Hong Kong: le minacce di Marco Rubio



Piccole Note

Il governo di Hong Kong ha cancellato il disegno di legge per introdurre l’estradizione verso la Cina, norma che ha generato l’ondata di proteste. Un passo del tutto inutile, dato che non servirà a fermare la rivolta – ormai focalizzata sull’indipendenza da Pechino -, ma obbligata.


Fosse avvenuta prima, l’iniziativa avrebbe forse avuto qualche esito, a dimostrazione che il tempo, nella politica, è essenziale.


Rubio sconfessa Trump


Di oggi l’intervento a gamba tesa del repubblicano Marco Rubio, falco che da tempo lavora nell’ombra oscura di Hong Kong (Piccolenote), che sul Washington Post afferma che “ciò che sta accadendo a Hong Kong non è semplicemente un affare interno della Cina”.


Una sconfessione del suo presidente, dato che Trump aveva dichiarato che la controversia “è una questione tra Hong Kong e la Cina, perché Hong Kong fa parte della Cina”.


Non solo, Rubio accusa il Dragone di impedire “al governo della città di agire contro quell’autonomia che Pechino gli aveva promesso con il trattato, vincolante a livello internazionale, del 1984 stipulato con la Gran Bretagna, ai sensi della Legge fondamentale di Hong Kong”.


Ossessione sanzoni


Nello scritto, l’esponente del Gop snocciola asserite nefandezze del governo cinese, ricordando il terribile massacro di Tienanmen, che ormai appartiene al passato, associandovi decisioni politiche non altrettanto tragiche.


Lo scritto serve a pubblicizzare una sua proposta al Congresso Usa, volta a sanzionare soggetti ed enti di Hong Kong che avrebbero agito in violazione del Trattato, ma anche i poliziotti addetti all’ordine pubblico protagonisti di documentati, o asseriti, abusi (a quando le sanzioni contro i gendarmi francesi che hanno compiuto abusi ben documentati contro i gilet gialli?).


Da qui il monito: “I leader cinesi devono o rispettare l’autonomia e lo stato di diritto di Hong Kong o sapere che la loro crescente aggressività li porterà inesorabilmente ad affrontare conseguenze rapide, gravi e durature dagli Stati Uniti e dal mondo“.


L’appello incendiario dei manifestanti


Minaccia in tono col personaggio, uso a brandire la spada, e che fotografa come l’ambito neocon sia ormai diventato la mosca cocchiera di questo scontro esistenziale con l’Oriente, che pure tanti media americani criticano per il suo alto rischio per la patria economia.


Peraltro, a riversare altra benzina sul fuoco l’appello dei leader della protesta a Taiwan, affinché sostenga la loro lotta.


L’isola di cui sopra ha alzato la sua conflittualità con Pechino, infiammata al parossismo dalla recente acquisizione di 66 caccia F-35 americani, che ha suscitato le vibrate proteste delle autorità cinesi.


Un suo supporto sostanziale alle proteste, che già sostiene verbalmente, rischierebbe di innescare un vero e proprio conflitto i cui esiti sarebbero più che disastrosi per l’area e per il mondo.


La guerra dei dazi


Sullo sfondo, la guerra commerciale con Pechino, che è destinata a durare dato che la missione cinese negli Usa, prevista a settembre e accolta dalle aperture di Trump, non sembra avere grandi possibilità di successo.


A patire la guerra dei dazi è in particolare il ceto medio-basso degli Stati Uniti, secondo un’analisi Usa citata da Isveztia, che riporta: “Secondo il capo del Dipartimento internazionale della Camera di commercio degli Stati Uniti, Myron Brilliant, ogni famiglia americana a causa dei dazi perderà 600 – 1000 dollari”.


Prima o poi occorrerà riportare ordine in questo caos provocato dalla necessità degli Usa di conservare la primazia globale, che ritiene sfidata dall’ascesa cinese.


La Cina non è disposta a cedere ovviamente. E Hong Kong è solo una pedina di questo gioco al massacro. Nel suo scritto, Rubio annota dolente come Pechino, per definire la ribellione della città, abbia usato le parole “rivoluzione colorata”.


Telegram, la rivoluzione colorata di Hong Kong e l’Isis


Rubio non si premura di smentire l’implicita accusa agli Stati Uniti, di fatto apertamente impegnati a fianco dei manifestanti, come evidenzia anche la sofisticatissima strategia dei manifestanti, le loro tattiche di guerriglia urbana e la capacità di eludere, grazie alla crittografia, i sistemi di intercettazione delle autorità.


Per comunicare usano Telegram, la stessa piattaforma utilizzata dall’Isis perché praticamente impenetrabile (Wired).


Di interesse, nella contesa, la registrazione riservata, trapelata ieri, del governatore di Hong Kong Carrie Lam, nella quale dà sfogo alla sua frustrazione.


Stati d’animo a parte, interessante il punto in cui afferma di ritenere che la Cina non interverrà: farà proseguire la protesta senza fare concessioni, in attesa di un logoramento degli antagonisti.


Strategia propria del modus operandi cinese – peraltro la fonte è autorevole -, con la controparte che presumibilmente tenterà di forzare, alzando il livello dello scontro. Futuro oscuro per Hong Kong.

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