Studio: Algoritmi dei social impostati contro la causa palestinese
"In che modo i social media alimentano la polarizzazione politica negli Stati Uniti e cosa si dovrebbe fare al riguardo?" è il titolo di uno studio condotto dal Center for Business and Human Rights della Leonard N. Stern School della New York University nel quale si rivela che, in reazione a un'ondata di fake news sulla tensione tra la Resistenza palestinese e Israele nel maggio scorso, Facebook ha istituito un centro operativo speciale nei territori occupati per monitorare i contenuti che violavano le regole del social network.
Facebook e Twitter hanno riconosciuto di aver erroneamente bloccato o limitato milioni di post e account, per lo più filo-palestinesi, perché, in alcuni casi, gli algoritmi di rimozione dei contenuti interpretavano parole come "martire" e "resistenza" come un segno di violenza, rivela il rapporto.
Secondo lo studio, molti palestinesi hanno subito un grado ingiustificato di censura sui social media perché il regime israeliano dispone di un'unità informatica competente che segnala grandi quantità di presunto contenuto palestinese di odio e violenza, mentre i palestinesi non dispongono di questa struttura.
Per anni, Facebook ha disattivato gli account palestinesi in coordinamento con il regime israeliano e le agenzie di sicurezza, con il pretesto di evitare "l'incitamento" all'odio dei palestinesi.
I direttori di questo social network e le autorità israeliane hanno firmato nel settembre 2016 un accordo che obbliga Facebook a rimuovere tutti i tipi di contenuti considerati anti-israeliani.
I palestinesi credono che il patto cerchi di censurare ogni tipo di critica a Israele e non lasciare che attivisti e cittadini usino Facebook per mostrare al mondo le pratiche brutali e la repressione che l'esercito israeliano esercita sui palestinesi.