Dal 2023 torna l’austerità. A dirlo non è qualche populista anti-europeo impenitente, ma la stessa Commissione europea per bocca del vice presidente Valdis Dombrovkis, responsabile dell'Economia del blocco, e che di solito viene utilizzato come super falco dell’austerità.
La notizia è passata in sordina, evidentemente perché smentisce una narrazione completamente fasulla sull’Europa che avrebbe cambiato le sue assurde regole economica a causa della crisi portata dalla pandemia in economie già ridotte allo stremo da decenni di ottusa austerità. Non abbiamo ricevuto neanche un centesimo del PNRR, Recovery Fund o come lo volete chiamare e già viene presentato il conto salatissimo dagli Strozzini di Bruxelles.
A tal proposito il politico lettone ha affermato al termine della riunione Ecofin a Lisbona: «Abbiamo previsto una crescita del 4,2% per l'economia dell'Ue quest'anno e del 4,4% l'anno prossimo. Anche se i tassi potranno variare, tutti i Paesi dell'Ue dovrebbero vedere le loro economie tornare ai livelli pre-crisi entro la fine del 2022. La politica fiscale dovrebbe rimanere favorevole sia quest'anno che il prossimo, e anche sulla base delle previsioni economiche di primavera, possiamo confermare il nostro approccio per cui manterremo la clausola di salvaguardia generale attiva nel 2022 e non più a partire dal 2023».
«Come altre crisi precedenti, questa ha lasciato alcune eredità sgradite: aumento del debito pubblico e privato, impatto negativo sui mercati sociali e del lavoro, solo per fare alcuni esempi», ha poi aggiunto.
Ragion per cui «mantenere un ampio sostegno alla liquidità per troppo tempo comporterebbe di per sé rischi di bilancio. D'altro canto, dovremmo anche evitare il ritiro improvviso, prematuro o non coordinato delle misure di sostegno temporaneo», ha ammonito Dombrovskis.
Quindi dal 2023 torna in vigore il famigerato Patto di Stabilità e Crescita (PSC). Cosa significa questo per l’Italia? Riforme. E quando sentiamo pronunciare questa parola dobbiamo immediatamente immaginare pesanti conseguenze per le condizioni di vita della popolazione italiana.
Dal 2023 l’Italia, così come gli altri paesi, dovrà sottostare ai vincoli di bilancio. Quindi ‘obbedire’ alle disposizioni UE. Fare le cosiddette riforme. Roma dovrà ridurre la la parte di debito eccedente il 60% di 1/20 l’anno nella media di riferimento di un triennio. Viene confermato dunque il rientro del debito/PIL ai livelli pre Covid (135%) entro il 2030.
Più si parte con un debito alto, più risorse l’Italia dovrà «togliere» all’economia per diminuirlo nei tempi previsti dall’Unione.
Insomma, torna l’ottusa austerità di marca neoliberista europea. Una politica che ha causato depressione in tutto il continente, causato danni inenarrabili già prima del Covid, ma a Bruxelles continua a imperare questo dogma senza alcun fondamento nella scienza economica.
L’Italia è infatti da anni in avanzo primario. Esegue politiche di austerità, ma il debito continua a salire. Però in quel di Bruxelles tirano dritto. Nonostante la crisi scaturita dalla pandemia sia devastante.
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