Pino Arlacchi - Nagorno Karabakh, quanta confusione dei media. E' il trionfo del diritto internazionale e del multipolarismo

Pino Arlacchi - Nagorno Karabakh, quanta confusione dei media. E' il trionfo del diritto internazionale e del multipolarismo

"Nell’ordine multipolare che si è formato in questo secolo la pace ha molte più chances di prima"

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di Pino Arlacchi *

 
Come dirigente ONU e come parlamentare europeo ho avuto modo di occuparmi lungo più di un ventennio della vicenda del Nagorno-Karabakh. Vicenda ignorata accuratamente dal circuito mediatico e politico occidentale. Il quale, costretto ad occuparsene dalla notizia della guerra e dell’ accordo di pace, sta mostrando quanto sia obsoleta la sua mentalità, deformata da decenni di militanza partigiana entro un ordine mondiale unipolare che non esiste più.

L’accordo raggiunto da Armenia e Azerbaijan dopo decenni di scontro, due guerre vere e proprie e decine di migliaia di vittime, è una vittoria delle forze della pace e del diritto internazionale. Un successo tra i più significativi del nuovo ordine mondiale multipolare.

Ma a cosa sembrano interessati  governi europei e grancassa mediatica? L’unico tema che sembra stimolarli è il toto-geopolitica, cioè la vittoria o la sconfitta di questa o di quella grande potenza interessata al Nagorno-Karabakh: ha vinto la Turchia? ha perso la Russia? E la Francia? E l’ Iran? E le armi di Israele? e l’intelligence USA? E così via, dentro un  via libera alla fantasia geopolitica e all’ ignoranza più oltraggiosa della storia. Per non parlare della geografia. Guardate com’è fatto fisicamente il Nagorno-Karabakh ed avete un buon punto da cui partire per capire la questione.


Lo scontro del Nagorno-Karabakh, in realtà, non è così complesso e irrisolvibile come può apparire. E’ un esempio abbastanza chiaro di conflitto tra due stati membri dell’ ONU e tra due pilastri dell’ordine internazionale: il diritto all’ autodeterminazione e quello all’ integrità territoriale.


Se costrette a scegliere tra i due principi, le Nazioni Unite non hanno quasi mai avuto dubbi, assegnando la preminenza al diritto all’integrità territoriale, condannando (quando possibile, vista la Guerra fredda e gli interessi di potenza)  annessioni, secessioni e soprattutto invasioni. Anche quelle giustificate col diritto all’ autodeterminazione portato all’ estremo da forze locali o da governi confinanti. Il caso delle occupazioni di territori altrui da parte di Israele è il più noto, ma anche il caso del Nagorno-Karabakh fa scuola.


Sono quattro le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che precedono la risoluzione dell’ Assemblea generale del 2008 e che chiedono il rispetto dell’integrità territoriale dell’ Azerbaijan e il ritiro delle forze armate dell’ Armenia sia dalle zone abitate in prevalenza da armeni (il Nagorno-Karabakh) che dai distretti circostanti abitati da azeri ed occupati dall’ Armenia. Le risoluzioni auspicano anche il rispetto del diritto all’ autonomia e all’ autogoverno della popolazione armena che vive nel Nagorno-Karabakh, nonché il ritorno dei 600mila azeri scappati dalla regione dopo l’ occupazione militare.


E ci sono varie altre pronunce di organizzazioni internazionali – tra cui quella del NAM, il movimento dei paesi non allineati, seconda solo all’ ONU per ampiezza di adesioni - che si sono mosse nella stessa direzione.
L’ accordo tra Armenia ed Azerbaijan, ottenuto, guarda un po', con la mediazione di due Stati brutti, sporchi e cattivi come la Russia e la Turchia, ricalca da vicino questa linea della comunità internazionale.


Avete mai sentito citare o anche solo evocare questi fatti nei resoconti dei giornali e delle televisioni dell’Unione europea o degli Stati Uniti?
 

Ma torniamo al discorso sul multilateralismo. La controversia tra Armenia ed Azerbaijan veniva considerata un frozen conflict tra i più irriducibili. Lo status quo stabilitosi dopo la vittoria armena della guerra del 1993-94 è durato 26 anni. E non solo per via dell’ inconciliabilità delle posizioni mantenute dalle due parti, ma anche perché il “congelamento” si estendeva al contesto esterno: la Russia appoggiava l’ Armenia senza molte riserve, rifornendola di armi e proteggendola  a livello di Nazioni Unite e di comunità internazionale con l’ aiuto soprattutto della Francia, sede di una lobby armena molto influente. La Turchia sosteneva in pieno l’ Azerbaijan, un paese a lei storicamente, culturalmente e linguisticamente affine. Il governo azero manteneva una posizione di distacco ed equidistanza dai grandi blocchi come l’ UE e gli Stati Uniti, e seguiva una politica di amichevole prudenza con la Russia, evitando di antagonizzarla per via del legame di quest’ultima con l’ Armenia.


Nel frattempo, le risorse petrolifere del Caspio consentivano a Baku di acquistare sottotraccia armamenti avanzati un po' dappertutto, Israele e Russia inclusi. Senza che l’ Armenia si rendesse conto che il rapporto di forza militare si stava rovesciando, e c he il paesaggio circostante si stava scongelando per via della crescita impetuosa del multipolarismo dopo le dimissioni di Trump da capo della gendarmeria globale.


L’ avanzata del multipolarismo significa non solo più spazio per gli interessi delle piccole nazioni e per il loro status nelle organizzazioni internazionali, ma anche più spazio di manovra per le principali potenze regionali del Caucaso: Russia, Turchia e Iran.


Questo processo è positivo per chi ha a cuore pace e stabilità dell’ ordine mondiale. I nostalgici dell’ epoca dello Zio Sam intravedono caos e catastrofi in qualunque dinamica del sistema internazionale che si sviluppi al di fuori del perimetro controllato dagli ex-padroni dell’ universo. Se scoppia una crisi da qualche parte e Stati Uniti e soci non ci mettono subito la zampa sopra, per gli orfani dell’unilateralismo il caos successivo è garantito.
   

Se Turchia, Russia e Iran iniziano una competizione nella loro regione o altrove (Libia, Siria, Caucaso, Golfo Persico, Asia centrale), e si permettono di fare ciò che tutti gli altri fanno, cioè sostenere paesi amici, intervenire in teatri di conflitto, intrecciare alleanze politiche ed economiche, costruire gasdotti, infrastrutture e accordi militari e finanziari come pare a loro, tutto ciò porta ineluttabilmente – secondo gli orfanelli di cui sopra - alla destabilizzazione e allo scontro armato.
 

Ma sono proprio due crisi aggrovigliate come quella siriana e quella del Nagorno-Karabakh che dimostrano il contrario. Russia e Turchia, pur trovandosi dai lati opposti della barricata, hanno trovato un modo per coesistere senza spararsi addosso come sperato da chi ha distrutto la Siria.


L’intervento russo e iraniano nella crisi siriana ha posto fine alla più sanguinosa guerra civile degli ultimi vent’anni. Nel caso del Nagorno-Karabakh la Russia sembra aver fatto un passo indietro rispetto al suo tradizionale appoggio dell’ Armenia, ma in realtà ha dimostrato lungimiranza e capacità di governance, contribuendo alla pacificazione del Caucaso e surclassando l’ approccio più rozzo della Turchia.


Nell’ordine multipolare che si è formato in questo secolo la pace ha molte più chances di prima. Non ci sono più in ballo “minacce esistenziali”, a meno che esse non siano inventate o gonfiate dai venditori di protezioni non richieste. Ciò che esiste è invece un complesso gioco di interessi sovrapposti, che implicano convergenze in certi campi e scontro in altri.


Dobbiamo abituarci alle dinamiche di un arena multipolare, dove dissidi ed alleanze tra Stati  - di potenza uguale e no -   alla fine tendono a trovare uno sbocco sempre più distante dalla guerra.

*Articolo uscito in contemporanea su la fionda.it
     

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