L’Iran non sta lavorando per produrre alcuna bomba nucleare. Così il “Global Threat Assessment” annuale, un report della comunità dell’intelligence americana, che smentisce in maniera netta la motivazione alla base della revoca del trattato sul nucleare iraniano da parte dell’amministrazione Trump.
“Non crediamo che l’Iran stia attualmente intraprendendo attività giudicate necessarie per produrre un dispositivo nucleare”, ha ribadito il direttore dell’Intelligence degli Stati Uniti Dan Coats (New York Times).
Nonostante questo, le durissime sanzioni Usa, allargate ai Paesi ai quali hanno imposto la loro posizione, martellano il Paese, ridotto allo stremo.
Il presidente iraniano Hassan Rohani ha dichiarato che si tratta della più dura situazione economica che attraversa il Paese da quarant’anni a questa parte.
D’altronde Mike Pomepo l’aveva detto: “Gli iraniani devono ascoltare gli Stati Uniti ‘se vogliono che il loro popolo mangi'” (così il titolo di un articolo di Neesweek).
Come accenna la nota della Reueters che riporta le parole di Rohani, ciò sta creando malcontento, dunque proteste.
Lo stesso Rohani, nell’ottobre scorso, aveva ripreso quanto affermato da alcuni esponenti di spicco della politica americana, ovvero che gli “Stati Uniti vogliono un regime change” in Iran.
Ciò, spiegava Rohani, attraverso le pressioni economiche e l’erosione di legittimitàdel potere costituito (ogni riferimento all’attuale crisi venezuelana è causale).
L’Iran e i creatori di crisi
Peraltro, il Consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton è esperto nel creare criticità come quella iraniana. Un articolo del New York Times del marzo scorso spiegava come ha lavorato sulla crisi nucleare coreana.
Così il quotidiano della Grande Mela su Bolton: “Nessuno ha lavorato di più per far saltare l’accordo del 1994 in base al quale il programma relativo al plutonio della Corea del Nord era stato congelato per quasi otto anni in cambio di petrolio combustibile pesante e altra assistenza. L’abbandono di quell’accordo ha favorito la crisi attuale, in cui si ritiene che la Corea del Nord abbia 20 o più armi nucleari”.
Ovviamente Bolton è il più fiero assertore di un attacco militare Pyongyang. Un approccio analogo sta avvenendo con l’Iran attraverso la denuncia del trattato sul nucleare.
Se Teheran riprenderà a lavorare sulla produzione di un’atomica – verso cui spinge la destra integralista battuta alle elezioni – verrà attaccato.
Banalità. Detto questo l’Iran non solo si sta ancora attenendo al trattato, ma ha anche affermato che la portata dei suoi missili balistici non andrà oltre i duemila chilometri.
Dichiarazione ribadita ieri dal generale Hassan Firouzabadi, un consigliere dell’ajatollah Ali Khamenei, dopo la rottura dei contatti con la Francia, che vorrebbe trattare anche su tale armamento.
Un Iran disarmato e ridotto alla fame, alla mercé dei suoi tanti nemici e della disperazione-destabilizzazione. Scenario da incubo per il popolo iraniano come per l’intero Medio oriente.
Eppure si spinge in tale direzione in maniera ossessiva. Ossessione degna del peggior fondamentalismo.
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