Francesco Erspamer - L'università nella società auspicata dal neocapitalismo

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di Francesco Erspamer

Quei pochi che ancora studiano la storia forse si ricorderanno che la ristrutturazione urbanistica di Parigi nella seconda metà dell’ottocento, con i suoi grandi viali e le ampie piazze, fu fatta da Napoleone III e dal suo prefetto, Haussmann, per due motivi: per modernizzarne l’aspetto e così indurre una più rapida accettazione del sistema capitalista, e per impedire sommosse popolari rendendo impossibile la costruzione di barricate.

Il nostro tempo è molto simile a quello: entrambi sono dominati da un’infatuazione per il nuovo (consumismo), per il proprio piacere (edonismo) e per le facili e rassicuranti promesse della tecnologia (materialismo), in particolare nelle classi dirigenti, auto-esentatesi dai vincoli della morale e della tradizione in nome del diritto di realizzare la propria personale felicità (uno dei comandamenti dell’Illuminismo e della dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti).

Basta guardare cosa sta accadendo nelle più prestigiose università americane, quelle che gli eterni esterofili italiani invidiano senza accorgersi che la loro eccellenza è determinata da parametri da esse stesse prescelti e comunque riguarda un ristretto numero di istituzioni, a mascherare una qualità media molto bassa.

Cosa sta succedendo? Lo avrete letto: repressione di qualsiasi opinione politicamente non corretta oppure non conforme agli interessi finanziari del sistema. Ma al di là dell’intervento della polizia (se tutto resta pacifico: altrimenti, come abitudine, chiamerebbero la cosiddetta «guardia nazionale»), quale è la soluzione ideale per prevenire assembramenti e proteste? Quella che è stata preparata negli ultimi decenni e che ha avuto un’enorme accelerazione con la scusa del Covid: abolire le lezioni in presenza e fare tutto a distanza. Ovviamente per garantire la sicurezza senza neppure bisogno di spianare quartieri e allargare le strade (che peraltro viene già fatto regolarmente per l'ansia di ammodernare e di agevolare il traffico).

È la società auspicata dal neocapitalismo: un insieme di individui poco inclini se non inadatti alla socialità e ai compromessi che richiede, e pertanto incapaci di coalizzarsi, organizzarsi e tanto meno lottare, il che comporterebbe preparazione e addirittura sacrifici, insomma un rifiuto dei dogmi correnti, l’utile, il successo, la comodità. Che è il motivo per cui i media non fanno che invitarvi allo «smart working» e all’«e-commerce» (anglicismi, dunque delle truffe), alla digitalizzazione, alla virtualità, all’intelligenza purché rigorosamente artificiale.

In Italia ci sono ancora comunità, piazze, stradine, negozi, uffici, occasioni di socialità. Chi le considera dei valori deve cominciare immediatamente a resistere alla deriva liberista e liberal, benché promossa all’unisono dalla finta destra meloniana e dalla finta sinistra schleiniana.

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