La vittoria di Trump e il futuro di Aleppo


PICCOLE NOTE

Solo due settimane fa il dramma di Aleppo occupava gran parte dei giornali. Che ogni giorno ripetevano il consueto mantra teso a dipingere l’esercito siriano e i suoi alleati, russi in particolare, come dei sanguinari stragisti.

Era in corso l’attacco ad Aleppo Est, teso a liberare quella zona della città dai suoi sanguinari, questi sì, occupanti. Sono i cosiddetti ribelli siriani, beneamati in Occidente che ha loro affidato (direttamente o indirettamente) il compito di buttar giù il governo di Damasco.

Beneamati nonostante le milizie che controllano Aleppo Est siano quelle di Al Nusra, o Jaish al-Fatah come si fanno chiamare dopo un’operazione di restyling tesa ad accreditarsi come “buoni”. In realtà restano gli assassini di sempre, tanto da venir indicati come terroristi anche dagli Stati Uniti.

È attorno a questo gruppo militare, il più armato, organizzato e feroce, che si sono strette, in un’alleanza organica e subalterna, le varie milizie che controllano Aleppo Est. I ribelli beneamati appunto.

Eppure e nonostante questo, e nonostante che ogni giorno da Aleppo Est vengano lanciati missili e colpi di artiglieria contro la popolazione civile di Aleppo Ovest, la battaglia di Aleppo non veniva descritta come una guerra di liberazione, alla stregua di quanto avviene a Mosul o Raqqa preda dell’Isis. Ma come un massacro ad opera delle forze governative.

Le operazioni per liberare Aleppo erano iniziate mesi fa, ma all’inizio della campagna elettorale americana avevano subito un’accelerazione.

I siriani, ma soprattutto i russi, temevano che la Casa Bianca potesse essere appannaggio di Hillary Clinton. Cosa che avrebbe comportato il rischio di un conflitto Usa-Russia, dal momento che la signora aveva più volte affermato la necessità di contrastare tali operazioni, sia aumentando il sostegno ai cosiddetti ribelli sia intervenendo direttamente nel conflitto.

Da qui la necessità opposta di conquistare Aleppo prima della vittoria annunciata della Clinton.

Eppure una quindicina di giorni prima del voto americano Putin e il governo siriano avevano cambiato strategia e allentato la pressione.

Le operazioni militari sulla città erano state sospese per diversi giorni, e l’esercito siriano e i suoi alleati si sono limitati a contrastare gli attacchi altrui (ma non in altre zone della Siria, dove il rischio di colpire civili è molto minore).

Una pausa umanitaria ignorata dai media occidentali, che pure aveva un alto valore strategico e militare. Siriani e russi si sono così sottratti al fuoco incrociato della narrazione mediatica d’Occidente, in attesa degli eventi.

Trump, infatti, aveva più volte elogiato la campagna “siriana” dei russi, al contrario della Clinton, in quanto tesa a contrastare il terrorismo di marca islamista.

Un’eventuale vittoria del tycoon poteva infatti aprire la strada a un compromesso alto e virtuoso. Che avrebbe consentito ai siriani di riprendere il controllo della città evitando un bagno di sangue.

Una scommessa, quella di Putin, dal momento che lo stop alle operazioni militari consentiva ai suoi nemici di rafforzarsi, come accaduto per le pause umanitarie del passato. Con tutti i rischi connessi.

Alla fine, però, Putin ha vinto la scommessa. Con Trump presidente sembra altamente probabile che la battaglia di Aleppo abbia termine.

Come ben sanno anche i terroristi asserragliati nella parte orientale della città, che hanno accusato il colpo e appaiono più che confusi. Tanto che sembra abbiano chiesto una tregua, ipotesi da loro finora sempre rigettata (vedi il Giornale.it).

È possibile anzi che qualcosa evolva, in senso virtuoso, fin da subito. Obama ha ancora cento giorni di regno prima di passare le consegne. Finora ha frenato, come ha potuto e non senza ambiguità, i tanti dottor stranamore che lo hanno ficcato in questa guerra.

Ormai libero dai vincoli oscuri che lo legavano, tra cui l’ipotesi di una presidenza Clinton, potrebbe riservare sorprese. Difficile si riesca a mettere in piedi in così pochi giorni altre iniziative diplomatiche globali sulla Siria.

Potrebbe però ritirare il sostegno americano ai cosiddetti ribelli che tengono Aleppo, imponendo tale scelta anche all’Arabia saudita. Consentendo così a Damasco di riprendere il controllo della città senza eccessivi spargimenti di sangue. Cosa che, di fatto, chiuderebbe la guerra siriana (o almeno una sua fase).

Sui media rimbalza la notizia che gli Stati Uniti abbiano dato ordine di eliminare i capi di Al Nusra. Un’indiscrezione enfatizzata da Mosca, per bocca del vice-ministro degli Esteri. Sergey Ryabkov,

E che andrebbe nella direzione indicata, al dì del rammarico per la funesta sorte di tali terroristi (così purtroppo va il mondo al quale si sono consegnati: quando non servono più…).

Va da sé che la pausa umanitaria decretata unilateralmente da russi e siriani rivela anche altro, ovvero che Putin da tempo avesse contezza delle possibilità di vittoria di Trump.

Al contrario dell’Occidente, che ha dovuto inseguire le fantasie di sondaggisti farlocchi, egli può contare sulle informazioni della sua intelligence. Evidentemente un po’ più accurate.


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