L'unica enorme discriminazione che viviamo in occidente

L'unica enorme discriminazione che viviamo in occidente

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Di Valerio Savaiano

Sono stato discriminato per anni e come me molti altri ma non abbiamo mai piagnucolato.

Chiunque tra i miei contatti sa che vengo da San Basilio, precisamente dalle case occupate di San Basilio, Via Gigliotti. Facemmo l'occupazione nell'87, io avevo 3 anni, è andata avanti con un certo grado di violenza per 3-4 anni, poi mano mano gli scontri e le manifestazioni sono andate scemando. Ma non è questo il punto.

Ad oggi San Basilio è alla ribalta nazionale: Brumotti è lì a prendere destri in faccia una volta a settimana, c'è stato Cicalone di Scuola di Botte con un servizio sui quartieri criminali (invero molto interessante) che ha avuto una grande eco, la Raggi è in giro per quelle strade più spesso degli spacciatori stessi, c'è stato Calenda, c'è stata la troupe di Agorà, c'è stata Famiglia Cristiana, LA7, due giorni fa I Cugini di Campagna... A oggi le zone d'Italia che vanno più spesso sui media sono San Basilio e i Navigli, questi ultimi ogni volta che finisce un lockdown. E non sono sicuro dove giri più cocaina.

Ecco, in questo periodo è molto di moda quel posto, si inquadrano gli spacciatori, le vedette, ogni tanto qualcuno spara con una scacciacani a favore di camera ma col cazzo che qualcuno s'è chiesto cosa succede tra le persone oltre quella manciata di criminali in strada. Alle "Case" (nomignolo con cui è conosciuta quell'area del quartiere, elisione di "Case Occupate") ci sono circa 1000 famiglie e la maggior parte è gente che lavora o almeno ci prova. Gente che ne fa anche 2 di lavori, quei lavori del cazzo che non vuole fare nessuno, persone che se perdono l'impiego non hanno alcun cuscinetto per andare avanti fino a che non ne trovano un altro. Moltissimi si ritrovano messi alle strette e, anche perché abbandonati dal resto della società e quindi incapaci di vedere oltre quello che hanno intorno, sono praticamente costretti a intraprendere una vita criminale. Gente che non ha alcun istinto criminale, sia chiaro.

Normalmente sono persone che pensano "lo faccio per un po', mi risistemo, qui pagano giorno per giorno" e poi restano incastrati o perché i soldi sono facili o perché finiscono in qualche retata e sono la carne da macello delle organizzazioni che gestiscono tutto.

Discriminazione, dicevo. Ho passato la vita intera a dover dimostrare, fuori da quella specie di isola con vista sul GRA, di non essere un criminale, di non essere un violento, di non essere uno spacciatore. Quando ero piccoletto ero una promessa del calcio regionale, giocavo in squadre di altri quartieri. Io ero "quello di San Basilio". Faceva comodo perché nessuno mi rompeva il cazzo. Il fatto di avere una carnagione da nordafricano, l'orecchino, il doppio taglio ed essere 1,80 a 15 anni facevano il resto, certo. Ma non era raro che i compagni di squadra mi chiedessero se avessi da vendergli erba e fumo. 'tacci mia, potevo farci i soldi e invece 'sta cosa mi ci faceva restare male.

Più avanti iniziai a studiare, ad acculturarmi, provai pure ad andare all'università. I miei erano felicissimi di supportarmi e non mi hanno mai detto che gli pesasse pagare l'iscrizione ma insomma, io lo sapevo bene.

Poi avevo scelto una facoltà con obbligo di frequenza e molta pratica (scienze motorie) il che mi rendeva difficile andare bene agli esami lavorando in un bar notturno (o come autista, come receptionist, come rappresentante di aspirapolveri prima e composizioni floreali dopo...) quindi mollai.

All'università ero l'unico della mia zona. Che io sappia di tutto il quartiere credo nemmeno una manciata di ragazzi è riuscita a finire l'università. Perché? Perché sicuramente l'università pubblica ha quel sistema di scaglioni in base al reddito ma chi è a reddito basso quei 600€ l'anno (se non sbaglio) li deve comunque spendere. Poi ci sono i libri (o le dispense), i pranzi, i trasporti. Il tutto ipotizzando che un ragazzo o una ragazza di 19/20 anni non abbia una vita al di fuori dell'università, una macchina da pagare, un'uscita il sabato, una giornata in piscina o anche una birra per poi appartarsi per scopare. E, cosa più importante, il retaggio famigliare comanda e quando in casa servono soldi e a 14-15 anni non ne porti a casa è difficile che, in una famiglia con istruzione base, qualcuno ti spinga a proseguire gli studi. E di esempi al di fuori della famiglia non ne hai.

Negli anni ho lavorato nell'arte e anche lì chi era di Roma si stupiva quando sapeva dove vivevo. Spesso nei discorsi con gli addetti ai lavori, in salottini borghesi, mi chiedevano di parlargli delle storie di quel quartiere, attratti e eccitati da qualcosa che non avevano mai vissuto dal vivo. E quando andavo in giro coi compari d'arte a fare mostre mi sentivo quasi obbligato a camuffarmi, anche nell'abbigliamento, e avevo trovato la soluzione per non trovarmi in quelle situazioni: quando mi chiedevano "di che zona di Roma sei?" io rispondevo "vicino Montesacro".

Funzionava quasi sempre perché all'epoca (parliamo di una quindicina d'anni fa) era un posto dimenticato da Dio e quindi si accontentavano di immaginare il quadrante. Capitava però che qualcuno mi rispondesse "ma dai, mia zia è di Montesacro! Dove, di preciso?" "Dopo Talenti" "Davvero? Ci ho vissuto un anno a Talenti!" "Diciamo Casal Boccone" "Incredibile! Ho un amic..." "Vabbè, so' de San Basilio, tagliamo qui sennò bisogna passare per Podere Rosa e San Cleto e ci avrai qualche cazzo di cugino pure lì".

Con le ragazze, poi, non ne parliamo. Le volte in cui ragazze interessate sono sparite quando hanno saputo da dove venivo non si contano. E poi avevo questo strano ascendente sulle ragazze ricche. Ho avuto sempre ragazze ricche, di buona famiglia, di estrazione sociale davvero alta. Una parte di queste era completamente rapita dall'idea di poter girare per San Basilio con un autoctono che le proteggesse. Moltissime mi chiedevano se potessi portarle a fare un giro a San Basilio e io le accontentavo, salutavo amici d'infanzia che stavano lì a fare le vedette e loro erano eccitatissime da questa storia che avrebbero potuto raccontare, da questa situazione che le metteva nei guai con i genitori, ribelli da due soldi. Era, col tempo l'ho capito, un safari. In giro tra le bestie feroci al sicuro, ben protette da una guida esperta e dalle grate del furgoncino. Non mi pagavano ma poi comunque una cosetta scappava fuori quindi quantomeno ci sono andato a pari.

Recentemente, un paio d'anni fa, stavo parlando con un cliente. Non vesto più come un dandy per non farmi riconoscere ma comunque non sono pieno di tatuaggi, indosso camicie, ho tagli di capelli non identificativi, parlo un italiano corretto, ho una discreta dizione, insomma, sono una persona normale. Parlavo con questo tizio, dicevo, nella zona di Corso Trieste (le porte dei Parioli). Dopo qualche minuto mi chiede "ma tu di che zona sei di Roma?" Io ormai ho superato gran parte delle manie di persecuzione quindi ad oggi vado quasi fiero di dire da dove vengo e così glielo dico. Mi guarda allibito e mi risponde: "Ma sai che non ti facevo di San Basilio? Non sembri proprio uno di lì". Non c'era alcun tipo di offesa in quell'espressione e in quelle parole, era sinceramente stupito. Non so, magari si aspettava che uno di San Basilio avesse una spilletta come i Testimoni di Geova, un tesserino di riconoscimento.

Gli stereotipi, le discriminazioni, gli sguardi della gente, l'inaccessibilità a determinati posti o istituzioni, l'essere trattati come specie in via d'estinzione per tornaconto d'immagine, l'ostilità, tutta roba che è stata ed è tuttora pane quotidiano per me e per tutti gli amici con cui sono cresciuto. Il tutto, però, condito da una grande verità: non posso biasimare chi ha dei pregiudizi iniziali. Perché quel posto è davvero difficile, i pregiudizi hanno un fondamento. Perché per la maggior parte del tempo è un posto abbastanza tranquillo, non certo un giardino felice e il degrado si fa sentire ma non è che ti accoltellano se cammini per strada. Però la tensione è alta e un giorno come un altro succede che un ragazzino a ròta di cocaina aggredisce tuo padre, tu scendi per difenderlo e qualcuno ti spara alla nuca a bruciapelo. Gli elicotteri delle retate una volta ogni 3 mesi che volano all'altezza delle finestre non sono una roba piacevole, non ti abitui al fatto che sia normale come non ti abitui nemmeno al venire a sapere che qualche amico con cui sei cresciuto e che ricordavi sveglio, curioso, intelligente e pulito nonostante, magari, una famiglia disastrosa oggi è ai domiciliari perché, dopo anni senza lavoro, qualcuno l'ha coinvolto in qualche lavoretto.

Questo non è uno sfogo, tra chi mi conosce non è un segreto il fatto che spesso mi piaccia raccontare di quanta gente straordinaria c'è lì ma anche delle disgrazie, divulgare la realtà difficile da accettare che ci sia gente costretta a vivere in quelle condizioni anche se non arriva su un barcone e non ha un'aspetto esotico. Nel percorso di terapia che ho intrapreso da anni è stata una delle prime soluzioni, il parlarne, il non nascondermi. Il pregiudizio c'è ancora, soprattutto a livello lavorativo. Quando la polizia mi ferma e legge Via Gigliotti sulla patente (si, devo farmi mandare quella nuova da tipo 5 anni) la prima domanda che fa è "Fai un lavoro onesto? Perché sei qui? Puoi aprire la borsa del calcio? Puoi aprire il cassettino del cruscotto?". Una guardia una volta me lo disse in un'altra regione, non ricordo se in Abruzzo o in Romagna. "Uh, Via Gigliotti? Ma sai che quando ho fatto servizio a Roma..." e bla bla. Due carabinieri che facevano posto di blocco sotto casa di mio padre mi hanno tenuto 40 minuti a chiedermi come era essere cresciuto lì, come avessi fatto ad uscirne, perché ero ancora lì (dopo avermi chiesto tipo 10 volte in tutti i modi cosa facessi per campare).

Non è uno sfogo, dicevo. È un modo per contestualizzare il mio grandissimo disinteresse verso le tematiche sulle discriminazioni che sono molto di moda. Genere, orientamento sessuale, provenienza. So cosa significa la discriminazione perché la vivo da sempre e come me tantissimi altri non solo da San Basilio, non solo dalle borgate di Roma ma da tutti i quartieri periferici "brutti" d'Italia. Io ho imparato a scremare: è grave quando non sei ben visto per un lavoro, quando una ragazza che ti piace (e a cui tu piaci) non vuole più avere a che fare con te perché ha paura o perché i genitori non vogliono, stessa cosa per gli amici non avuti. Ma quando mi dicono "non ti facevo di San Basilio", quando mi chiedono se gli rimedio il fumo, quando mi guardano di traverso, quando ogni battuta è sul fatto che io possa essere uno spacciatore o uno che ruba macchine, ecco, non me ne frega un cazzo, spesso rido in modo sincero e a volte mi fa anche piacere perché vengo trattato con un occhio di riguardo.

Sulle cose serie sono sempre stato con chiunque viva una situazione veramente "scomoda". Ma se la vostra situazione scomoda è solo un trucchetto per piagnucolare ed elemosinare visibilità, lavoro e attenzioni non solo non sono con voi ma vi odio. E vi odio il doppio se a tutto questo aggiungete l'estrazione sociale alta, il culo parato, le proprietà di famiglia. Perché quello che fate lo fate per hobby, per far parte di un gruppo, per fare festa, per non rischiare di non essere invitati ai brunch o alle serate trap. Spesso, spessissimo per fare lobbying. Tanto il problema del lavoro per voi è più emotivo che pratico. E vi sento lamentarvi e dire "sono povero/a, non ho una lira, non so come fare" dalla vostra casa di proprietà, con un patrimonio di famiglia composto da qualche palazzina qua e la, le case al mare (a Capalbio e Montalto di Castro, non a Ardea...), i "beni di famiglia", i mobili del '700. Nessuno di voi sarà costretto a scendere sotto al portone e chiedere a uno dei "pali" se puoi lavorare con loro.

Non empatizzo perché siete nemici. Non per l'orientamento sessuale, non per la provenienza, non per il genere. Siete nemici di classe e quella è l'unica cosa importante per me, l'unica vera, grande, enorme discriminazione che viviamo in occidente.

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