PCC: avanguardia della Rivoluzione

PCC: avanguardia della Rivoluzione

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Il discorso di Xi Jinping al 100esimo del PCC del 1° luglio e le note del direttore di “Cumpanis” per le riviste cinesi “Marxism & Reality” e “World Socialism Studies”, della “Chinese Academy of Social Sciences” (CASS)

 

di Fosco Giannini

 

Cumpanis”, il giornale comunista italiano on-line di cui sono il direttore, ha tradotto dall'inglese e pubblicato integralmente il discorso svolto dal Presidente Xi Jinping lo scorso 1° luglio per il 100esimo anniversario della nascita del PCC e trasmesso su di un maxischermo in Piazza Tienanmen.

 

Ringraziando l'Accademia delle Scienze Sociali del Comitato Centrale del PCC, per aver inviato a “Cumpanis” il discorso del Presidente e per avermi chiesto, sullo stesso discorso, una valutazione di carattere generale per le prestigiose riviste “Marxism & Reality” e “World Socialism Studies”, della “Chinese Academy of Social Sciences” (CASS), affermo subito che “Cumpanis” ha giudicato, sia sul piano politico che teorico, di grandissimo valore l'intervento del Presidente della Repubblica Popolare Cinese, un intervento di valore non solo per la Cina e il suo popolo, ma per tutti quegli Stati e quei popoli del mondo che vogliono intraprendere una via autonoma, libera dal dominio imperialista, per il proprio sviluppo. Un discorso, quello del compagno Xi Jinping, che potrà rivelarsi di grande aiuto per l'intero movimento operaio internazionale, per l'intero fronte antimperialista e comunista mondiale. Per l'intero fronte progressista e pacifista del mondo.

 

Il livello e la densità culturale, ideologica e filosofica del discorso del Presidente a Piazza Tienanmen del 1° luglio meriterebbe una lunga e profonda analisi politica e ideologica. Ma in questo spazio mi limiterò a mettere a fuoco le questioni a mio avviso più importanti di questo intervento, per molti versi storico.

 

1) Ciò che innanzitutto colpisce chi, come me, vive dentro la cultura e l'ideologia nichilista, decadente e anti dialettica occidentale, è il modo con il quale Xi Jinping unisce l'intera storia del PCC, l'intera storia della Rivoluzione, in un'unica storia, senza rimozioni, senza rotture, senza demonizzazioni di parti della Rivoluzione Cinese. Senza condannare Mao Zedong e la Rivoluzione Culturale, da cui la Repubblica Popolare Cinese decise tuttavia di uscire, con Deng Xiaoping e la Politica delle 4 modernizzazioni, per rilanciare il socialismo cinese.

 

Senza quei drammatici colpi che Nikita Krusciov, dopo la morte di Iosif Stalin, inferse contro la stessa figura di Stalin, contro il PCUS, contro l'Unione Sovietica e dunque contro l'intero movimento comunista mondiale.

 

Nell'ottica dialettica del Presidente Xi, la storia del PCC e della Rivoluzione è una sola storia, che va da Mao Zedong sino alla fase attuale del “socialismo dai caratteri cinesi”.

 

Ogni passaggio storico della Repubblica Popolare Cinese è una pietra per l'edificio finale del socialismo. Un lungo percorso storico vincente che non poteva essere tale senza ognuna delle sue tappe storiche, tutte legate tra loro dal filo della dialettica materialista. Dice, infatti, il Presidente: “I comunisti cinesi, con i compagni Mao Zedong, Deng Xiaoping, Jiang Zemin e Hu Jintao come loro principali rappresentanti, hanno dato un contributo enorme e storico al rinnovamento della nazione cinese”.

 

In questa affermazione di Xi Jinping noi vediamo non soltanto l'attenzione politica a non attuare pericolose rotture all'interno della storia della Repubblica Popolare, e dunque nella cultura e nello stato d'animo popolare, ma vediamo soprattutto la piena assunzione, da parte del Presidente, e dunque del PCC, di una delle categorie centrali del pensiero marxista, la categoria dello sviluppo dialettico della storia.

 

Come sappiamo, infatti, nella dialettica marxista le diverse fasi storiche sono tra esse fortemente interconnesse, l'una determina l'altra e tutte le fasi nel loro insieme producono un processo di autotrasformazione sociale. E ciò accade, dal punto di vista della filosofia dialettica marxista, perché le forze sociali che determinano lo sviluppo storico sono tra esse in opposizione o – per usare la categoria hegeliana che il marxismo riassume per il proprio sistema di pensiero rimettendola in piedi, poiché “in Hegel la dialettica cammina sulla testa” – queste forze sono tra loro in contraddizione. E questa contraddizione muove il flusso storico, rendendolo conseguente.

 

Ed è a partire da questa concezione marxista che si può cogliere meglio il senso filosofico profondo della posizione di Xi Jinping e del PCC in relazione alla stessa storia della Repubblica Popolare Cinese e la storia del socialismo cinese, vista come una storia unitaria le cui tappe, tutte le tappe, hanno determinato il presente e che dunque non vanno rinnegate, e non si rinnegano poiché ognuna di queste tappe ha aperto la strada verso il “socialismo dai caratteri cinesi”.

 

Al fine di non ripetere la linea nefasta e di rottura che Krusciov applicò contro Stalin e la stessa storia dell'Unione Sovietica, Xi Jinping interpreta la fase maoista e la Rivoluzione Culturale, non come fasi contrarie al socialismo, come fasi da condannare, ma (applicando la teoria hegeliana dell'autotrasformazione sociale “rimessa con i piedi per terra” dal marxismo e dunque condizionata dall'intervento soggettivo dell'uomo) come fasi della contraddizione dialettica, di quella contraddizione che nel suo sviluppo ha poi determinato la nuova fase delle 4 Modernizzazioni.

 

E ciò è accaduto, dal punto di vista marxista, perché la Rivoluzione Culturale non rinnegava il socialismo, ma ne rappresentava una tappa contraddittoria, una tappa che si è potuta superare dialetticamente attraverso l'equazione filosofica “dal socialismo al socialismo”.

 

Se riusciamo a cogliere la base filosofica marxista che sorregge la posizione espressa da Xi Jinping in relazione alla visione unitaria della storia del socialismo cinese, possiamo anche capire come, oggi, il sistema di pensiero marxista non solo stia alla base della via cinese al socialismo, ma anche come lo stesso pensiero marxista, all'interno del processo di costruzione del socialismo dai caratteri cinesi, si stia a sua volta sviluppando.

 

2) L'altra grande questione che dà coraggio a chi, come me, fa parte di un movimento comunista in difficoltà come quello italiano, e che può dare coraggio ai comunisti che operano e lottano in Paesi in cui la cultura capitalista è egemone e dominante e tenta di cancellare il senso politico e teorico del partito comunista, è proprio quella rilanciata da Xi Jinping dell'esigenza storica del partito comunista, in Cina, come nell'Occidente capitalista, quale avanguardia della rivoluzione e della trasformazione politica e sociale.

 

In una totale volontà di rilancio del partito comunista come primo agente storico della trasformazione e del processo rivoluzionario, il Presidente ha riassunto innanzitutto la grande storia del PCC, e ha affermato: “Dopo la guerra dell'oppio del 1840, la Cina fu gradualmente ridotta a una società semicoloniale e semifeudale... Il paese subì un'intensa umiliazione... Da quel momento, il rinnovamento nazionale è stato il sogno più grande del popolo cinese e del Paese. Un sogno realizzatosi attraverso le lotte titaniche del PCC”.

 

Rievocando il 19° Congresso del PCC dell'ottobre 2017, il Presidente ha riaffermato il 1° luglio anche il ruolo, leninista, del PCC in difesa del socialismo cinese, anche di fronte a nuove e possibili contraddizioni che potrebbero nascere dallo stesso, attuale, sviluppo cinese. Assieme alla stessa concezione leninista della NEP di Lenin (che lo stesso leader dell'Ottobre concepiva come una lotta socialista volta alla “costituzione” e alla conquista dell'accumulazione capitalistica originaria mancante), Xi Jinping assume anche la categoria leninista delle “alture strategiche” da cui controllare il neo capitalismo evocato dallo stesso potere socialista al fine di dare sviluppo alle forze produttive arretrate e deboli.

 

E quest' '“altura strategica” leninista è rappresentata, per Xi Jinping, come già per Lenin, dallo stesso Partito Comunista, dal PCC. Ha infatti affermato Xi Jinping: “Dobbiamo sostenere la ferma direzione del Partito... Gli oltre 180 anni di storia moderna della nazione cinese, i 100 anni di storia del Partito e gli oltre 70 anni di storia della Repubblica Popolare Cinese forniscono tutti ampie prove che senza il Partito Comunista Cinese, non ci sarebbe stata una nuova Cina e neppure alcun rinnovamento nazionale”.

 

Il rilancio del ruolo del PCC come partito d'avanguardia e di lotta è molto importante per il movimento operaio complessivo cinese e per la difesa della Rivoluzione Cinese. Ma è anche molto importante per l'intero movimento comunista, antimperialista e rivoluzionario mondiale, che deve interpretare il partito comunista come lo strumento prioritario per la trasformazione sociale e per i processi rivoluzionari.

 

Dalle parole pronunciate da Xi Jinping il 1° luglio si capisce bene che il PCC ha la totale consapevolezza della fase storica cinese. Che è la seguente: la Repubblica Popolare Cinese, dopo le battute d'arresto del Grande Balzo in avanti e della Rivoluzione Culturale, dopo la caduta dell'URSS e la sparizione del Comecon (il mercato dei Paesi del socialismo realizzato) aveva una sola possibilità di evitare la stessa crisi di sottoproduzione e di stagnazione economica che avevano provocato la crisi sovietica. E la sola possibilità che aveva la Cina era quella del pieno sviluppo delle forze produttive.

 

Anche in questo caso seguendo la linea politica e teorica marxista che afferma in modo chiaro, già ne Il Manifesto del 1848, che il socialismo è lo sviluppo delle forze produttive, e se così non fosse esso sarebbe spazzato via dal capitalismo.

 

È a partire da questa consapevolezza che la politica di Deng ha iniziato ad aprire le zone speciali neo capitaliste, con l'obiettivo di conquistare per la Cina e per il socialismo cinese quella che Marx chiamava “l'accumulazione capitalistica originaria”, che in Cina ancora mancava.

 

Tuttavia, lo stesso sviluppo delle aree speciali e il pericolo della costituzione di una nuova borghesia cinese ha spinto il PCC a riappropriarsi del proprio ruolo d'avanguardia e di guida della lotta di classe, in difesa del socialismo.

 

Anche questa è un grande differenza rispetto alla politica di Krusciov, che annunciando l'avvento finale del comunismo sovietico aveva abbandonato quella pratica della lotta di classe necessaria all'interno della transizione al socialismo, “disarmando” il PCUS e “fossilizzandolo” in un ruolo passivo.

 

Sono a nostro avviso questi i motivi per cui Xi Jinping ha rilanciato con molta forza, nel suo discorso del 1° luglio, il ruolo del PCC.

 

3) Terza questione messa a fuoco dal discorso di Tienanmen: la centralità e la totale attualità storica del sistema di pensiero marxista e leninista. La sua centralità per tutto il progetto rivoluzionario cinese e per lo stesso progetto del “socialismo dai caratteri cinesi”. Assieme all'esigenza di una continua rivitalizzazione antidogmatica del pensiero rivoluzionario che, per non precipitare nell'idealismo filosofico e politico, deve continuamente e profondamente relazionarsi con “lo stato presente delle cose”. Un atteggiamento ideologico, questo esposto da Xi Jinping, che sta alla base della scelta del “socialismo dai caratteri cinesi” e delle sue storiche vittorie. Un atteggiamento ideologico anti idealista e tutto materialista che conferma la positiva diversità del marxismo asiatico scientifico da tutta quella parte del marxismo idealistico ed esistenzialista occidentale.

 

Come affermava il grande filosofo marxista, purtroppo scomparso, Domenico Losurdo, grande estimatore del “socialismo dai caratteri cinesi”, l'incontro tra l'umanesimo idealista occidentale e il marxismo occidentale ha spesso prodotto un marxismo occidentale dai caratteri fortemente idealistici, che ha finito per abbandonare il materialismo scientifico e storico giungendo ad elaborare un pensiero e, soprattutto una prassi, in cui le questioni primarie dello scontro capitale e lavoro e dello sviluppo delle forze produttive perdono la propria centralità, mentre fondamentali diventano questioni più legate alla libertà dell'individuo, una libertà individuale assoluta e in contraddizione con l'approccio sociale del socialismo e con la visione della “totalità” del marxismo.

 

Nel discorso di Xi Jinping del 1° luglio, invece, le questioni centrali del sistema di pensiero marxista (il rapporto del marxismo con la realtà concreta e in divenire; la centralità dello sviluppo delle forze produttive e dello scontro capitale-lavoro nella Cina che, aprendosi alle esperienze delle Zone Speciali, richiama il PCC alla lotta di classe) vengono integralmente recuperate e rilanciate.

 

4) Quarta questione: il legame forte che il Presidente stabilisce tra il sistema di pensiero marxista e leninista e la cultura profonda di ogni Paese in cui i comunisti, i rivoluzionari operano; il legame inscindibile, dunque, del Partito Comunista Cinese con la cultura millenaria della Cina e del suo popolo.

 

Una scelta ideologica, questa espressa nel discorso di Xi Jinping, che mette a valore l'unità filosofica del confucianesimo (quel “ruismo” di cui oggi discutono molto anche gli intellettuali comunisti cinesi, da interpretare come ricerca della rettitudine sociale e politica, della collocazione nel presente del benessere spirituale e materiale del popolo e della lotta contro la soteriologia, che sposta la felicità umana in un futuro trascendente) con il marxismo rivoluzionario cinese.

 

Ha affermato Xi: “Dobbiamo continuare ad adattare il pensiero del marxismo alle realtà specifiche della Cina e alla sua raffinata cultura tradizionale”.

Quest' affermazione è tutta dentro il sistema di pensiero marxista, che, materialisticamente, è ben lontano dal teorizzare una rottura completa, idealistica, tra socialismo e storia nazionale di un Paese, ma ribadisce invece l'esigenza delle vie nazionali al socialismo, delle vie rivoluzionarie che tengano conto della storia di un Paese e di un popolo e del rapporto tra il marxismo, la storia e “l'anima” di un popolo.

 

5) Quinta questione: il legame profondo del Partito Comunista con il popolo cinese, che fa dire al Presidente: “Il PCC è il popolo cinese”. Un orientamento politico e ideologico che si presenta come prima base materiale del progetto di Xi Jinping di estendere ovunque e in profondità il sistema di democrazia socialista cinese. In un passaggio chiave il Presidente ha affermato: “Dobbiamo garantire che sia il nostro popolo a guidare il paese, a continuare a governare in base allo stato di diritto e a sostenere i valori fondamentali del socialismo”.

La riflessione profonda che Xi Jinping ha dedicato al rapporto tra partito e popolo, tra potere e masse, nell'intenzione di allargare il più possibile lo stato di diritto, rimanda in verità sia alla concezione leninista del potere socialista organizzato nei Soviet che alle idee di democrazia socialista rilanciate, nella breve fase che ha vissuto da Segretario Generale del PCUS, Yuri Andropov, eletto Segretario nel novembre del 1982 e purtroppo deceduto nel febbraio 1984.

 

6) Sesta questione: molto importante è stata la forte affermazione del Presidente relativa al fatto che, di fronte alle provocazioni dell'Occidente imperialista, di fronte ai tentativi imperialisti di lanciare e sorreggere “rivoluzioni arancioni” nel Tibet, a Macao, a Taiwan, la Cina rimarrà un Paese unito e indivisibile, e che la linea rimarrà quella di “Un Paese e Due sistemi”.

La determinazione dimostrata da Xi Jinping nell'annunciare la difesa totale dell'integrità della Cina è importante anche per il fronte mondiale dei Paesi che puntano a liberarsi dal dominio imperialista, poiché, oggi, se l'imperialismo riuscisse a cogliere l'obiettivo della disintegrazione dell'unità territoriale della Repubblica Popolare Cinese, sarebbe tutto il fronte mondiale antimperialista a indebolirsi. Non solo la Cina.

 

Dopo la caduta dell'URSS si sono moltiplicati i tentativi delle potenze imperialiste diretti a sollecitare e organizzare le forze secessioniste cinesi (a cominciare dalle forze reazionarie e filoamericane del Tibet e proseguendo con quelle di Hong Kong e Taiwan) al fine di rompere l'unità cinese e indebolire l'intera Repubblica Popolare Cinese.

 

Se il disegno imperialista di divisione della Cina, partito già molti anni fa dalle postazioni imperialiste, avesse avuto successo e la Cina avesse subìto un processo di disgregazione nazionale, oggi il mondo sarebbe diverso e in grandissima parte subordinato al dominio dell'asse euro-atlantico. Non vi sarebbe stata la grandissima esperienza di carattere antimperialista dei BRICS e forse anche la Nuova Via della Seta avrebbe trovato molte più difficoltà ad espandersi nel mondo e coinvolgere tutti quei Paesi, quegli Stati e quei popoli che oggi coinvolge.

E anche i Paesi in via di liberazione nazionale avrebbero subìto le nefaste conseguenze della disgregazione territoriale della Cina.

 

Ecco perché le parole di Xi Jinping rivolte alla difesa dell'integrità territoriale e politica della Cina sono state particolarmente importanti e incoraggianti, per i popoli e gli Stati del mondo che intendono liberarsi dalle potenze imperialiste.

Una posizione, questa di Xi, che peraltro recupera la concezione marxista e leninista della difesa dell'autonomia della Nazione e della Patria come prima difesa del popolo e della classe lavoratrice.

 

7) Settima questione: Xi ha confermato la profonda spinta alla cooperazione, al multilateralismo e alla pace mondiale, anche attraverso la Nuova Via della Seta e il rapporto win-win con gli Stati e le economie del mondo, ma anche la determinazione alla difesa, politica e militare, del socialismo cinese, dalla nuova e pericolosa aggressività politica, economica e militare imperialista.

 

Xi ha affermato, infatti: “Noi cinesi siamo un popolo che difende la giustizia e non si lascia intimidire dalle minacce della forza. Chiunque tenti di farlo si troverà in rotta di collisione con una grande muraglia d'acciaio forgiata da oltre 1,4 miliardi di cinesi”.

Vi è, in questa presa di posizione ferma di Xi, la consapevolezza dell'odierna natura guerrafondaia dell'imperialismo USA, la consapevolezza del cambio di passo impresso da Joe Biden, che ha già lanciato il progetto di un vasto fronte anticinese che dovrebbe essere costituito, secondo il presidente americano, dall' asse euro-atlantico (USA e UE) e la Corea del Sud, il Giappone, l'India e la Nuova Zelanda.

 

La Cina sta superando sul piano economico la potenza americana ed è da questa paura di perdere la leadership mondiale e iniziare la strada di un declino storico, che gli USA acutizzano la loro aggressività, politica e militare, contro Pechino.

 

Ma il PCC conosce bene la natura dell'imperialismo, sa bene che se l'imperialismo ha paura può reagire come una belva ferita. E la Cina non si farà trovare impreparata – come emerge dal discorso di Xi del 1° luglio – difronte agli eventuali attacchi degli USA e del fronte imperialista mondiale.

 

8) Ottava e ultima questione: noi comunisti occidentali siamo molto affascinati dal progetto strategico esposto dal Presidente di una Cina portata fuori dalla povertà e trasformata in un Paese “moderatamente prospero”. Siamo affascinati dall'antidogmatismo rivoluzionario e dalla linea filosofica dell'apprendimento attraverso la rottura delle prassi consolidate, ossificate e ridotte a vuota mitologia, nonché dall'insegnamento proveniente dall'esperienza concreta praticata e ripetuta in forme diverse sino al raggiungimento della pratica vincente.

 

Le esperienze delle Zone Speciali sono state scientificamente studiate, dal PCC, col metodo della dialettica marxista. Di esse non si conosceva a priori il tipo di funzionamento, i problemi che avrebbero dato, gli insuccessi e i successi che avrebbero prodotto. Non si sapeva come le avrebbero accettate i lavoratori e il popolo cinese.

 

Diverse Zone Speciali sono state spostate in territori diversi da quelli dove erano state originariamente costituite, finché non si è trovato il territorio più consono al loro sviluppo. Si è provato e riprovato, si sono cambiate le modalità organizzative, i dirigenti e i modelli produttivi, finché le Zone Speciali hanno iniziato a dare quei grandi risultati che hanno contribuito al titanico sviluppo del “socialismo dai caratteri cinesi”.

 

E questa modalità di lavoro, questa scelta di valorizzare l'esperienza e la pratica – come ha affermato Xi Jinping – è una modalità prettamente marxista, una modalità che non si basa su di un progetto idealista, aprioristico, ma si basa, appunto, sulla conoscenza della realtà concreta sulla quale intervenire per modificarla e renderla funzionale agli interessi del popolo e del socialismo.

 

E siamo affascinati da tale, immenso, disegno di sviluppo sociale e delle forze produttive, che in prima istanza ha vinto la guerra contro la povertà di massa – come ha fortemente sottolineato il Presidente il 1° luglio – lasciata in eredità al socialismo cinese dai precedenti poteri feudali e reazionari cinesi, perché, al contrario, nei Paesi occidentali, specie in Italia, la povertà è ora tornata ad essere di massa e in grande aumento (tra miseria assoluta e miseria relativa sono già circa 11 milioni i cittadini italiani sotto la soglia della povertà) e il progetto sociale del capitalismo non è quello di una società moderatamente prospera all'interno di una quadro generale di uguaglianza sociale, ma è quello di una totale e antiumana società iper consumistica offerta alle minoranze ricche e benestanti e alla aree sociali “garantite”, ma totalmente negata alle grandi aree sociali già povere o vicine alla povertà. La Cina socialista – come ha dichiarato Xi Jinping – ha sconfitto ovunque la povertà, anche nelle campagne e nelle aree più recondite della Cina, traendo fuori da essa ben 800 milioni di persone e avviando un profondissimo processo di modernizzazione del Paese del quale usufruisce l'intera società, non solo una parte minima di essa, come nei Paesi capitalistici.

 

Infine, un grande incoraggiamento può provenire anche a noi comunisti italiani, che oggi viviamo la fase della difficile ricostruzione del partito, da queste parole pronunciate da Xi, parole che rilanciano l'esigenza oggettiva e storica del partito comunista, persino indipendentemente dalle condizioni in cui un partito comunista versa in una data fase in un dato Paese: “Un secolo fa, al momento della sua fondazione, il Partito Comunista Cinese contava poco più di 50 iscritti. Oggi, con più di 95 milioni di membri in un Paese di oltre 1,4 miliardi di persone, è il più grande partito di governo del mondo e gode di un'enorme influenza internazionale”.

 

 

 

 

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