“L'Urlo" a Istanbul. Non ci sono ONG buone: la propaganda di guerra l’hanno cominciata loro

“L'Urlo" a Istanbul. Non ci sono ONG buone: la propaganda di guerra l’hanno cominciata loro

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Quando in questi giorni a Istanbul mi è capitato di parlare de “L’Urlo”, il film sulla Libia che sono venuto a presentare e la cui proiezione sarà questo venerdì, agli amici e ai giornalisti turchi che mi chiedevano sul tema ho dovuto spiegarla in questo modo: la storia ufficiale racconta che i migranti scappano dalla Libia e i bravi europei vanno in mare a salvarli. 

Inoltre la narrazione vorrebbe che governi da un lato (specie se di destra) e ONG dall’altro siano in conflitto: i primi a chiudere i porti e le porte e le seconde che aprono tutto quello che si può aprire. I loro attivisti sono salvatori di vite umane, eroi messianici della redenzione occidentale, che venendo meno alle proprie leggi proteggono i valori della nostra civiltà, quali l’accoglienza, la libertà di movimento, il soccorso ai deboli e alle vittime.

Bene, aggiungo poi. Questo è solo teatro. Anzi, meglio: è propaganda di guerra.

A questo punto mi guardano un po’ strano. Ma poi neanche tanto. La Turchia non è l’Europa. Il fenomeno delle ONG qui ha avuto alterne fortune. La dottrina Erdogan l’ha immediatamente battezzato come un potenziale fattore di stabilizzazione. Ne sanno qualcosa quelli del movimento LGBT. Ne sanno qualcosa le migliaia di attivisti legati a organizzazioni europee che all’indomani della protesta di Gezi del 2013 e soprattutto dal tentato golpe del 2016 in poi si sono visti restringere gli spazi di manovra. Molti se ne sono andati, in Europa ovviamente, a riscuotere il credito maturato sul campo. 

Ma anche la sinistra turca, altro sottobosco ricco di sigle che si moltiplicano per partenogenesi, non sempre ha ceduto il proprio linguaggio e le proprie abitudini a questa ventata globalista. Al contrario più prudentemente è rimasta fedele alla propria tradizione, conservando nella forma partito e nella forma sindacato l’epicentro dell’agire politico.

Di fronte ad un’analisi del genere pertanto, in fondo penso capiscano quel che voglio dire. Tutt’al più mi hanno chiesto: “Ma sono tutte da buttare?”. E io gli rispondo: “Non è una questione di buone intenzioni dei singoli. E’ una questione di struttura, è una questione di agire all’interno di una spazio privato anziché pubblico. E poi diciamocelo: ormai di non-governativo non hanno niente. Che lo sappiano o che non se ne rendano conto, implementano le politiche dei propri governi”. Su questo non ci piove, riflessione legittima, mi rispondono. “No - dico io -, in Europa questo ragionamento ad alta voce non si può fare e se lo metti in un film, quel film non te lo passa nessuno, né le televisioni, né i festival”. A questo punto lo sconcerto nei loro occhi.

 

L’ISCI FILM FESTIVAL DI ISTANBUL: IL FESTIVAL INTERNAZIONALE DEI LAVORATORI

 

Parlavo di questi temi tra gli altri con Önder Özdemir, uno dei fondatori dell’ISCI Film Festival al quale sto partecipando. Il Festival è stato fondato nel 2006 e da allora rappresenta una realtà di rottura nel panorama politico e culturale della Turchia. Finanziato con il contributo di sindacati e di attivisti, ma soprattutto possibile grazie al lavoro volontario di centinaia di persone, ha mantenuto un profilo rivoluzionario internazionale, sfidando spesso le direttive del governo (nessuno dei film e documentari in programma è mai passato sotto la censura di Stato, altrimenti richiesta in tutti gli altri festival della Turchia).

Alle mie parole mi risponde: “Abbiamo avuto un problema simile qualche hanno fa. Abbiamo ricevuto pressioni dal movimento LGBT per orientare la nostra programmazione. Alla fine abbiamo preso questa decisione: ogni anno un film del festival è dedicato alla questione. Uno solo. Non di più”. Quest’anno, su 69 film selezionati, uno solo sarà dedicato al tema. Beh, un festival che ha resistito alle pressioni di Erdogan, poteva farsi mettere sotto dalle ONG? 

A lui chiedo: qual è il segreto per aver resistito così a lungo contro la censura. Mi risponde laconico: “L’indipendenza. Andiamo avanti da soli, con il sostegno della gente. Non ci sono premi in questo festival. Ognuno mette qualcosa. Le municipalità i cinema di quartiere. I volontari selezionano i film. Quest’anno abbiamo ottenuto anche pubblicità gratuita sui trasporti pubblici  di Istanbul grazie a un sindacato. Non girano soldi. E’ quasi tutto volontario. Chi si vuole vedere film che non si possono vedere altrimenti, viene qui e si dà da fare. Ormai siamo diventati una piccola realtà necessaria delle Turchia. Un angolo di libertà”.

 

APPELLO ALLE ONG? TEMPO PERSO

 

Ho letto in questi giorni alcuni interventi in Italia riflettere sulla politica del doppio standard adottata dalle ONG, quelle che denunciano ogni passo dell’invasore Putin in Ucraina e chiudono un occhio e mezzo di fronte ai nazisti ucraini e alla contiguità creatasi tra questi due mondi proprio lì in Ucraina.

Niente di nuovo tranquilli. La contiguità tra al-Nusra e Caschi Bianchi in Siria era ancora più spettacolare. Un balletto che a intensità variabile si è riproposto in diversi angoli di Medio Oriente e Nord Africa negli ultimi 10 anni, per esempio tra la Fratellanza Musulmana e le ONG in Tunisia e Libia.

Ad ogni modo, la voglio fare breve. Le ONG hanno fatto propaganda di guerra. Le ONG hanno preparato il terreno alla guerra. Non solo a questa o quella guerra, ma alla guerra come dimensione totalizzante della vita, che pertanto giustifica persino le nostre azioni fino al punto da rendere accettabile un conflitto mondiale. Hanno costruito una verità talmente giusta, che la reazione a Putin con ogni mezzo è oggi solo un “malicidio”, un annientamento del male, pertanto sempre giustificato.

Si possono cambiare le parole, ma è una storia che ci porta alla guerra. Questa è di fatto e in tutto e per tutto propaganda di guerra: una comunicazione fabbricata al fine di incitare la gente ad accettare la guerra e a desiderare la guerra (specie quando a scapito di altri).

Un giorno, quando saremo fuori da questa stagione storica, ci volteremo indietro e capiremo che questo mostro dalla lingua biforcuta ci sta ipnotizzando da circa 30 anni, dalla fine dell'Unione Sovietica, dalla fine del mondo multipolare.

La guerra non è cominciata il 24 febbraio 2022. E’ cominciata prima. E, quanto alla Libia, quanto ai migranti da salvare in mare, la teoria dei “porti aperti” è a sua volta propaganda di guerra.

Perché riesce a rimuovere dal cervello il fatto che i soldi e le armi che abbiamo mandato per anni ai governi illegittimi di Tripoli non avevano nulla a che fare con la migrazione, ma servivano ad armare le milizie che proteggevano il sistema di saccheggio del petrolio libico.

Di conseguenza, la quasi totalità dei migranti-schiavi arrivata in Libia non è scappata dal proprio Paese, è stata attratta in Libia con l’inganno perché alle milizie servivano schiavi, forza lavoro gratuita, da costringere a faticare fino allo sfinimento sotto la minaccia delle armi. All’occorrenza questa manovalanza è servita anche come carne da macello, quando le milizie nascondevano le armi nei centri di detenzione per evitare che Haftar le potesse distruggere. O addirittura mandando al fronte i migranti stessi a combattere contro l’Esercito Nazionale Libico.

 

GLI EUROPEI SALVATORI, PRIMA DEI MIGRANTI, OGGI DEGLI UCRAINI

 

La storia di “salvare i migranti in mare”, nello schema, è la stessa del “salvare gli Ucraini da Putin”. Chi ha spinto i migranti in mare? Chi ha spinto gli Ucraini fino a questo punto di provocazione militare? Milizie jihadiste in Libia. Battaglioni nazisti in Ucraina. Dietro di loro, governi illegittimi a Tripoli e governi illegittimi a Kiev, colpi di Stato da una parte e dall’altra.

No, non ci sono ONG buone, fatta salva la buona fede dei fessi. Ma la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni.

L’unico modo per essere sicuri al 100% che un migrante non anneghi in mare è evitare di farlo imbarcare. Questo è salvare. Il resto è teatro.

Chi ha diritto, venga evacuato via aereo da Tripoli verso le capitali europee. Sono circa 40.000 i rifugiati censiti dall’UNHCR sul territorio libico. In questi ultimi mesi di guerra, oltre 90.000 profughi ucraini sono arrivati soltanto in Italia. Negli ultimi anni, in volo dalla Libia, solo poche migliaia. I 40.000 rifugiati tuttora presenti, sono bloccati in Libia da anni.

E allora ditelo, che governi e ONG hanno creato il teatrino delle traversate in mare, così da alzare fumo da gettare negli occhi per non vedere il saccheggio del petrolio libico.

E gli altri migranti? Gli altri 660.000 migranti presenti in Libia che non hanno diritto alla protezione internazionale, cosa facciamo, li lasciamo lì?

Chiedetelo a loro cosa vogliono fare. Io l’ho fatto. Le loro risposte stanno nel film “L’Urlo”. Portati in Libia con l’inganno e lì ridotti in schiavitù, ora vogliono tornare a casa.

E comunque, se a Tripoli non ci fossero le milizie, ma ci fosse uno Stato pacificato e unito, ci sarebbe lavoro per loro, non schiavitù. E magari potrebbero rimanere a fare soldi e poi tornare al proprio Paese, come succedeva ai tempi di Gheddafi.

 

CENSURA E PROPAGANDA

 

E allora, lo vogliamo vedere o no, che la politica dei “porti aperti” è stata nient’altro che propaganda di guerra? E ancora continua.

Queste cose le ho già espresse durante la cerimonia di apertura del Festival, lo scorso 2 maggio e ripetute in alcune interviste che ho rilasciato qui a Istanbul in questi giorni.

Certo è strano presentare per la prima volta in un festival “L’Urlo” qui in Turchia, un Paese dove la censura, quella vera, si è abbattuta su schiere di giornalisti negli ultimi 10 anni.

Eppure è così. Le ONG ci hanno tolto persino la parola, persino la libertà di pensiero ormai.

Le ONG in Europa hanno svolto questo ruolo storico: privatizzare lo spazio e il dibattito politico. La qual cosa in occidente significa mettersi a disposizione del capitale e quindi della guerra.

 

IL TESTO DELL’INTERVENTO ALL’INAUGURAZIONE DELL’ISCI FILM FESTIVAL

 

<<Buona sera a tutti.

Dato che ho vissuto a Istanbul per alcuni anni, parlo un po' di turco.

Quindi  mi sono preparato un discorso.

Spero che possiate capire.

Sono particolarmente felice di essere qui stasera.

Questa è la mia terza partecipazione all'ISCI Film Festival.

L'ultima volta è stato quattro anni fa.

In quell’occasione presentai un documentario intitolato “Schiavi di riserva”.

Gli schiavi erano i cosiddetti immigrati africani in Libia.

Negli ultimi anni mi sono dedicato ancora di più a questo argomento.

Ora sono in contatto con centinaia di migranti e libici in Libia.

Dal terreno mi hanno raccontato della Libia, metro dopo metro.

La verità che raccontano non si può dire in Europa.

Quest'anno presento il film “L'Urlo".

Questo documentario è composto dai video girati in Libia.

Il documentario è stato rifiutato da tutti i festival e dai canali televisivi in Europa.

Sono stato censurato non solo dai governi, ma anche dalle ONG e dai cosiddetti volontari.

Perché questa ricerca mi ha rivelato una scomoda verità.

La storia ufficiale è questa: i bravi europei salvano i migranti in mare.

Ma la vera storia è un'altra: l'Unione Europea, insieme alla Turchia, sostiene i governi illegali di Tripoli che sono protetti da gruppi armati.

L'obiettivo non è fermare i migranti.

L'obiettivo è saccheggiare il 40 per cento del petrolio libico ogni anno.

Allo stesso tempo, le milizie riducono in schiavitù 700.000 lavoratori africani.

E non permettono a questi schiavi né di andare in Europa né di tornare a casa loro.

Infatti, solo poche migliaia di loro raggiungono l'Europa ogni anno.

Per quasi tutti, quindi, l'Europa non è più una meta ma un'esca.

In questa situazione, i governi da un lato e le ONG dall'altro sono i due attori della stessa commedia.

Questo non si può dire in Europa perché c'è una falsa narrazione secondo cui governi e attivisti stiano dalla parte opposta.

Ma questa è solo propaganda di guerra.

È sempre la stessa storia: fare la guerra per il gas o il petrolio e dire che salveremo qualcuno.

Esattamente come stiamo facendo in Ucraina in questo momento.

Ora presentare questo film in Turchia, un paese che ha tanto sofferto la censura, può sembrare strano.

Ma questo è.. Negli ultimi anni, la censura è stata di fatto operativa nell'Unione Europea.

Quindi, “L’Urlo” è questo.

È la reazione a questo lento scivolamento verso la guerra.

Siete tutti invitati alla proiezione che si terrà al Centro Culturale Francese a Taksim venerdì 6 maggio alle 19.00.

Grazie a tutti>>

 
 
 

Michelangelo Severgnini

Michelangelo Severgnini

Regista indipendente, esperto di Medioriente e Nord Africa, musicista. Ha vissuto per un decennio a Istanbul. Ora dalle sponde siciliane anima il progetto "Exodus" in contatto con centinaia di persone in Libia. Di prossima uscita il film "L'Urlo"

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