Il New York Times ripercorre l’annoso conflitto tra India e Pakistan, accennando a una possibile, facile risoluzione. Contesa resa ancora più allarmante da una variabile nuova, le fake news che rendono ancora più torbida tale ostilità.
La guerra tra i due Paesi si inasprì nel 2008 quando dei militanti del gruppo terroristico pakistano Lashkar-e-Taiba attaccarono Mumbai causando la morte di 174 persone. Ad aggravare la situazione si aggiunse la mancata consegna da parte del Pakistan dei presunti colpevoli.
Dopo altre tensioni, lo scorso 15 febbraio la situazione è precipitata di nuovo verso uno scenario già visto. Il gruppo terrorista Jaish-e-Mohammed ha rivendicato l’attacco nella regione del Kashmir che ha causato la morte di 46 paramilitari indiani.
La matrice di queste tensioni è proprio il Kashmir, regione divisa e sotto il controllo di entrambi i Paesi. Fortunatamente, però, è in atto un processo distensivo che si spera possa culminare con un’intesa indo-pakistana.
La soluzione forse risiede nel passato. Verso la seconda metà degli anni 2000, infatti, i due Paesi furono vicini a uno scioglimento pacifico della questione, come ricorda un articolo del NYT. Si stava, infatti, raggiungendo un accordo per demilitarizzare la linea di confine della regione contesa e permettere libero passaggio e scambio. Poi tutto sfumò.
A complicare le cose, però, sono subentrate le fake news, come scrive Farhad Manjoo in un articolo del New York Times dal titolo significativo: “Il conflitto tra India e Pakistan. Parata di bugie”.
Queste ultime sono entrate in campo molto presto, subito dopo il bombardamento, da parte di jet indiani, di un sito ritenuto un campo d’addestramento per terroristi nella città di Bakalot in Pakistan.
Sebbene il governo non avesse fornito prove visive dell’esito dell’attacco, i media indiani hanno mandato subito in onda immagini “esclusive” del bombardamento…
Le immagini in questione, però, erano state postate online nel 2017 e poi riemerse nella scorsa settimana, da qui poi trasmesse su diversi canali d’informazione del Paese.
Analogamente i media pakistani, dopo l’abbattimento di un jet indiano da parte delle forze aeree di Islamabad (effettivamente avvenuto), mostrarono immagini false dell’accaduto, riguardanti un incidente aereo precedente e affermando che i jet abbattuti erano due, mentre New Dehli contava una sola perdita. Acque torbide, cui non è stata estranea la Fake.
L’evidente inattendibilità di entrambe le testimonianze non ne ha limitato la diffusione, anzi sono state strumentalizzate da entrambi i governi per screditarsi l’un l’altro.
La distorsione delle notizie, però, non è stata solo del web, da sempre visto come apparato a sé stante facilmente preda di simili derive.
Scrive Manjoo sul NYT, infatti, che il fenomeno è spesso originato da un meccanismo più ampio, i cui protagonisti sono anche “politici, celebrità e parte dei media (in special modo la televisione, da cui la maggior parte delle persone ancora riceve le notizie)”.
Quanto accaduto tra i due Paesi esemplifica il rischio di una discesa verso una “società in cui piccole e grandi bugie pervadono ogni discussione attraverso tutti i media, dove l’inganno è dato per scontato, la fiducia è ingenuità e una oggettiva visione della realtà comincia ad apparire spaventosamente anacronistica” , continua il reporter sul Times.
Impossibile, di conseguenza, pensare che la piaga delle fake news sia limitata solo a Paesi lontani e in stato di conflitto e all’informazione via web.
Continua infatti il report sul Times: “Ciò che ho trovato è allarmante; dovrebbe terrorizzare il mondo […] A prescindere da quale fosse la fonte, indiana o pakistana che fosse, durante il conflitto si riscontrava comunque una grande difficoltà a orientarsi attraverso un miasma di falsità”.
Il governo indiano ha recentemente emanato delle restrizioni volte a evitare la diffusione di notizie false sul web, ma “quando le menzogne attraversano ogni media e ogni istituzione sociale, quando diventano parte della cultura, concentrarsi sulle piattaforme digitali significa non capire il nocciolo della questione” conclude Manjoo.
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