Daniele Luttazzi - Perché hanno ragione i giovani a manifestare per la Palestina il 25 aprile

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di Daniele Luttazzi - nonc'èdiche (Fatto Quotidiano)

Primo Maggio 2024

In occasione delle celebrazioni per il 25 Aprile alcuni commentatori, di destra ma non solo, hanno stigmatizzato la presenza di giovani filo-palestinesi e le loro proteste contro i crimini di guerra di Netanyahu. Ne hanno contestata l’opportunità: cosa c’entra la protesta contro il genocidio in corso a Gaza con l’anniversario della Liberazione italiana dal nazifascismo? Ma il 25 Aprile si ricordano, con l’evento storico, i valori che lo resero possibile, senza i quali la festa sarebbe mero cosplay.

La protesta contro i crimini di Israele non è diversa dalla protesta contro il golpe in Cile o contro la Grecia dei Colonnelli, nelle feste di tanti anni fa: è la testimonianza che i valori grazie ai quali la Resistenza fu possibile (libertà, uguaglianza, progresso) sono ancora vivi nel nostro Paese. Dunque quella testimonianza è opportunissima; e oggi è addirittura necessaria, in un momento storico in cui il capitale, per risolvere una delle sue crisi cicliche, sta riportando in auge le destre fasciste e guerrafondaie, che tanto hanno già brigato contro i diritti dei lavoratori in tutto il globo terracqueo. Né va dimenticato il vulnus del 25 aprile 2022: a Milano sfilarono ucraini col simbolo del battaglione Azov. Lo permise Cenati (Anpi Milano), che poi si dimise in polemica con l’Anpi nazionale perché “è improprio parlare di genocidio a Gaza” (Se credete che Zelensky sia un partigiano che lotta per la libertà guardate troppi tg italiani). Cose che si sanno; dunque i propagandisti di destra, barando, hanno usato altri due argomenti. Il primo è rinfacciare ai filopalestinesi che il Gran Muftì di Gerusalemme era palestinese e filonazista (come a dire: avete anche voi le vostre colpe; e se ci state voi, il 25 Aprile, possono starci anche i filoisraeliani). Ma questo argomento può far presa solo su chi non sa la storia.

Come spiega Lorenzo Kamel (t.ly/-3EPY), il Gran Muftì di Gerusalemme non era il legittimo rappresentante del popolo palestinese: fu imposto al popolo palestinese da Londra. Concorda su Haaretz lo storico Mustafa Abbasi: “Nel 1937 il Gran Muftì lasciò la Palestina per 10 anni. Il popolo non lo vedeva come leader.” Anche Netanyahu, nel 2015, usò l’argomento “Gran Muftì nazista” contro i palestinesi; ma Abbasi ricorda che 12 mila palestinesi, fra cui suo nonno, non diedero ascolto al Gran Mufti e combatterono con gli inglesi contro i nazisti fin dall’inizio della guerra: “Non ci fu una Brigata Palestinese perché i combattenti palestinesi, a differenza degli ebrei della Brigata Ebraica, non avevano una chiara agenda nazionalista” (t.ly/1nAxl). Valerio Minnella smonta il sofisma di destra: “Gli ebrei sono forse tutti nazisti perché il gruppo terroristico sionista Lehi si propose come alleato dei nazisti?”. Il secondo argomento dei propagandisti di destra riguarda il ruolo della Brigata Ebraica nella guerra di liberazione: lo esaltano, senza descriverlo. Lo riassume Alberto Fazolo su Contropiano (t.ly/rrZoP): “La Brigata Ebraica rappresenta il contributo militare degli ebrei di Palestina nella Seconda guerra mondiale.

Questi rimasero inattivi, praticamente, fino alla fine del conflitto. Quando si prospettò la possibilità di costituire lo Stato d’Israele, e per farlo serviva partecipare alla guerra, un numero simbolico di uomini fu mandato ad arruolarsi nell’esercito inglese. Arrivarono al fronte quando la guerra stava finendo, dopo la liberazione del campo di Auschwitz (non contribuirono a porre fine all’Olocausto); in Italia si limitarono a inseguire i tedeschi in ritirata, combattendo per un mese. Pur non facendo quasi nulla, si intestarono la vittoria e la memoria. In tempi recenti la Brigata Ebraica viene spacciata per la principale paladina della lotta antifascista e in difesa degli ebrei: una strumentalizzazione revisionista per legittimare l’azione passata e presente d’Israele”.

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