Un salutare ceffone di sovranità

Un salutare ceffone di sovranità

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di Antonio Di Siena
 

Che fosse tutto un bluff e l'euro avesse le ore contate io ve l'avevo detto il 20 marzo, finalmente qualcuno molto più autorevole del sottoscritto ieri l'ha messo nero su bianco.


La Corte costituzionale tedesca infatti con una sentenza storica ha buttato giù mesi di menzogne e propaganda europeista, riportando sulla terra i dormienti altroeuropeisti sognanti di casa nostra. Certo se qualcuno dei nostri si è limitato ad ascoltare Gualtieri e a leggere i titoli degli “specialisti dell'informazione” allora nella migliore delle ipotesi non c'ha capito niente. Nella peggiore ha capito il contrario di quello che è successo.


Quindi cerchiamo di spiegare cosa è accaduto ieri a Karlsruhe.


Molto banalmente la Suprema Corte di Germania ha sancito che il programma di quantitative easing per come lo conosciamo non può più proseguire. E che la decisione della Corte di Giustizia che lo legittimava è assolutamente arbitraria.


Non esattamente una bazzecola di sentenza quindi.


Secondo i giudici tedeschi infatti la pronuncia della CGUE ignorando “completamente gli effetti di politica economica del programma” ha violato il principio di proporzionalità. La norma che regola l'esercizio delle competenze fra Unione e Stati membri e impone una chiara limitazione all'azione delle istituzioni comunitarie: raggiungere gli obiettivi fissati dai trattati in modo coerente ed equilibrato fra forma e sostanza degli atti adottati.


Detto in altre parole.


Secondo Karlsruhe il programma PSPP adottato per perseguire l'obiettivo dell'inflazione intorno al 2% “intossica” l'eurosistema con titoli di Stato di Paesi indebitati (e quindi instabili), mettendo a rischio le banche e i risparmi dei cittadini e violando il principio di concorrenza. E proseguire con questo programma comporta inevitabilmente il rischio di una forte instabilità dell'eurozona. Un rapporto costi/benefici molto sbilanciato quindi, che necessitava una valutazione più attenta e complessiva che BCE non ha fatto.

Andando “ultra vires”, oltre i propri poteri.

La banca centrale europea è infatti competente in materia monetaria e non in politica economica. La politica economica è di competenza degli Stati membri (cheché ne pensino Gentiloni e il resto del Piddì). E l'Unione europea può semplicemente definire le modalità attraverso cui gli Stati debbano coordinare le predette politiche.

Un rilievo di importanza capitale quello fatto alla CGUE dalla Corte di Karlsruhe giacché ribadisce un principio fondamentale. Ovvero che “sebbene i casi in cui le istituzioni dell'UE superino le loro competenze siano eccezionalmente possibili [..] gli Stati membri rimangono i padroni dei trattati”. E pertanto essi non soltanto possono, ma devono procedere con un sindacato di legittimità al fine di impedire che le istituzioni UE procedano motu proprio a modifiche unilaterali dei Trattati e quindi all'ampliamento delle loro competenze.

Tradotto: il pilota automatico e il “whatever it takes” nei Trattati non stanno scritti da nessuna parte. E agli ordinamenti nazionali spetta il potere di verifica sugli atti dell'UE.

Un controllo quindi non soltanto legittimo, ma addirittura fondamentale al fine di garantire il principio democratico nonché quello che la Costituzione italiana definisce magistralmente “limitazione di sovranità a parità fra altri Stati” (peccato che da questa parte delle Alpi in molti abbiano volutamente ignorando e stravolto il significato palese del tenore della norma richiamata, ma questa è un'altra storia).

Ribadito l'ovvio, quello che se lo dici in Italia sei un pericoloso fascista, la Corte ha poi provveduto a riposizionare i paletti che già aveva piantato nel 2013 a seguito della sentenza sugli OMT.
E quindi ha deciso che il quantitative easing può continuare solo ed esclusivamente a patto che:

1 -il volume degli acquisti continui ad essere PRE-determinato;
2 -siano tassativamente rispettate le capital key;
3 -vengano acquistati esclusivamente titoli di Stati con una valutazione positiva di solvibilità e che possono accedere al mercato obbligazionario;
4 -le operazioni di acquisti siano limitate al mantenimento dell'inflazione entro i parametri stabiliti;
5 -non vi sia alcuna ripartizione delle perdite sugli acquisti dentro l'eurosistema.


Il rispetto di queste prescrizioni poi dovrà essere oggetto di attenta, precisa e puntuale vigilanza da parte del governo tedesco al fine di scongiurare che il loro superamento possa avere effetti negativi all'interno dell'economia tedesca. A tal fine il Bundesregierung dovrà “intraprendere azioni adeguate per limitare l'impatto interno [..] e continuare a monitorare le decisioni dell'eurosistema sugli acquisti di titoli di Stato nell'ambito del PSPP utilizzando i mezzi a disposizione per garantire che il SEBC rimanga nel suo mandato”.


E il primo passo di questo processo di vigilanza attiva è la messa in mora della BCE.

Alla banca centrale europea infatti è stato intimato un termine di tre mesi per dimostrare (rectius giustificare) che lo scostamento dai parametri rispetti il criterio di proporzionalità in modo oggettivamente comprovato.

Tradotto.

Se la BCE non si conforma (rectius si sottomette) a Berlino la Germania si chiama fuori dal programma che ha mantenuto in piedi l'euro negli ultimi 10 anni.

Piaccia o meno quindi questa sentenza apre una crisi politica gigantesca dentro UE e da cui discendono alcune banali considerazioni.

La prima è che mina le fondamenta giuridiche sia del principio di supremazia del diritto comunitario sugli ordinamenti nazionali, sia della teoria dualistica. Se c'è uno Stato (qualunque esso sia) che la nega, allora non esistono più le condizioni per le limitazioni di sovranità a parità fra Stati ancoraggio interpretativo dell'art. 11 della nostra Costituzione. E di questo mutamento di scenario non possiamo non prenderne atto. In mancanza sarebbero giuristi e classe politica italiana a violare palesemente quello stesso principio fondamentale da mezzo secolo perno della partecipazione del nostro Paese al processo di costruzione europea.

La seconda è relativa al principio di indipendenza della BCE. Da oggi infatti la banca centrale è con tutta evidenza sotto ricatto e quindi subordinata all'impianto normativo (e al volere) della potenza egemone tedesca. Con buona pace di liberisti, anti-statalisti e europeisti di casa nostra.

La terza, di natura pratica, è che la sentenza di ieri travolge irrimediabilmente l'unico strumento che fino ad oggi ha consentito alla moneta unica di restare in piedi. E con esso il piano economico straordinario da 750 mld predisposto dalla Lagarde per affrontare l'emergenza Covid-19. E mette una pietra tombale sulla pur remotissima ipotesi eurobond. Per Karlsruhe non si possono fare. Fine della storia. Questo comporta inevitabilmente la paralisi delle istituzioni UE che, impossibilitate a predisporre qualunque tipo di piano, finiscono in un immobilismo imposto le cui conseguenze sui mercati sono assolutamente imprevedibili (e non certamente positive).

La quarta è che rebus sic stantibus (e in ogni caso), fra 3 mesi l'euro che conosciamo non ci sarà più. Se sopravviverà sarà solo perché la Germania è uscita (probabilmente insieme ai suoi stati satellite). Diversamente finisce il QE e quindi finisce anche l'euro. Certo questa seconda ipotesi quasi certamente comporterà una lenta e lunga agonia che porterà alcuni Paesi del sud al default e quindi al ricorso all'unico strumento ancora utilizzabile: il MES, con ricadute drammatiche sul piano sociale, finanziario e di ordine pubblico per le nazioni coinvolte. Non è dato sapere se a questo seguirà un processo aggregativo alternativo (l'euro-mediterraneo) o il ritorno alle monete nazionali, in ogni caso il destino di questa moneta unica è segnato.

La quinta è di natura più squisitamente filosofico-giuridica e attiene al dibattito che sta seguendo a questa storica sentenza. Non è infatti l'egoismo ad aver mosso i supremi giudici tedeschi nella direzione ora esaminata, anche perché i giudici, specialmente se riuniti in una corte, non sottostanno certo alle pulsioni umane. Essi sono subordinati soltanto alla legge. E la legge tedesca impone alle istituzioni teutoniche di accettare limitazioni di sovranità solo ed esclusivamente a patto che la Legge Fondamentale (la loro Costituzione) mantenga la supremazia nel decidere la vita e il futuro del popolo tedesco.

Il che significa che i tedeschi (a differenza nostra) hanno in grandissima considerazione le loro leggi e i principi ad esse sottese, e quindi la loro pluri-secolare e straordinaria tradizione codicistica e di filosofia giuridica. Tengono cioè enormemente a due parole che non a caso sono esprimibili quasi esclusivamente in tedesco. “Grundnorm”, quindi alla norma suprema posta a fondamento di ogni altra e pertanto base di tutta la produzione giuridica; e “Zeitgeist” e quindi allo loro capacità di essere adeguatamente interpreti (giuridicamente) dello spirito del tempo.

In una concezione del diritto che, tutelando l'ordinamento interno, con tutta evidenza mette al centro (e al riparo) i processi decisionali popolari e quindi la democrazia.

Per questo quella di ieri è una sentenza storica.

Perché nel periodo mi massima espansione della “globalizzazione senza alternative” e dell’asseritamente inevitabile avvento delle entità sovranazionali, ci fornisce una magistrale lezione del significato di sovranità popolare.

Un salutare ceffone di sovranità che solo il rude pragmatismo tedesco poteva darci in questi termini.

Ecco perché non soltanto di “nec ultra vires” dovremmo parlare.

Quanto piuttosto di nec ultra viros. Non oltre gli uomini, non oltre i popoli e le leggi fondamentali che hanno deciso di darsi.

Also sprach Karlsruhe.

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