Pino Arlacchi - Libia, media italiani e solita assenza di memoria

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di Pino Arlacchi

La Conferenza di Berlino si è appena aperta e speriamo sia l’inizio di un processo di stabilizzazione della Libia sotto l’egida dell’ONU e di una missione multilaterale di pace. Ma spero che il multilateralismo si affermi anche nelle narrative sulla crisi libica, piene, in Italia ed Europa, di lessici e concetti di stampo colonialista e talvolta anche fascista. Una conferenza ONU è un evento dove tutti i partecipanti sono sullo stesso piano. E dove nessuno ha più diritti degli altri. Non ci sono le pistole sul tavolo evocate dai commentatori italiani che posano come realisti e sono solo ignoranti. E non ci sono paesi i cui atti sul terreno siano “pericolosi”, “tracotanti”, “insidiosi” o violenti, mentre quello dell’Italia o dell’Unione Europea sono rivolti alla pace e al rispetto del diritto internazionale.

Non abbiamo più diritto degli altri a dire la nostra sul futuro della Libia, ma solo più doveri e responsabilità. Perché il disastro in corso l’abbiamo creato noi europei assieme agli americani nel 2011, invadendo un paese sovrano con il pretesto di una emergenza umanitaria che non esisteva e rovesciando un regime che aveva appena rinunciato a un programma di armamento nucleare, iniziato a liberare i prigionieri politici e intrapreso un cammino di riforme orientate verso la democrazia.

Perfino Obama ha apertamente ammesso che l’intervento in Libia è stato un tragico errore.

Invece di gridare allo scandalo perché altre potenze si permettono di intervenire in uno spazio dove il colonialismo europeo continua a lasciare la sua impronta disgustosa, si dovrebbe partire da un umile mea culpa e lavorare assieme all’ONU per riparare i danni appena fatti al popolo libico ed alla giustizia e alla legalità globali.

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