Lo scorso 18 maggio la Commissione europea ha presentato il Piano REPowerEU che prevede l’investimento di 300 miliardi di euro per conseguire due obiettivi espressamente dichiarati: “porre fine alla dipendenza dell’UE dai combustibili fossili della Russia” e “affrontare la crisi climatica”.
La compenetrazione tra i due obiettivi, almeno in linea teorica, è evidente: nella misura in cui si riuscisse ad accelerare il processo di transizione verso le fonti energetiche rinnovabili, si riuscirebbe sia a diminuire la cosiddetta “dipendenza energetica” dell’Europa (da qualsiasi altro Paese, non solo dalla Russia), sebbene solo in parte se consideriamo l’importanza di certe materie prime (silicio, terre rare, etc.) nella transizione, sia, e soprattutto, a ridurre drasticamente l’impatto negativo delle nostre economie sull’ambiente. Purtroppo, è altrettanto evidente che il Piano europeo non mira a questo.
Come vedremo nel dettaglio, mentre l’ambizione green di REPowerEU appare risibile, il reale obiettivo del Piano insiste sulla possibilità di individuare fonti fossili dannose per l’ambiente che siano però alternative a quelle sacrificate sull’altare dello scontro con la Russia.
Insomma, il Piano è un pezzo dell’economia di guerra che ci aspetta e nulla ha a che vedere con qualsiasi nobile obiettivo di transizione verso un’economia più rispettosa dell’ambiente.
Lo si intuisce subito se ci si avventura nel testo redatto dalla Commissione europea, un testo che fin dall’incipit ci parla della guerra più che della transizione ecologica e si apre con una curiosa excusatio non petita: “L’ingiustificata e non provocata aggressione militare della Russia all’Ucraina ha drasticamente paralizzato il sistema energetico mondiale”.
E lo si capisce ancora meglio se si guarda agli sforzi che la Commissione europea compie per provare a dimostrare una qualche legittimazione popolare della misura: “L’85% degli europei ritiene che l’UE dovrebbe ridurre quanto prima la sua dipendenza dal gas e dal petrolio russi per sostenere l’Ucraina”. Non ci sarebbe alcun bisogno di giustificare una misura di transizione ecologica, mentre i sondaggi relativi al nostro Paese dicono chiaramente che si sta creando un abisso tra un’opinione pubblica contraria all’escalation militare ed una classe dirigente che spinge l’Italia e l’Europa verso un conflitto sempre più sanguinario e distruttivo.
Sta di fatto che la risposta europea a questa crisi energetica si articola lungo tre direttrici fondamentali: risparmio energetico, energie rinnovabili e diversificazione delle forniture fossili. Bene, peccato che i primi due “pilastri”, il rafforzamento delle misure di risparmio energetico e il rilancio della transizione verso le fonti rinnovabili, si concretizzino in vaghi obiettivi fissati, badate bene, per il 2030. Insomma, c’è tempo per la transizione ecologica! Nel frattempo, tutte le risorse del Piano potranno concentrarsi sul terzo pilastro rimasto, quello della diversificazione degli approvvigionamenti delle fonti fossili. Questa, dunque, è l’unica vera misura concreta (perché può partire oggi, e non tra otto anni) proposta dalla Commissione europea: nulla che contribuisca alla transizione energetica, ma uno strumento della guerra – anche economica – che si intende muovere.
La diversificazione avverrà tramite due canali principali. Il primo è un nuovo sistema di approvvigionamento comune: un meccanismo di acquisto comune del gas che consenta, “riproducendo l’ambizione del programma di acquisto comune dei vaccini” – ci dice la Commissione, di aggregare le richieste di gas di tutti i Paesi membri in modo da presentarsi sul mercato come un solo soggetto e dunque negoziare con i venditori migliori condizioni. Ricordiamo tutti le migliori condizioni con cui abbiamo negoziato l’acquisto comune dei vaccini: davanti alla scarsità delle prime dosi di vaccino, i più forti si assicurarono gli approvvigionamenti con accordi bilaterali con le case farmaceutiche, mentre i più deboli (cioè anche noi) attendevano le dosi ‘comuni’. Se è accaduto ieri, nel drammatico frangente dello scoppio della pandemia, quando da quegli acquisti dipendeva la vita o la morte dei cittadini, è facile prevede cosa accadrà domani, quando una partita di gas in più o in meno potrà determinare un vantaggio competitivo per il settore industriale di un Paese rispetto ai suoi competitor regionali.
Il secondo canale di diversificazione, probabilmente quello che assorbirà la maggior parte delle risorse di REPowerEU, consiste nell’investimento nelle reti di trasporto del gas e nelle infrastrutture necessarie al trasporto e al trattamento del gas liquefatto. Quest’ultimo, sembrerà paradossale, non solo è una fonte inquinante il cui maggior esportatore mondiale è il Paese che più di tutti alimenta l’escalation militare, gli USA, ma secondo alcune stime ha un prezzo che può essere sino al 50% superiore al prezzo del gas russo. Il Piano prevede dunque di investire 210 dei 300 miliardi stanziati per infrastrutture fisiche addizionali nell’Europa centrale ed orientale e negli approdi dei gasdotti che si trovano nella penisola iberica e in Grecia. Ecco la sostanza dell’investimento europeo: ridisegnare l’infrastruttura di approvvigionamento di gas per riposizionare l’Italia e l’Europa nello scacchiere internazionale, tagliando i ponti con la Russia non certo per garantire maggiore indipendenza energetica dell’Italia, ma preparando il terreno per una nuova dipendenza energetica nei confronti di pochi altri produttori di gas e gas liquefatto. Economia di guerra significa questo: che le risorse, solitamente scarse quando si tratta di finanziare lo stato sociale, la sanità, l’istruzione, tornano miracolosamente ad essere disponibili quando devono essere usate per alimentare uno scontro tra potenze.
L’ultimo aspetto che vogliamo affrontare di questo REPowerEU è proprio il tema delle risorse stanziate: a prescindere dalle considerazioni già svolte sul contenuto del Piano, 300 miliardi di euro di investimenti sarebbe infatti un ottimo stimolo ad un’economia europea ancora stagnante. Purtroppo, è la stessa Commissione a spiegare che quei 300 miliardi non sono aggiuntivi rispetto alle risorse già stanziate, ma al contrario provengono da altri programmi europei. Non c’è dunque neanche un euro in più nell’economia europea: REPowerEU si limita a spostare le risorse da altri impieghi su questo nuovo impegno. In particolare, 225 miliardi provengono dalle risorse stanziate nell’ambito del Next Generation EU (il nostro PNRR), mentre il resto proviene da altri fondi per l’agricoltura, dai fondi per la coesione e dalle aste sugli ETS (un sistema per far pagare alle imprese inquinanti la transizione digitale). Insomma, meno risorse per sostenere l’agricoltura europea, meno risorse per la coesione territoriale, meno risorse per la ripresa dalla pandemia, tutto per finanziare nuovi gasdotti e infrastrutture utili a comprare il gas liquefatto dagli Stati Uniti. Se concentriamo l’attenzione sulla parte più sostanziosa di queste risorse, infine, troviamo una sorpresa riservata al nostro Paese. Occorre premettere che il fondo Next Generation EU prevedeva 386 miliardi di euro di prestiti e 338 miliardi di sovvenzioni a fondo perduto per finanziare la ripresa post-pandemica: tutti i Paesi membri hanno accettato di buon grado le risorse a fondo perduto mentre solo l’Italia e pochi altri hanno accettato anche i prestiti. È esattamente per questo motivo che dei 386 miliardi di euro di prestiti stanziati ben 225 sono risultati inutilizzati, e dunque sono stati reindirizzati al REPowerEU. Con una conseguenza: come si legge nel Piano della Commissione, tali risorse saranno a disposizione dei Paesi a cui erano destinati quei prestiti, e solo dopo un loro (ulteriore) rifiuto torneranno a disposizione degli altri Paesi.
L’Italia, in altre parole, starà a guardare mentre i suoi principali partner europei – Francia, Germania e Spagna – che avevano rifiutato il prestito PNRR, potranno rafforzare le loro reti di approvvigionamento energetico ed attrezzarsi meglio per resistere all’impatto devastante dello scontro tra Russia e NATO sul mercato elettrico europeo. Il punto è rilevante per due ragioni. In primo luogo, perché mentre le risorse PNRR possono finanziare solo spese compatibili con la transizione ecologica, le risorse stanziate sotto l’ombrello REPowerEU possono essere impiegate anche (e soprattutto) sul fronte dell’approvvigionamento delle risorse inquinanti. In secondo luogo, perché nel frattempo stanno crescendo sensibilmente i tassi di interesse: quei Paesi che non hanno trovato conveniente indebitarsi a tassi calmierati con il PNRR due anni fa, quando sul mercato era possibile indebitarsi a tasso zero, potrebbero trovare conveniente indebitarsi a tassi calmierati con REPowerEU oggi che i tassi sono tornati a salire. Circostanze che sono state ben comprese dalla stragrande maggioranza dei governi europei, che si sono tenuti a debita distanza dai prestiti PNRR, ma non dal nostro Governo dei migliori, che ora si trova nella paradossale situazione di essere il più belligerante d’Europa ma anche il più sprovvisto di fronte alle conseguenze economiche disastrose che questa guerra porterà.
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