni del salario della forza lavoro autoctona) e allungamento della vita lavorativa (basta con gli sprechi pensionistici, si sgobbi fino a ottant'anni, poi si può andare a crepare nelle Rsa);

2) si ponga rimedio alla scarsa produttività delle piccole imprese, le quali sottintende il nostro, devono sparire (che sia benedetto il covid che farà una bella selezione...) per lasciare il campo alla concentrazione in grandi imprese ben più produttive (chi fallisce vada a lavorare lì), e alla ancora più scarsa produttività del settore pubblico (le menzogne su questo tema sono ripetute talmente spesso dai servi dei padroni privati che ormai si sono trasformate in verità) ponendo freno alle "pretese" dei dipendenti pubblici (i meno pagati del mondo occidentale!) e incentivando invece i manager di stato (tipo quelli che hanno incamerato miliardi per affossare Alitalia?)

3) infine c'è la scuola: "scuole aperte tutto il giorno e gran parte dei giorni all'anno così che diventino "la casa deli studenti". Chissà perché quest'ultima frase mi fa venire i brividi, forse perché evoca l'immagine delle workhouse ottocentesche che furono il pilastro dell'accumulazione primitiva del capitalismo inglese...

Carlo Formenti

Carlo Formenti

Giornalista, professore e ricercatore in pensione. Autore di "Il socialismo è morto. Viva il socialismo! Dalla disfatta della sinistra al momento populista" (Meltemi, 2019)

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