Escalation tra Pakistan e India. E il mondo trema: i due Paesi hanno l’atomica. Ieri l’aviazione indiana ha bombardato il territorio pakistano, provocando, secondo New Delhi, 300 morti.
Si tratterebbe di terroristi di Jaish-e-Mohammed, la milizia islamista che ha rivendicato l’attentato dello scorso 15 febbraio, che ha ucciso 46 paramilitari indiani nel Kashmir, regione da tempo al centro di controversie (e brevi guerre) tra i due Paesi per questioni di confine.
Secondo i pakistani le vittime del raid indiano sarebbero state state meno e, peraltro, dei semplici civili.
L’India ha motivato il suo attacco come “un’azione preventiva” contro il Terrore, al quale non sarebbe estranea Islamabad, che coprirebbe i terroristi attivi nel Kashmir.
All’azione indiana è seguita una rappresaglia pakistana, la cui aviazione ha colpito “obiettivi non militari, evitando perdite umane”, come affermato da Islamabad, che ha dichiarato di non volere l’escalation, semplicemente dimostrare a New Delhi che è pronta a difendersi.
Come dimostrerebbe anche la rivendicazione di aver abbattuto due jet indiani, ridimensionata dalla controparte.
Aria di guerra vera, dunque, come dimostra anche la chiusura delle frontiere pakistane e le restrizioni imposte ai voli civili nell’area.
Da subito il Pakistan ha detto di non volere una guerra e ha chiesto all’Onu di mobilitarsi per avviare un dialogo. Appelli recepiti ben poco dalla controparte.
E oggi l’accorato discorso alla nazione del premier Imran Khan che ha ricordato al suo omologo indiano, Nerendra Modi, la guerra mondiale e quella del Vietnam, conflitti iniziati nell’illusione di una facile vittoria e diventati incontrollabili.
Quindi, dopo aver affermato che il Pakistan non promuove il terrorismo, ha teso la mano all’India per collaborare insieme su tale dossier.
A complicare la vicenda le incombenti elezioni indiane, alle quali le autorità pakistane hanno fatto riferimento più volte: la linea dura di Modi si spiegherebbe con l’intento di ottenere facili consensi elettorali di stampo nazionalista.
Spiegazione alla quale si può accedere. Ma val la pena anche dare un’occhio al calendario, che indica come l’escalation si stia consumando in un momento in cui l’Asia sta vivendo un processo distensivo.
Trump sta portando a compimento la difficile trattativa con la Cina, il gigante asiatico che New Delhi vede come rivale.
Rivalità che Pechino tenta di stemperare, ma alimentata dagli ambiti atlantisti, per i quali l’India resta un baluardo anti-cinese.
Così, mentre l’Asia vede un processo distensivo, che favorisce Pechino, l’iniziativa indiana ha immesso nuove criticità nel continente.
E se la tempistica ha un suo valore, anche simbolico, si può notare come l’escalation tra i due Paesi sia divampata proprio mentre Trump incontra Kim Jong-un ad Hanoi, di importanza primaria nel processo distensivo suddetto (Piccolenote).
Al di là delle suggestioni, è comunque certo che la fiammata indo-pakistana ha un po’ offuscato il vertice tra il presidente americano e quello della Corea del Nord, a detrimento dell’efficacia propagandistica dell’evento, alla quale Trump ascrive grande importanza.
Il mondo doveva parlare del summit, invece è costretto a parlare anche d’altro.
E se la minaccia nucleare della Corea del Nord può diminuire, come sembra, tale minaccia può affiorare altrove: questo è l’altro messaggio inscritto in questa crisi.
Colpisce anche un’altra tempistica: l’escalation indo-pakistana giunge a pochi giorni, dall’inusuale tour di Mohamed bin Salman (o MbS) in Asia, durante il quale il principe ereditario saudita ha visitato Islamabad, New Delhi e Pechino.
Per gli ambiti atlantisti l’Arabia Saudita è un alleato strategico per la partita geopolitica ingaggiata contro Cina e Russia. Presumibile abbiamo guardato la tappa pechinese di MbS con certa irritazione.
Elezioni indiane, distensione Usa-Cina (e Usa – Corea del Nord), iniziale distensione cino-saudita: ingredienti di un cocktail esplosivo. La guerra nucleare tra i due Paesi non si darà…Ma la criticità avrà strascichi.
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